novembre 07, 2009

Lo «Stato Unico di Palestina» come unica ipotesi realistica.


Mi attengo all’idea enunciata da Ilan Pappe secondo cui è improprio e fuorviante parlare di “conflitto” israelo-palestinese nella misura in cui il termine conflitto evoca una dualità. Si è in realtà di un processo coloniale di conquista e pulizia etnica degli indigeni analogo a quanto era già avvenuto in America dopo lo sbarco di Colombo. Questo processo di occupazione coloniale è databile a partire dal 1882, ma è chiaramente ormai anacronistico. Ad esserne colpite non sono soltanto pochi milioni di palestinesi, ma un mondo musulmano di un miliardo e quattrocento milioni di persone. Non è possibile. Dopo “Piombo Fuso” e l’indecente continuazione degli insediamenti coloniali si rivela in tutta la sua pretestuosità. Il documento che segue mi appare interessante. Lo riporto per averlo a portato di mano per ulteriori riflessioni.
Comunicato del Forum Palestina
Fonte


La dichiarazione dello scorso 5 novembre con cui Saeb Erekat, il capo negoziatore dell’Autorità Nazionale Palestinese, ha definito come fallita la soluzione dei “due popoli per due Stati” e come inevitabile l’alternativa dello “Stato unico”, segna in sé un passaggio significativo.


Arriva da un’istituzione in difficoltà, che ha al suo vertice un presidente in crisi di popolarità e di credibilità agli occhi del suo popolo, Abu Mazen, che dopo aver assecondato negli anni il percorso inaugurato dagli Accordi di Oslo e basato sulla “pace in cambio di terra”, non ha fatto che favorire l’indebolimento della lotta palestinese sul terreno politico e la progressiva espansione delle colonie senza ottenere in cambio alcuna pace. E’ un messaggio rivolto all’esterno, agli USA di Obama, piuttosto che alle organizzazioni politiche e della società civile che l’ANP vuole rappresentare, e in quanto tale esercita una pressione non pienamente maturata a livello collettivo. Ma pone senz’altro le basi affinché finalmente l’unica soluzione possibile per una pace che sia anche giusta sia inserita nell’agenda politica palestinese come terreno di lotta e di negoziato credibile.


Ci siamo confrontati più volte con attivisti, intellettuali ed esponenti politici palestinesi, ma anche israeliani antisionisti, in merito alla soluzione dello Stato Unico, sottolineando proprio come quella che appare come l’unica ipotesi realistica per la fine del colonialismo sionista non trovi ancora ufficialmente spazio nella piattaforma politica dei partiti palestinesi. Oggi in qualche modo il passo indietro dell’ANP obbliga a rivolgere l’attenzione alla possibilità di uno Stato che, senza coincidere con la “Grande Israele” auspicata dai fondatori dell’ideologia sionista, sia realmente democratico con pari diritti per tutti i suoi cittadini.


Da Oslo a Camp David e a Madrid, tutti gli accordi internazionali basati sulla soluzione dei due popoli per due Stati (mentre porzioni sempre più ampie di territorio palestinese venivano strappate dal Muro e dalle colonie) hanno sempre fatto da paravento all’obiettivo sionista di ampliare il territorio israeliano, di rendere sempre più puramente ebraico il carattere dello Stato di Israele, e di mantenere in piedi l’immagine di Stato democratico di fronte alla politica internazionale e all’opinione pubblica mondiale. Ormai la realtà dei fatti dimostra da tempo che è proprio mettendo in discussione i presupposti di Oslo, su cui fino ad oggi si sono fondati i cosiddetti “negoziati di pace” con il coinvolgimento delle potenze occidentali complici dell’occupazione, che la lotta per l’autodeterminazione palestinese potrà concretamente mettere in discussione i presupposti su cui si basano il sionismo e la sua strategia colonialista.


La dichiarazione di fallimento che arriva dal negoziatore palestinese e dai vertici dell’ANP spalanca una finestra sulla realtà e sulla possibilità di ridefinire su nuove basi gli obiettivi strategici della lotta di liberazione palestinese offrendo un’ulteriore occasione di riflessione anche al movimento di solidarietà internazionale che attraverso la campagna BDS si sta allargando producendo risultati concreti ed efficaci.


Assumere oggi la soluzione dello Stato Unico come ipotesi su cui dare battaglia politica significa contrastare apertamente la strategia sionista: è anche per questo motivo che nell’ultima delle 10 domande su cui studiosi, giornalisti e attivisti italiani, palestinesi e israeliani saranno chiamati a rispondere il 28 e 29 novembre a Roma, poniamo il seguente interrogativo: “Il progetto di uno Stato Unico per ebrei e palestinesi è da ritenersi una minaccia o una soluzione possibile per la pace in Medio Oriente?”. A nostro avviso è innanzitutto è la realtà che ci sta dando delle indicazioni e di queste occorrerà tenere necessariamente conto.

Il Forum Palestina


È dal sito di Forum Palestina ed è un suo documento. Io vedo due possibilità: a) la continuazione del processo genocidario; b) l’inevitabile convivenza di ebrei e palestinesi con vera e assoluta parità di diritti all’interno di uno stesso territorio. Tolta l’ipotesi fallimentare e non credibile dei due stati, non vedo altre soluzioni logiche al problema. La nessuna soluzione significa che procede nel tempo l’ipotesi a). Il tempo non è fermo. Il tempo procede fin dal 1882 per la realizione della prima ipotesi: quella genocidaria. Se si fosse trattato degli indiani d’America, sarebbe già giunta al suo compimento e si sarebbe parlato di “destino” dei palestinesi, come si è parlato di “destino” inevitabile degli indiani. Una nuova categoria irrompe sulla scena del pensiero politico: il destino!




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