Titoli: Truppe della Lega Araba cominciano ad affluire in Palestina. Gli ebrei uniscono le loro forze. Si attende una vasta azione su Gerusalemme. Battaglia a Giaffa e a S. Giovanni d’Acri.
Londra, 27 aprile. –
Una colonna di circa 10 mila uomini della Legione araba, in pieno assetto di guerra, è entrata in Palestina dalla Transgiordania per rinforzare il distaccamento accampato presso Gerico. Pare che l’obiettivo delle forze arabe sia Gerusalemme. La città santa è intanto premuta dalle forze ebraiche, che attaccano accanitamente i capisaldi della periferia. Un’offensiva araba è prevista lungo le rive del lago di Tiberiade, tra la città omonima e Nazareth. Nelle regioni settentrionali della Palestina, forze irachene e siriane sarebbero in procinto di iniziare azioni simultanee per una avanzata su Haifa. Dal Cairo sono partiti stamani treni carichi di truppa per ignota destinazione. In tutti i paesi arabi fervono preparativi di guerra e gli stati maggiori discutono piani comuni. Comandante in capo di tutti gli eserciti arabi è stato nominato Dwgi el Kaukgi.
Anche gli ebrei si organizzano e, dopo il dissidio sorto tra l’Irgun e l’Haganah a proposito dell’attacco a Giaffa, oggi il consiglio sionista ha ratificato la fusione delle due organizzazioni. Tutta la popolazione ebraica palestinese di ambo i sessi, dai 17 ai 25 anni, è stata mobilitata; nel bando, è previsto il richiamo di altri contingenti fino al trentacinquesimo anno di età. I capi militari starebbero preparando un’azione per far saltare il ponte di Allenby, sul Giordano, principale mezzo di collegamento fra la Transgiordania e la Palestina.
I combattimenti a S. Giovanni d’Acri ed a Giaffa sono continuati oggi con maggior accanimento dalle due parti, ma gli arabi oppongono, nei due centri, un’accanita resistenza. Elementi d’assalto sionisti sono riusciti a penetrare in due quartieri di Giaffa, superando la seconda linea difensiva. La popolazione araba continua l’esodo dalla città contesa a bordo di automezzi britannici, dirigendosi verso il Libano, ove sono già giunti oltre duemila profughi in condizioni miserevoli. A S. Giovanni d’Acri, una compagnia di paracadutisti inglesi, «diavoli rossi», che aveva chiesto invano alle forze ebraiche via libera, si è aperto un passaggio con l’uso delle armi.
Tutta la Palestina vive ormai in stato d’allarme e tutti si preoccupano di procurarsi scorte di viveri. L’autorità costituita non è più in grado di mantenere le comunicazioni e lo stesso ordine pubblico nei centri urbani è alla mercé dei più forti. A Tel Aviv un gruppo di ebrei armati, appartenenti probabilmente alla banda Btern, ha svaligiato la sede della Barklay’s Bank, impadronendosi di oltre 250 mila sterline.
La situazione in Terra Santa è seguita con particolare interesse a Londra. Re Abdallah, della Transgiordania, ha fatto pervenire al governo britannico, tramite l’alto commissario Cunningham, una richiesta perché venga concessa agli arabi la sovranità sulla Palestina alla prossima scadenza del mandato inglese. Nella nota egli precisa che agli ebrei verrebbe concesso un «focolare nazionale».
Il capo dell’agenzia ebraica Moshe Ihertok ha dichiarato a sua volta oggi a Lake Success che appena si ritireranno le truppe inglesi i sionisti proclameranno lo stato ebraico di Palestina. Gli ambienti diplomatici londinesi mantengono il massimo riserbo sulle eventuali decisioni ed ignorano «ufficialmente» la dichiarazione di guerra di Abdallah al Sionismo. Si ritiene tuttavia che l’intervento delle forze transgiordane in Palestina potrebbe determinare una crisi nelle relazioni fra la Gran Bretagna con i paesi arabi. I commentatori governativi ripetono che non sarebbe giustificato per l’Inghilterra l'inizio di operazioni militari sia contro gli arabi che contro gli ebrei, tenendo conto che il mandato in Palestina scade tra pochi giorni.
Molte preoccupazioni desta però l’atteggiamento di Abdallah, specie una sua allusione ad un probabile appello alla Russia ed ai paesi satelliti. Il ministro degli Esteri Bevin ha sollecitato l’invio di relazioni particolareggiate dai funzionari britannici in Palestina e dal ministro inglese in Transgiordania, per rendersi esatto conto della situazione. Anche la presa di posizione egiziana interessa da vicino il Foreign Office, ma ancora nessun commento è stato fatto alla notizia che il governo del Cairo ha vietata la navigazione nelle acque territoriali egiziane per una fascia costiera di circa 20 miglia. Il provvedimento è interpretato come un passo preliminare verso il blocco della costa palestinese tenuta dagli ebrei.
Dispaccida. New York parlano del crescente allarme americano per il taglio dei condotti di petrolio dell’Iraq che sboccano ad Haifa. Quasi tutto il prodotto era stato prenotato per essere distribuito in Europa, secondo il Piano Marshall. Anche il Dipartimento di Stato segue con vivo interesse lo svolgersi della situazione in Palestina.
Cap. 4
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Tel Aviv bombardata all’alba da “Spitfires”
Nuova Stampa Sera,
Anno II, Nr. 108, p. 1
Sabato-Domenica, 15-16 Maggio 1948
Titoli: Tel Aviv bombardata all’alba da “Spitfires”. Stava parlando alla radio il primo ministro dello Stato d’Israele e i boati delle esplosioni sono stati uditi a Gerusalemme come a Nuova York. Poi la trasmittente ha taciuto. Primi scontri in terra fra le forze nemiche, mentre dall’Egitto sta per scatenarsi l’offensiva di una divisione corazzata. La corvetta “Baionetta,, a Caifa e Giaffa, per prendere a bordo i nostri connazionali.
Gerusalemme, sabato sera.
«Gerusalemme è degli ebrei!». Con questo grido fu iniziata ieri la cerimonia di proclamazione del nuovo Stato d’Israele. Undici minuti dopo la proclamazione gli Stati Uniti riconoscevano il nuovo Stato, seguiti a qualche ora dal Guatemala e più tardi dalla Russia. Nello stesso tempo le forze transgiordane e quelle egiziane procedevano al loro ammassamento e i rispettivi comandi militari emanavano gli ordini per l’invasione della Palestina e la guerra contro gli ebrei.
Avevano così inizio i primi scontri in Terrasanta. L’Haganah occupava posizioni chiave a nord di Acri e attorno a Caifa, e nella stessa Gerusalemme fra cui l’ospedale governativo, la sede della Barelay Bank e l’ospedale italiano. Combattimenti si ingaggiavano e sono tuttora in corso alla periferia del monastero francese di Latrun dove gli arabi si sono trincerati. In questo momento i monaci francesi stanno cercando di fare raggiungere una tregua per risparmiare l’edificio da sicura distruzione. A sud di Gerusalemme gli arabi hanno invece occupato Kfar Etzion.
Ma la notizia più grave si diffondeva stamane. Il primo ministro dello Stato d’Israele, Ben Gurion, stava parlando alla radio di Tel Aviv e rivolgeva un appello alla cooperazione fra arabi ed ebrei per la pace, il progresso e il benessere dei due popoli, chiedendo l’aiuto delle «persone dabbene di tutto il mondo», quando d’improvviso la trasmissione si interrompeva. Furono uditi dei boati e poi una voce annunciare «Tel Aviv è bombardata da apparecchi nemici». Poi l’emittente ebraica ha taciuto.
Più tardi si è appreso che sei «Spitfires» avevano bombardato il porto ebraico di Tel Aviv. Si sa che gli apparecchi sono stati fatti segno al fuoco di armi normali, in mancanza di artiglieria contraerea. Ogni aereoplano ha lasciato cadere due bombe. La nazionalità degli Spitfires è fino a questo momento sconosciuta. Gli apparecchi portavano sulle ali un distintivo circolare grigio e nero. Le bombe sono state sganciate in picchiata. L’attacco è stato diretto particolarmente contro il porto e l’aerodromo.
Alle 11 Tel Aviv è stata sorvolata da apparecchi egiziani, che hanno lanciato manifestini scritti in ebraico, in arabo e in inglese. I manifestini dicono: Desistete da una resistenza che sarebbe inutile. In nome della pace, invitiamo tutti gli abitanti ad arrendersi e a issare bandiera bianca. Le armi, le munizioni e ogni altro materiale bellico devono essere consegnati nello stato in cui si trovano. Se la resa non avverrà, sarete trattati da aggressori».
L’intimazione è stata respinta, non solo, ma dovunque l’Haganah è passata all'offensiva. La radio dello Stato d’Israele ha così annunciato a mezzogiorno l’occupazione di San Giovanni d’Acri, aggiungendo che le forze israelitiche controllano già virtualmente tutta la Galilea occidentale. Anche qui a Gerusalemme l’Haganah ha agito con decisione e abbondanza di mezzi. Alle 12,30 l’intera città era nelle mani degli ebrei.
Dai centri arabi le notizie arrivano confuse. Si guarda con ansia all’azione dell’esercito egiziano. Tutto l’Egitto ha assunto l’aspetto di un Paese in guerra. Al Cairo sono stati arrestati stamane seicento ebrei e molti stranieri sospetti che con autocarri sono stati immediatamente avviati ai campi di concentramento predisposti in questi giorni. Molti sperano che in caso di necessità, la Turchia, la Persia e il Pakistan intervengano a fianco dei popoli arabi in lotta contro il sionismo.
Dal Cairo notizie non ancora confermate annunciano che diecimila soldati egiziani e una divisione corazzata stanno ultimando i loro preparativi d’attacco alla frontiera meridionale della Palestina. Re Faruk ha diretto un proclama alle truppe egiziane avanzanti in Palestina nel quale sottolinea «la missione di gloria affidata alle forze armate dell’Egitto» e conclude con queste parole: «Dio è con noi e per volontà di Dio la vittoria sarà nostra!». Da Roma è giunta, attraverso fonti diplomatiche, la notizia che la corvetta italiana «Baionetta» è salpata questa mattina per Caifa e Giaffa dove prenderà a bordo gli italiani che desiderano lasciare la Palestina.
Il bombardamento udito in America.
New York, sabato sera.
La «Columbia Broadsasting System» annuncia che mentre si udivano le parole di Ben Gurion: «In questo momento bombardano Tel Aviv» era possibile sentire i boati delle esplosioni.
Uno «Spitfire» abbattuto a Tel Aviv.
Tel Aviv, sabato sera.
L’Haganah ha annunciato ufficialmente che stamani è stato abbattuto uno «Spitfire» nemico nella regione di Tel Aviv. Sembra che il pilota, un egiziano, sia stato catturato. L’aereo è stato fatto precipitare nella seconda incursione compiuta nella mattinata su Tel Aviv, a tre ore di distanza dalla prima. Gli aerei hanno sganciato bombe ed hanno mitragliato vari obiettivi.
Si prega a Bagdad per la vittoria araba.
Cairo, sabato sera.
Nelle moschee di Bagdad vengono elevate preghiere per il successo delle armi arabe. In città la vita sembra continuare normalmente: nei bazar e nei piccoli centri caffè sulle sponde del Tigri gli arabi svolgono la loro solita attività e non si vedono soldati né automezzi militari. I prezzi però hanno cominciato ad aumentare e fra la popolazione si manifesta la convinzione che la lotta sarà dura e forse lunga, sebbene tutti manifestino la certezza della vittoria finale.
In festa gli ebrei questa notte a New York.
New York, sabato sera.
L’annuncio del riconoscimento del nuovo stato d’Israele da parte del governo di Washington è stato accolto con gioia profonda da tutti gli ebrei degli Stati Uniti. Centinaia di giovani israeliti hanno inscenato manifestazioni entusiastiche nella «Times Square» dove hanno trascorso quasi tutta la notte cantando ed agitando bandiere.
Alzabandiera a Roma all’«Agenzia ebraica».
Roma, sabato sera.
Questa notte numerosi israeliti si sono riuniti nella sede della delegazione dell’«Agenzia ebraica» in Italia, in via Reno n. 2, per la cerimonia dell’alzabandiera, primo atto solenne nell’istante della proclamazione dello Stato ebraico.
Cap. 5
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Primo giorno di guerra in Palestina
La Nuova Stampa,
Anno IV, Nr. 108, p. 1
domenica, 16 maggio 1948
Titoli: Gli Arabi contro lo Stato d’Israele. Primo giorno di guerra in Palestina. Quattro incursioni su Tel Aviv. Popolazione di una colonia ebraica massacrata. Intrighi e interessi.
I fatti della Palestina rientrano nel quadro del dissolvimento dell’impero britannico. La Terra Santa, non colonia inglese, né dominio, era solo sottoposta a mandato; tuttavia il capitolo della storia d’Inghilterra in cui si parla di abbandono di territori sui quali aveva sventolato l’Union Jack si è incominciato a scriverlo appena dopo l’ultima guerra, quando l’esausto vecchio e grande impero, ha dovuto rinunciare alla difesa a tutti i costi delle antiche posizioni, cedendo lo scettro mondiale agli Stati Uniti. Dall’India si è ritirato l’anno scorso dopo circa due secoli e mezzo, e ieri si è ritirato dalla Palestina, dopo ventisette anni.
Stragi e lutti non ancora finiti successero in India al tramonto della dominazione britannica e in Palestina abbiamo guerra dichiarata fra ebrei e arabi: ci rattrista l’averlo profetizzato già nel dicembre e più tristi saremo se, non sopravvenendo una tregua o un accordo, il conflitto avesse per gli ebrei, oggi in preda a un meraviglioso entusiasmo, l’esito da noi temuto. Ma il conflitto non sarà facile limitarlo agli arabi e agli ebrei della regione, giacché Paesi arabi confinanti sono intervenuti e altri forse interverranno. C’è nello sfondo una rete di intrighi, di gelosie, di interessi che ostacola terribilmente la soluzione. Se re Faruk fa gli auguri al comandante delle sue truppe destinate ad agire oltre la frontiera, questo ad esempio vuol dire che il sovrano egiziano tiene nel mondo arabo al posto di
primus Inter pares.
Faruk, in certo senso, sta alle calcagna di re Abdallah di Transgiordania troppo ligio agli inglesi, che lui non ama:. Faruk non può permettere che la crisi palestinese si risolva ai suoi danni con un ingrandimento della Transgiordania, base militare britannica del Levante, ed entra in guerra per accaparrarsi il diritto di dire la sua il giorno dell'epilogo. Sbagliano quanti pensano che Abdallah, occupata che abbia la parte araba della Palestina, si arresterà rispettoso ai confini del novello Stato ebraico: gli arabi di tutto il Levante non vogliono che con una passeggiata militare egli ingrandisca il suo reame, bensì si aspettano la libertà della Palestina intera.
II Muftì di Gerusalemme sta a Damasco assieme a Fauzi Kaugi, e alla corte di Ibn Saud gode di asilo quel Rashid el Gailani che nel 1941 osò scatenare nell’Irak una sommossa anti-inglese: e contro l’Inghilterra l’Irak ha osato ribellarsi di nuovo tre mesi addietro, rovesciando il Governo che aveva sottoscritto un trattato il quale riportava il Paese alle condizioni di sette anni fa. Abdallah di Transgiordania queste cose le conosce molto bene.
Le conosce oramai molto bene la stessa Inghilterra. Perciò oggi esita a imitare il gesto americano del sollecito riconoscimento
de facto dello Stato di Israele. Il Presidente degli Stati Uniti non ha, purtroppo, trattato il problema palestinese colla fermezza che caratterizza altre sue azioni: un giorno l’ha preoccupato il voto degli influenti elettori ebraici in America e all’indomani si è tirato indietro a motivo degli interessi petroliferi americani del vicino Oriente; un giorno ha intimato all’Inghilterra di lasciare subito immigrare in Palestina centomila ebrei e quando l’Inghilterra ha deciso di cavarsi fuori dagli impicci restituendo il mandato alle Nazioni Unite, ha approvato un programma di spartizione che poi lo ha reso perplesso. Non si è voluto schierare né contro gli arabi né contro gli ebrei.
Per ultimo l’ha impaurito la visione dell’intervento russo in Palestina che senza dubbio sarebbe stato inevitabile se il Consiglio di sicurezza dell’U.N.O. avesse deciso un’azione collettiva di polizia: sarebbero passati i russi per i Dardanelli o per la Persia? E si sarebbero poi ritirati al termine del compito comune? Chi ponga mente alla politica svolta da Washington in Turchia, in Persia e in tutto il bacino del Mediterrano, riconoscerà che quel tipo di azione collettiva era impossibile. Ma ciò non vieta alla Russia di approfittare ugualmente della confusione palestinese, dato che forti gruppi ebraici, spinti dalla disperazione, volgono lo sguardo verso Mosca che non è per nulla propensa, ne siamo convinti, a compromettersi né per gli ebrei né per gli arabi. Tale e quale come l’America.
Oggi noi escludiamo che la guerra — una piccola guerra, ma sanguinosa e dolorosa lo stesso — possa essere soffocata sul nascere: occorreranno tempo, sacrifici e pazienza, né crediamo che dal conflitto possa scaturire un consolidamento della posizione degli Stati occidentali nel Levante. Altre tendenze ispirano le azioni dei popoli orientali, dal Mediterraneo al Mar Giallo e al Pacifico, e così quelle degli arabi dal Mediterraneo all’Atlantico. E il meglio è forse che ad un accordo in Palestina gli ebrei e gli arabi arrivino da soli, potendo interferenze straniere provocare maggiori sciagure.
Italo Zingarelli
Cap. 6
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Una lotta aspra
La Nuova Stampa,
Anno IV, Nr. 108, p. 1
domenica, 16 maggio 1948
Titoli: Una lotta aspra. L’offensiva araba si delinea su tre direttrici. I
sionisti decisi a battersi fino all’estremo.
(Nostro servizio
particolare)
Tel Aviv, 15 maggio.
Lo Stato di Israele ha un giorno di
vita. E un giorno di vita ha pure la «guerra» vera e propria.
L’Haganah ha cessato di esistere, sotto tale nome, e si è trasformata in
«esercito di Israele». La formazione ebraica ha quindi perso il
carattere di «corpo di polizia» per acquistare quello di reparto
combattente, agli ordini del nuovo governo.
Dopo l’entusiasmo e
l’ottimismo di questa notte nella nuova capitale, è subentrato un
sentimento di serietà e gravità. Gli ebrei sono perfettamente coscienti
della situazione, e sanno che le forze arabe sono decise a tutto. Anche i
primi successi ebraici contro posizioni locali arabe, sembra facciano
parte di un piano prestabilito da parte dell’alto comando arabo.
Infatti le formazioni della legione araba, allo scadere dell’ora zero,
si sono tutte ritirate su isole di resistenza tenendo impegnate
saldamente le forze ebraiche partite con decisione all’attacco. Lo scopo
di questa manovra sembra chiaro: legare gli ebrei ad una guerra di
posizione, per dar tempo agli eserciti di invasione, che urgono da tutte
le frontiere, di coglierli alle spalle.
Le direttrici di marcia sono
per il momento tre: dal Libano, dove colonne corazzate hanno investito
il caposaldo di Dan, dalla Transgiordania che ha visto l’occupazione di
Gerico, e dal sud, da parte egiziana, di dove però non si registrano
azioni di movimento. Gli ebrei hanno sferrato la offensiva contro le
posizioni della Galilea occidentale, che dichiarano ormai in loro
possesso, e sulla rotabile Tel Aviv-Gerusalemme, che deve essere
mantenuta libera, per permettere il flusso dei rifornimenti alla Città
Santa.
L’azione aerea su Tel Aviv ha permesso di registrare fino a
questo momento quattro attacchi: il primo contro il porto e l’aerodromo,
terminato con l’incendio di un capannone e di un apparecchio al suolo,
il secondo e il terzo respinti dalla caccia israelita. Probabilmente il
terzo era diretto contro le due navi ebraiche provenienti da Cipro e da
Marsiglia con a bordo un migliaio di profughi. Il quarto è avvenuto
nelle tarde ore del pomeriggio sulla città.
Gli attacchi però non sono
riusciti. La caccia ebraica si è levata tempestivamente, respingendo con
pronta azione gli aerei cacciabombardieri egiziani, i quali hanno rotto
immediatamente il contatto. Un aereo è stato abbattuto, ed il pilota si
è salvato col paracadute, venendo immediatamente fatto prigioniero. Era
un ufficiale egiziano proveniente da un corso di addestramento seguito
l’inverno scorso negli Stati Uniti.
Ma questo riferimento alla
America, anche nel campo arabo, non ha sminuito la popolarità alla quale
sono immediatamente assurti gli americani, dopo la dichiarazione di
Truman, che ha riconosciuto lo Stato di Israele. Un portavoce del
governo di Israele, interrogato in proposito allo svolgimento delle
operazioni, affermava questa sera che la situazione, pur mantenendosi
per il momento nettamente favorevole all’iniziativa sionista lascia
adito a poche speranze. La disparità delle forze è troppo evidente.
Tuttavia, ha aggiunto il portavoce, la decisione di proseguire è
fermissima nell’animo di tutti. Anche se la vita ufficiale del nuovo
Stato ebraico dovesse essere di breve durata, egli ha precisato, si
tornerebbe alla lotta clandestina, in cui gli ebrei sono maestri, e si
continuerebbe a combattere fino all’ultimo uomo e fino all’ultima
cartuccia. Un fattore indiscutibilmente positivo anche nella probabilità
di questa evenienza è rappresentato dall’apporto di forze nuove che
giungono a migliaia da tutti i paesi europei. Oggi per la prima volta
due navi sono entrate nel porto di Caifa ed una proveniva dall’Italia.
A
Tel Aviv la situazione è calma. La città è rimasta oscurata nella
notte, facendo vivo contrasto con la vicina Giaffa, illuminatissima. La
linea di confine è guardata da reparti dell’esercito e della Irgun, che
controllano la cosiddetta terra di nessuno, alla ricerca di mine. Ma
oltre questa linea, come già prima, non si può circolare e chiunque
viene sorpreso a oltrepassare la zona limite — dice un comunicato
dell’esercito — verrà fatto segno a fuoco immediato senza preavviso. La
intera popolazione della colonia ebraica di Kfar et Zion è stata
massacrata dagli arabi.
In serata si è appreso che le truppe egiziane
hanno occupato Gaza a 32 Km. oltre la frontiera palestinese. Dalle
linee di combattimento dispacci dell’ultima ora rendono noto che da
parte araba l’impiego di mezzi è eccezionalmente notevole e
modernissimo. Si parla, e sono fatti sicuri, di rifornimenti aerei della
migliore tecnica, alle colonne in marcia, e di truppe aerotrasportate,
di reparti di guastatori. Guerra vera, quindi, e moderna, cioè
micidiale.
Leo Turner
Cap. 7
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↑ 16.5.1948 ↓ infra ⤇ plus
Londra non riconosce il nuovo stato sionista
La Nuova Stampa,
Anno IV, Nr. 108, p. 1
domenica, 16 maggio 1948
Londra, 15 maggio.
Sebbene non sia stata fatta finora alcuna
dichiarazione ufficiale, si può ritenere per certo che per il momento il
Governo britannico non riconoscerà lo Stato ebraico in Palestina.
Cap. 8
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↑ 16.5.1948 ↓ infra ⤇ plus
Truman abolirà l’embargo sulle armi?
La Nuova Stampa,
Anno IV, Nr. 108, p. 1
domenica, 16 maggio 1948
(Dal nostro corrispondente)
Washington, 15 maggio.
L’attenzione del mondo è attratta dalla
dichiarazione di Washington di riconoscere lo Stato di Israele. Regna in
proposito una certa perplessità, in quanto questa mossa non era
prevista. Il segretario della Casa Bianca, Charles Ross, ha
tenuto a proposlto una conferenza stampa, precisando che le reazioni
del paese erano per il momento pienamente favorevoli.
Dal canto suo il
segretario di Stato Marshall ha dato disposizioni severissime ai
funzionari del dipartimento di Stato, vietando loro, sotto minaccia di
sanzioni immediate, di discutere con giornalisti la questione del
riconoscimento del governo di Tel Aviv.
Un portavoce ha fatto sapere
che il Presidente Truman starebbe considerando l’eventualità di
intraprendere relazioni diplomatiche con il governo di Israele. Si è
anche parlato di una reazione di Warren Austin,, che avrebbe dato le
dimissioni dalla carica di capo della delegazione statunitense alle
Nazioni Unite, voce non confermata negli ambienti ufficiali, perché non
informato della decisione di Truman e quindi posto in una situazione di
grande imbarazzo. Dalla Casa Bianca, infine giunge un’altra notizia
secondo la quale il Presidente Truman starebbe studiando la proposta di
togliere l’embargo agli invii di armi in Palestina.
e. d.
Cap. 9
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↑ 16.5.1948 ↓ infra ⤇ plus
Esame a Mosca e negli S. U. delle possibilità di accordo
La Nuova Stampa,
Anno IV, Nr. 108, p. 1
domenica, 16 maggio 1948
Washington, 15
maggio.
Funzionari americani hanno cominciato ad esaminare le
possibilità di pace che potrebbero derivare da eventuali
conversazioni russo-americane e ciò nella speranza di mettere fine alla guerra fredda in atto, e si ritiene che altrettanto stiano facendo Stalin e i membri del Polit Bureau. È opinione generale che dopo il recente scambio di
note fra Washington e Mosca la porta sia ancora aperta per la pace.
Sembra pertanto probabile che, tra una o due settimane, partirà da una
delle due capitali una nota per sondare quali possibilità di discussione
esistano.
Cap. 10
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↑ 17.6.1948 ↓ infra ⤇ plus
Un ministro d’Israele
La Nuova Stampa,
Anno IV, Nr. 134, p.3
giovedì, 17 giugno 1948
(Dal nostro inviato speciale)
TEL AVIV, giugno.
Tel Aviv venne fondata nel 1909 come un sobborgo ebraico di Giaffa; adesso Giaffa è un sobborgo arabo di Tel Aviv, ma la capitale non dispone di palazzi per i vari ministeri. È un fatto sorprendente se si tiene conto della rigorosa quanto occulta pianificazione che guida le mosse del sionismo. Né si deve pensare ad una furberia ebraica per non dar nell’occhio agli arabi e all’Inghilterra. Gli arabi quasi non si accorsero delle sessanta famiglie sbarcate sulla lista sabbiosa della costa e alloggiate in baracche di latta; gli inglesi pur seguendo attentamente quanto accadeva nel Medio Oriente non ritennero pericolosi, almeno pel momento, quei disperati pionieri. Gli ebrei nel giro di quarant’anni tirarono su una capitale di duecentocinquantamila abitanti, ma non i ministeri dello stato futuro. Oggi sono costretti ad improvvisarli. Il ministero degli esteri si trova, per esempio, in un villino in costruzione, alla periferia, tra molti altri fatti in serie e disseminati entro un bosco di pini. Vi lavorano manovali e falegnami, stuccatori ed elettricisti.
Il ministro Moshe Shertok è un infaticabile parlatore: la fluidità delle sue otto lingue (ebraico, yiddisch, inglese, francese, tedesco, arabo, turco, spagnolo) non sopporta inopportune interruzioni. Egli riesce, parlando, a schematizzare su un blocchetto di carta piante e tracciati a commento di ciò che espone con cartesiana chiarezza. È un russo di Cherson, ove nacque cinquantanni fa; ma è turco come formazione universitaria e militare, essendosi laureato in diritto a Istanbul e avendo servito la Sublime Porta come ufficiale dell’esercito. Può anche considerarsi inglese come mentalità e studi economici, visto che ha preso la laurea in economia politica a Cambridge; ma il signor Shertok, se si tengono nel dovuto conto le relazioni da lui strette con le famiglie effendiali della Palestina, del Libano, della Transgiordania, si può considerare anche intimo del mondo arabo. Malgrado sembri incredibile, il ministro degli esteri d’Israele, è legato di gratitudine alla famiglia di uno dei più accaniti nemici degli ebrei, il re Feisal dell’Irak, nipote di Hussein effendi che protesse Shertok da bambino e ne curò l’educazione. A questi dati principali della complessa personalità del signor Shertok va aggiunto che stabilito il mandato inglese sopra la Palestina egli divenne sionista. Ma il giovane Shertok accettò il sionismo principalmente perché prometteva agli ebrei di farli vivere e non morire in Palestina. Entrò nella politica, divenne presto un notevole esponente del partito laburista ebraico. Oggi è il partito di Governo più numeroso; la sua sigla è MAPAI (Mifleghet Poatei Eretz Israel) ma la sezione alla quale appartennero i membri russi si chiamò Polè Zion. Al ritorno da Londra, dopo il conseguimento della laurea, Shertok entrò nella Agenzia Ebraica, come segretario del capo della sezione politica, un altro russo di nome Arleosorov. Avremo modo di chiarire quale rigorosa opposizione esercitino in seno all’Agenzia Ebraica le altre correnti politiche. Nel caso specifico del signor Arleosorov il partito revisionista, meglio noto come ZO (Zionist Organisation) non ne approvò la politica di compromesso. Per intenderci i revisionisti ebraici sono dei nazionalisti di estrema destra assai somiglianti ai nostri corradiniani di 40 anni fa. A costoro non repugnano certi metodi polemici. In breve: Arleosorov venne assassinato a Tel Aviv e Shertok gli succedette nel posto. Da questo momento in poi egli sarà l’esecutore della politica decisa a Washington e a Londra dai capi del sionismo mondiale. Siamo nell’anno 1933.
Le idee del signor Shertok, pel futuro immediato del suo paese sono queste che tento di riassumere. In primis: gli ebrei non hanno scelta; essi o saranno nazione riconosciuta o non saranno. Se il riconoscimento più o meno immediato da parte dell’Inghilterra e delle potenze mondiali non dovesse avvenire gli ebrei sarebbero destinati a perire. Ma è impossibile sopprimere dei popoli; Hitler stesso lo ha tentato senza riuscirvi, quindi gli ebrei la spunteranno. Inoltre: gli ebrei desiderano uno stato di parità con le nazioni arabe e con le altre nazioni. La questione di Gerusalemme è per gli ebrei di primaria importanza poiché la maggioranza della popolazione è israelitica. Tuttavia il governo di Tel Aviv accetta il progetto di internazionalizzazione dei Luoghi Santi, nella Città Vecchia; mentre la Città Nuova, può essere spartita con gli arabi. Infine: possibilità di creare una unione economica, sul tipo del Benelux, con gli stati arabi. Insomma il signor Shertok è un collaborazionista e crede di poter andare d’accordo con gli arabi allargando ai loro paesi il dinamismo, la potenza penetrante, la avanzatissima democrazia dello stato ebraico.
Non sono credibili, almeno per il momento, tali idilliache possibilità. L’Iniziativa ebraica e la modernità del suol metodi costituiscono agli occhi degli arabi un pericolo di cui lo sviluppo di Tel Aviv è la prova vivente. Allora? Gli ebrei sanno attendere, benché il Governo e il signor Shertok stesso si trovino sotto l’acuta sollecitazione di partiti d’opposizione che come quello revisionista, dispongono di argomenti polemici del tipo sperimentato dal signor Arleosorov, quindici anni fa. I revisionisti contano e contano molto, non soltanto pei loro metodi di terrore politico ma anche per l’influenza che cantano in seno all’Agenzia Ebraica. La loro lotta agli elementi moderati condusse all’eliminazione di Jabotinski, alla estromissione per un certo periodo dello stesso signor Chaim Weizmann, attuale presidente della repubblica. La lotta politica all’interno del paese, come si vede, è acuta. Se la Lega araba soffre delle rivalità tra i re che la compongono, lo stato d’Israele soffre di una lotta di tendenze in cui i «moderati», attuali detentori del potere, si devono giustificare continuamente davanti alla opinione pubblica. Certo: il partito Mapai, sul quale poggia il potere, è forte, numeroso, ricco di uomini eminenti come il presidente Ben Gurion, il ministro Shertok, il ministro delle finanze Kaplan, i ministri Breenbaum e Bernestein (che appartengono però alla frazione «sionisti generali»). Ma rischia di passare come un’accolta di traditori della patria nei confronti degli estremisti che pubblicano cartine geografiche in cui il futuro stato di Israele si espande su tutta le Siria e la Mesopotamia, raggiunge il golfo di Akaba e l’Egitto, e cancella dalla faccia della terra gli stati della Lega araba.
Lentamente, prudentemente, il Governo di Tel Aviv cerca di eliminare, in nome della unità delle forze armate, gli strumenti dell’opposizione, che sono le organizzazioni terroristiche. La «Irgun Zwei Leumi» e la banda Stern dovrebbero incorporarsi all’esercito d’Israele (Zawà Israel). Al fine di combattere i criminali annidati tra gli estremisti il governo ha nominato capo della polizia il brigadiere generale Yekorkel Sacharow animato — mi ha lui stesso detto — delle migliori e più energiche intenzioni.
Ma Sacharow non dispone di prigioni, per esempio. I coloni di Tel Aviv non ne costruirono e vennero adoperate quelle di Gerusalemme, adesso in mano degli arabi, e quelle di San Giovanni d’Acri, adesso piene. Sacharow ha richiesto al governo la disponibilità di un edificio adatto. Se ne sono gettate le fondamenta a dieci chilometri dalla città. Così, in questi giorni, a Tel Aviv, costruiscono i ministeri e le carceri: nasce lo Stato.
Giovanni Artieri