novembre 23, 2009

Crepe all’interno del fronte ideologico sionista

Esiste un personaggio così autorevole che i «Corretti Informatori» non possono insolentire come fanno ordinariamente con ebrei “rinnegati”, ad esempio Richard Goldstone, che pare si professi perfino sionista. In effetti, vi è da credere che il suo rapporto proprio per questo sia stato alquanto edulcorato. I “crimini” sono probabilmente molto più gravi di quelli riportati. Co Arrigo Levi non si può usare lo stesso tono. Arrigo Levi è un Altissimo Consulente del Presidente della Repubblica. Non aggiungo altro. Da un po’ di tempo perfino un Arrigo Levi deve essersi accorto che è stata superato la misura. Da qui una serie di “risposte”, insolitamente non offensive, al Consulente presidenziale. Questa di David Cassuto, già vice sindaco di Gerusalemme, rimprovera sostanzialmene ai palestinesi di non volersi arrendere, di non volersi accordare, avendo subito ripetute sconfitte non già dal 1948 ad oggi, ma direi dal 1882. La colpa sarebbe poi tutta nostra, ora Arrigo incluso, per il fatto che non riusciamo a convincere i palestinesi ad arrendersi, cioè a sparire non solo dalla carta geografica e dalla geografia umana, ma anche dalla nostra memoria. Ecco un esempio di superiore moralità che si pretende pure da noi tutti! (segue)

novembre 13, 2009

La fine dell’impunità israeliana

Raccogliamo in questo post una serie di links e riflessioni su un concetto che ci sta particolarmente a cuore e ci offende nella nostra sensibilità: la pretesa da parte di Israele di commettere ogni sorta di crimine e malefatte e di accusare al tempo stesso di “antisemitismo” quanti ravvisano nella sua prassi la violazione dei più elementari principi di giustizia e di umanità. Vi sarebbe da capire non l’impunità i sé, ma i fondamenti su cui si basa, le reti di complicità, i meccanismi di condizionamento che consentono tanta impunità. Il discorso sarebbe lungo e ci porterebbe assai lontano. Vi è tutta un’ideologia che si è formata dal 1945 ad oggi e che consiste di convergenze diverse fra loro, ma unite in una posizione comune di demonizzazione maniacale di tutto il mondo precedente il 1945. Non siamo certo dei nostalgici, ma riteniamo che la nostra mente non debba avere ostacoli o tabù nella sua possibilità di ripensare tutto il passato storico, che in quanto tale si sottrae alle contingenze della politica e diventa cultura, spirito.

1. C. C. Caprino: «La diplomazia israeliana sotto scacco». – È un limpido articolo per il quale speriamo vivamente che anche il suo autore non debba attirarsi i fulmini della Nuova Inquisizione che emette sentenze di “antisemitismo”. Se saremo più numerosi, allora varrà il principio “mal comune mezzo gaudio”.

2. Richiesta anglo-francese di una commissione indipendente. – Il rapporto Goldstone apre delle breccie nella pretesa di far sorvolare gli alleati su qualunque cosa gli israeliani facciano, magari in nome della loro “sicurezza”.

novembre 07, 2009

Lo «Stato Unico di Palestina» come unica ipotesi realistica.


Mi attengo all’idea enunciata da Ilan Pappe secondo cui è improprio e fuorviante parlare di “conflitto” israelo-palestinese nella misura in cui il termine conflitto evoca una dualità. Si è in realtà di un processo coloniale di conquista e pulizia etnica degli indigeni analogo a quanto era già avvenuto in America dopo lo sbarco di Colombo. Questo processo di occupazione coloniale è databile a partire dal 1882, ma è chiaramente ormai anacronistico. Ad esserne colpite non sono soltanto pochi milioni di palestinesi, ma un mondo musulmano di un miliardo e quattrocento milioni di persone. Non è possibile. Dopo “Piombo Fuso” e l’indecente continuazione degli insediamenti coloniali si rivela in tutta la sua pretestuosità. Il documento che segue mi appare interessante. Lo riporto per averlo a portato di mano per ulteriori riflessioni.
Comunicato del Forum Palestina
Fonte


La dichiarazione dello scorso 5 novembre con cui Saeb Erekat, il capo negoziatore dell’Autorità Nazionale Palestinese, ha definito come fallita la soluzione dei “due popoli per due Stati” e come inevitabile l’alternativa dello “Stato unico”, segna in sé un passaggio significativo.


Arriva da un’istituzione in difficoltà, che ha al suo vertice un presidente in crisi di popolarità e di credibilità agli occhi del suo popolo, Abu Mazen, che dopo aver assecondato negli anni il percorso inaugurato dagli Accordi di Oslo e basato sulla “pace in cambio di terra”, non ha fatto che favorire l’indebolimento della lotta palestinese sul terreno politico e la progressiva espansione delle colonie senza ottenere in cambio alcuna pace. E’ un messaggio rivolto all’esterno, agli USA di Obama, piuttosto che alle organizzazioni politiche e della società civile che l’ANP vuole rappresentare, e in quanto tale esercita una pressione non pienamente maturata a livello collettivo. Ma pone senz’altro le basi affinché finalmente l’unica soluzione possibile per una pace che sia anche giusta sia inserita nell’agenda politica palestinese come terreno di lotta e di negoziato credibile.


Ci siamo confrontati più volte con attivisti, intellettuali ed esponenti politici palestinesi, ma anche israeliani antisionisti, in merito alla soluzione dello Stato Unico, sottolineando proprio come quella che appare come l’unica ipotesi realistica per la fine del colonialismo sionista non trovi ancora ufficialmente spazio nella piattaforma politica dei partiti palestinesi. Oggi in qualche modo il passo indietro dell’ANP obbliga a rivolgere l’attenzione alla possibilità di uno Stato che, senza coincidere con la “Grande Israele” auspicata dai fondatori dell’ideologia sionista, sia realmente democratico con pari diritti per tutti i suoi cittadini.


Da Oslo a Camp David e a Madrid, tutti gli accordi internazionali basati sulla soluzione dei due popoli per due Stati (mentre porzioni sempre più ampie di territorio palestinese venivano strappate dal Muro e dalle colonie) hanno sempre fatto da paravento all’obiettivo sionista di ampliare il territorio israeliano, di rendere sempre più puramente ebraico il carattere dello Stato di Israele, e di mantenere in piedi l’immagine di Stato democratico di fronte alla politica internazionale e all’opinione pubblica mondiale. Ormai la realtà dei fatti dimostra da tempo che è proprio mettendo in discussione i presupposti di Oslo, su cui fino ad oggi si sono fondati i cosiddetti “negoziati di pace” con il coinvolgimento delle potenze occidentali complici dell’occupazione, che la lotta per l’autodeterminazione palestinese potrà concretamente mettere in discussione i presupposti su cui si basano il sionismo e la sua strategia colonialista.


La dichiarazione di fallimento che arriva dal negoziatore palestinese e dai vertici dell’ANP spalanca una finestra sulla realtà e sulla possibilità di ridefinire su nuove basi gli obiettivi strategici della lotta di liberazione palestinese offrendo un’ulteriore occasione di riflessione anche al movimento di solidarietà internazionale che attraverso la campagna BDS si sta allargando producendo risultati concreti ed efficaci.


Assumere oggi la soluzione dello Stato Unico come ipotesi su cui dare battaglia politica significa contrastare apertamente la strategia sionista: è anche per questo motivo che nell’ultima delle 10 domande su cui studiosi, giornalisti e attivisti italiani, palestinesi e israeliani saranno chiamati a rispondere il 28 e 29 novembre a Roma, poniamo il seguente interrogativo: “Il progetto di uno Stato Unico per ebrei e palestinesi è da ritenersi una minaccia o una soluzione possibile per la pace in Medio Oriente?”. A nostro avviso è innanzitutto è la realtà che ci sta dando delle indicazioni e di queste occorrerà tenere necessariamente conto.

Il Forum Palestina


È dal sito di Forum Palestina ed è un suo documento. Io vedo due possibilità: a) la continuazione del processo genocidario; b) l’inevitabile convivenza di ebrei e palestinesi con vera e assoluta parità di diritti all’interno di uno stesso territorio. Tolta l’ipotesi fallimentare e non credibile dei due stati, non vedo altre soluzioni logiche al problema. La nessuna soluzione significa che procede nel tempo l’ipotesi a). Il tempo non è fermo. Il tempo procede fin dal 1882 per la realizione della prima ipotesi: quella genocidaria. Se si fosse trattato degli indiani d’America, sarebbe già giunta al suo compimento e si sarebbe parlato di “destino” dei palestinesi, come si è parlato di “destino” inevitabile degli indiani. Una nuova categoria irrompe sulla scena del pensiero politico: il destino!




novembre 06, 2009

Israele e ONU nei media a proposito del rapporto Goldstone

Da qualche giorno sto cercando di seguire le notizie sul dibattito a proposito del rapporto Goldstone che si è tenuto fino a ieri all’Assemblea generale dell’ONU. Naturalmente, è stata confermata la sostanza del rapporto e si è chiesto ai due soggetti, Hamas e Israele, di fornire entro tre mesi nuove inchieste credibili sui crimini commessi da entrambi le parti. Personalmente, non ritengo che Hamas abbia commesso crimini e che il lancio di risibili sigari Kassam sia un argomento di cui Israele si possa far forte per scansare una politica genocidaria vecchia di almeno un secolo. Ma non è questo ciò che mi preme sottolineare. Trovo che sia una prova della parzialità di buona parte della stampa a noi dispobile il fatto che si riporti in primo piano il punto di vista di Israele che condanna l’ONU. Non è Israele che si deve giustificare di fronte agli occhi del mondo di un’accusa pesantissima che il consesso di tutti gli stati del mondo, la somma assise dei popoli, le rivolge, ma è l’ONU, cioè i popoli del mondo – fatta eccezione per i soliti potenti “amici” – che si deve difendere dalle accuse e dai rimproveri di Israele. Una distorsione grottesca della dimensione oggettiva delle cose. Altra osservazione: come può l’ONU ormai essere invocato come principale fondamento giuridico della nascita dello stato di Israele? Non si può. E allora? Ritorniamo all’«Olocausto», di cui non si può parlare: ne so qualcosa per esperienza diretta. Questo evento è infatti l’unico ormai rimasto per giustificare una vera e propria conquista coloniale che ci riporta ai tempi dei padri pellegrini. Ma non siamo più a quei tempi. I palestinesi non sono gli indiani d’America, il cui genocidio può essere attuato in silenzio e con l’annichilimento della nostra coscienza. Giustamente, dicono gli intellettuali arabi: ma perché allora il vostro stato non ve lo siete fatto in una parte della Germania o in qualche regione d’Europa? I nodi dell’ideologia vengono al pettine. La debolezza degli argomenti è però inversamente proporzionale alla potenza mediatica di cui Israele dispone: piombo fuso in notevolissima quantità.

Si sente spesso dire che questo ultima risoluzione dell’ONU che si aggiunge alle oltre 70 che hanno già condannato Israele non è vincolante. Ma cosa significa? Se le decisioni dell’Assemblea ONU lo fossero, noi avremmo il governo mondiale. Esse hanno in ogni caso un alto valore politico che non può essere ignorate. Le decisioni che hanno meno valore politico sono quelle ottenute con la forza, le pressioni, il ricatto.