dicembre 25, 2009

Per uno studio su Hamas, esplorando ciò che offre la rete


Ch’io sappia, esiste un solo libro organico su Hamas in lingua italiana. È il volume di Paola Caridi, uscito da poco tempo. È però un libro di difficile lettura, come ammette la stessa autrice. Forse la difficoltà è insita a ciò che si potrebbe e dovrebbe dire ed invece non si vuole e non si può dire. Al pari di altri temi, anche per Hamas è stata votata una damnatio: non se ne può e non se ne deve parlare, se non per dirne tutto il male possibile. Chiunque pensasse di violare questa consegna di regime, verrebbe immediatamente demonizzato lui stesso. Lo abbiamo appreso personalmente. Tuttavia, non ci lasciamo impressionare e continuiamo nel nostro metodo di cercare nella rete stessa o in libri a noi accessibili, ciò che aiuta a capire e che ci offre dati e informazioni altrimenti ignoti. Sappiamo al massimo da dove partiamo, ma non sappiamo dove arriveremo.

Sommario: 1. Come Hamas vinse nel gennaio 2006. – 2. Hamas distingue fra ebrei e sionisti. – 3. La lista nera del terrorismo. – 4. L’incredibile numero dei prigionieri palestinesi. – 5. Gli omicidi “mirati”. – 6. La riforma linguistica. – 7. Anche i tunnel sono “terroristi”. – 8.

1. Come Hamas vinse nel gennaio del 2006. – Andando al link del titolo si trova un articolo di Michel Guglielmo Torri, cui attingiamo dall’archivio di “Come don Chisciotte”, nostra fonte privilegiata che esploreremo cronologicamente, salvo integrarla con altre fonti. La diffamazione di Hamas, la cui democraticissima vittoria elettorale non era gradita, incomincia subito, come subito incominciò l’assedio israeliano di Gaza. Bel modo di intendere la “democratizzazione” all’occidentale: i risultati elettorali ed il regime che ne risulta vanno bene, se piacciono al padrino. Altrimenti… Torri ricostruisce l’evento risalendo all’antefatto di Camp David, nel 2000, quando fallirono le eterne trattative perché gli israliano non intendevano concedere proprio nulla ad Arafat, che voleva uno stato palestinese sui territori precedenti il 1967. Inutile per me riferire circa le trattative. Roba da mercanti. Da filosofo a me basta rilevare il totale deficit di legittimità da parte di Israele. La legalità costruita sui concreti rapporti di forza, sulla conquista violenta del territorio, è cosa che non può entrare nella mia considerazione. Se fossi un politico ed un protagonista degli eventi, il mio modo di ragionare potrebbe essere diverso. Ma ad ognuno il suo. E dunque ricostruisco la storia in modo che abbia per me un senso piuttosto che averne nessuno.

2. Hamas distingue fra ebrei e sionisti. – Nell’intervista che Silvia Cattori fa al leader di Hamas Moshir Al Masri emerge subito la fondamentale distinzione fra ebrei in quanto tali e sionisti. Occorre qui rinviare al libro di Rabkin per questa distinzione, assai importante, ma pressoché totalmente sconosciuta ai nostri media ed al giudizio corrente su questi fatti, inficiati da gravissimi pregiudizi. L’esistenza di Hamas è perfettamente legale in quanto resistenza legittima ad un’occupazione illegale e peggio che coloniale, ricordando che il colonianismo storico del XVIII e XIX secondo non si era proposto in linea di principio la pulizia etnica e lo sterminio degli indigeni, che sarebbero stati se mai una assai utile forza lavoro da poter sfruttare. Se il nostro senso morale non fosse stato distorto dai media, dovremmo indignarci contro gli occupanti e non già contro gli occupati che hanno la volontà e la dignità umana di voler e saper resistere in condizioni per noi impensabili.

3. La lista nera del terrorismo. – Troppo spesso accettiamo supinamente che questo o quel movimento sia un gruppo “terrorista” e venga registrato all’anagrafe come tale. In realtà, si tratta di designazione arbitrarie ed unilaterale con le quali si vuole deligittimare un avversario politico, un minoranza, un’intera popolazione. La Bolla viene quindi passata ai media il cui compito diventa quello di alienare la simpatia e la solidarietà verso i soggetti così criminalizzati, che spesso hanno dalla loro tutte le ragioni del diritto naturale. Per Hamas l’inclusione nella lista dei “terroristi” avviene nel 2003. Cercheremo in questo paragrafo di attingere maggiori informazioni su questo interessante meccanismo di delegittimazione e demonizzazione nonché manipolazione della cosiddetta opinione pubblica, che è in realtà una costruzione dei mass media.

4. L’incredibile numero dei prigionieri palestinesi. – Sarebbero oltre 650.000 i palestinesi che sono stati graditi e riveriti ospiti delle carceri israeliani. Sono stati torturati e seviziati. Si è tentato di trasformarli in spie collaborazionisti e non vi è dubbio che in non pochi casi il tentativo abbia avuto successo.

5. Gli omicidi “mirati”. – E pensare che ad essere indicati come “terroristi” sono gli appartenenti ad Hamas! Moshir al Masri dice che questa prassi può aver successo solo grazie alla collaborazione dell’Autorità palestinese, vero e proprio governo quisling.

6. La riforma linguistica. – Scompare dalla terminologia dell’OLP tutta una serie di termini ed espressioni: non si parla più di “diritto al ritorno” dei palestinesi, ma si “soluzione del problema dei profughi”, scompare la dizione “nemico israeliano” e simili. L’Hasbara israeliana, l’ufficio della propaganda, ha al riguardo una grande esperienza. I mass media occidentali si attengono strettamente al vocabolario fornito loro dall’Hasbara. La politica del “fatto compiuto” trova una sua prima realizzazione nella riforma linguistica e nella complicità con la quale viene accettata dagli uomini di Abu Mazen.

7. Anche i tunnel sono “terroristi”. – Credo che ormai ogni persona, anche di modesta capacità critica, possa rendersi di quali livelli di manipolazione vada toccando il sistema dell’informazione. Adesso abbiamo non solo persone definite “terroriste”, ma addirittura “tunnel”. Aspettiamoci dunque sedie terroriste, scarpe terroriste, e chissà quanto altro.

(segue)

dicembre 24, 2009

Ministri: 82. Catherine Ashton, primo ministro europeo degli esteri.

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È assai presto per farsi un’idea di cosa riuscirà a fare una figura che viene presentata come il primo ministro europeo degli esteri, cioè dell’Unione Europea, una costruzioni che ci inquieta non poco. Si era parlato dell’italiano Massimo D’Alema come possibile candidato a questa carica, ma poi ha prevalso la britannica Lady Catherine Ashton, le cue prime prese di posizione riguardo l’area mediorientale le hanno subito attirato la patente di “antisemita” e addirittura di “razzista” per aver ricordato che la Cisgiordania e Gerusalemme Est restano per il diritto internazionale zone di occupazione militare con tutti gli obblighi che il diritto internazionale impone. In un certo senso, è da salutare positivamente l’accusa strumentale di “antisemitismo” a critici ed avversari. In questo modo il termine si dovrebbe sempre più svuotare di qualsiasi significato e diventare – si spera – innocuo per che ne è gratificato quanto privo di senso ed atto a far vedere la malafede di chi con simili accuse pensa di potersi sottrarre ad ogni critica e ad ogni analisi politica.

vers. 1.o/24.14.09
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Sommario: 1. Israele deve fermarsi. –

1. Israele deve fermarsi. – Il link conduce ad un articolo di Pino Cabras del 24 dicembre 2009, dove è tratteggiato un profilo della Ashton. L’Ashton pare abbia assunto una posizione dura contra Israele, che continua a tenere impriogionata Gaza. È veramente difficile riuscire ad immaginare un’intera popolazione rinchiusa un un vero e proprio lager, con tanto di recinti e con le chiavi della prigione, dove qualcuno può decidere chi entra e chi esce. Eppure è una realtà geopolitica della nostra epoca per la quale benpensanti, moralisti ed opinionisti manco battono ciglio e ci vogliono far crede che ciò possa essere normale. Con “Piombo Fuso” abbiamo poi visto dove si è spinta questa normalità.

dicembre 05, 2009

Il coinvolgimento italiano in Afghanistan

Circola in questi giorni la notizia di un numero crescente di soldati italiani impegnati in Afghanistan. Questa decisione che i nostri governanti hanno preso in nome del popolo italiano e dell’Italia non mi trova per nulla conseziente. Evidentemente io non sono l’Italia e il popolo italiano, oppure altrettanto evidentemente chi ha preso la decisione anche per me non è lui né il popolo italiano né l’Italia. Senza contare le risorse finanziare che vengono sottratte ai bisogni dei cittadini per produrre morte e desolazione in un paese e contro un popolo che non hanno nessuna colpa verso di noi. Difficilmente i politici responsabili possono darci spiegazioni convincenti per quello che resta un loro colpo di mano sulla testa degli italiani, i cui pensieri e le preoccupazioni quotidiani sono volti a ben altro che al massacro di innocenti e popolazioni inermi. Ma questi sono i tempi felici nei quali ci è dato di vivere.

novembre 23, 2009

Crepe all’interno del fronte ideologico sionista

Esiste un personaggio così autorevole che i «Corretti Informatori» non possono insolentire come fanno ordinariamente con ebrei “rinnegati”, ad esempio Richard Goldstone, che pare si professi perfino sionista. In effetti, vi è da credere che il suo rapporto proprio per questo sia stato alquanto edulcorato. I “crimini” sono probabilmente molto più gravi di quelli riportati. Co Arrigo Levi non si può usare lo stesso tono. Arrigo Levi è un Altissimo Consulente del Presidente della Repubblica. Non aggiungo altro. Da un po’ di tempo perfino un Arrigo Levi deve essersi accorto che è stata superato la misura. Da qui una serie di “risposte”, insolitamente non offensive, al Consulente presidenziale. Questa di David Cassuto, già vice sindaco di Gerusalemme, rimprovera sostanzialmene ai palestinesi di non volersi arrendere, di non volersi accordare, avendo subito ripetute sconfitte non già dal 1948 ad oggi, ma direi dal 1882. La colpa sarebbe poi tutta nostra, ora Arrigo incluso, per il fatto che non riusciamo a convincere i palestinesi ad arrendersi, cioè a sparire non solo dalla carta geografica e dalla geografia umana, ma anche dalla nostra memoria. Ecco un esempio di superiore moralità che si pretende pure da noi tutti! (segue)

novembre 13, 2009

La fine dell’impunità israeliana

Raccogliamo in questo post una serie di links e riflessioni su un concetto che ci sta particolarmente a cuore e ci offende nella nostra sensibilità: la pretesa da parte di Israele di commettere ogni sorta di crimine e malefatte e di accusare al tempo stesso di “antisemitismo” quanti ravvisano nella sua prassi la violazione dei più elementari principi di giustizia e di umanità. Vi sarebbe da capire non l’impunità i sé, ma i fondamenti su cui si basa, le reti di complicità, i meccanismi di condizionamento che consentono tanta impunità. Il discorso sarebbe lungo e ci porterebbe assai lontano. Vi è tutta un’ideologia che si è formata dal 1945 ad oggi e che consiste di convergenze diverse fra loro, ma unite in una posizione comune di demonizzazione maniacale di tutto il mondo precedente il 1945. Non siamo certo dei nostalgici, ma riteniamo che la nostra mente non debba avere ostacoli o tabù nella sua possibilità di ripensare tutto il passato storico, che in quanto tale si sottrae alle contingenze della politica e diventa cultura, spirito.

1. C. C. Caprino: «La diplomazia israeliana sotto scacco». – È un limpido articolo per il quale speriamo vivamente che anche il suo autore non debba attirarsi i fulmini della Nuova Inquisizione che emette sentenze di “antisemitismo”. Se saremo più numerosi, allora varrà il principio “mal comune mezzo gaudio”.

2. Richiesta anglo-francese di una commissione indipendente. – Il rapporto Goldstone apre delle breccie nella pretesa di far sorvolare gli alleati su qualunque cosa gli israeliani facciano, magari in nome della loro “sicurezza”.

novembre 07, 2009

Lo «Stato Unico di Palestina» come unica ipotesi realistica.


Mi attengo all’idea enunciata da Ilan Pappe secondo cui è improprio e fuorviante parlare di “conflitto” israelo-palestinese nella misura in cui il termine conflitto evoca una dualità. Si è in realtà di un processo coloniale di conquista e pulizia etnica degli indigeni analogo a quanto era già avvenuto in America dopo lo sbarco di Colombo. Questo processo di occupazione coloniale è databile a partire dal 1882, ma è chiaramente ormai anacronistico. Ad esserne colpite non sono soltanto pochi milioni di palestinesi, ma un mondo musulmano di un miliardo e quattrocento milioni di persone. Non è possibile. Dopo “Piombo Fuso” e l’indecente continuazione degli insediamenti coloniali si rivela in tutta la sua pretestuosità. Il documento che segue mi appare interessante. Lo riporto per averlo a portato di mano per ulteriori riflessioni.
Comunicato del Forum Palestina
Fonte


La dichiarazione dello scorso 5 novembre con cui Saeb Erekat, il capo negoziatore dell’Autorità Nazionale Palestinese, ha definito come fallita la soluzione dei “due popoli per due Stati” e come inevitabile l’alternativa dello “Stato unico”, segna in sé un passaggio significativo.


Arriva da un’istituzione in difficoltà, che ha al suo vertice un presidente in crisi di popolarità e di credibilità agli occhi del suo popolo, Abu Mazen, che dopo aver assecondato negli anni il percorso inaugurato dagli Accordi di Oslo e basato sulla “pace in cambio di terra”, non ha fatto che favorire l’indebolimento della lotta palestinese sul terreno politico e la progressiva espansione delle colonie senza ottenere in cambio alcuna pace. E’ un messaggio rivolto all’esterno, agli USA di Obama, piuttosto che alle organizzazioni politiche e della società civile che l’ANP vuole rappresentare, e in quanto tale esercita una pressione non pienamente maturata a livello collettivo. Ma pone senz’altro le basi affinché finalmente l’unica soluzione possibile per una pace che sia anche giusta sia inserita nell’agenda politica palestinese come terreno di lotta e di negoziato credibile.


Ci siamo confrontati più volte con attivisti, intellettuali ed esponenti politici palestinesi, ma anche israeliani antisionisti, in merito alla soluzione dello Stato Unico, sottolineando proprio come quella che appare come l’unica ipotesi realistica per la fine del colonialismo sionista non trovi ancora ufficialmente spazio nella piattaforma politica dei partiti palestinesi. Oggi in qualche modo il passo indietro dell’ANP obbliga a rivolgere l’attenzione alla possibilità di uno Stato che, senza coincidere con la “Grande Israele” auspicata dai fondatori dell’ideologia sionista, sia realmente democratico con pari diritti per tutti i suoi cittadini.


Da Oslo a Camp David e a Madrid, tutti gli accordi internazionali basati sulla soluzione dei due popoli per due Stati (mentre porzioni sempre più ampie di territorio palestinese venivano strappate dal Muro e dalle colonie) hanno sempre fatto da paravento all’obiettivo sionista di ampliare il territorio israeliano, di rendere sempre più puramente ebraico il carattere dello Stato di Israele, e di mantenere in piedi l’immagine di Stato democratico di fronte alla politica internazionale e all’opinione pubblica mondiale. Ormai la realtà dei fatti dimostra da tempo che è proprio mettendo in discussione i presupposti di Oslo, su cui fino ad oggi si sono fondati i cosiddetti “negoziati di pace” con il coinvolgimento delle potenze occidentali complici dell’occupazione, che la lotta per l’autodeterminazione palestinese potrà concretamente mettere in discussione i presupposti su cui si basano il sionismo e la sua strategia colonialista.


La dichiarazione di fallimento che arriva dal negoziatore palestinese e dai vertici dell’ANP spalanca una finestra sulla realtà e sulla possibilità di ridefinire su nuove basi gli obiettivi strategici della lotta di liberazione palestinese offrendo un’ulteriore occasione di riflessione anche al movimento di solidarietà internazionale che attraverso la campagna BDS si sta allargando producendo risultati concreti ed efficaci.


Assumere oggi la soluzione dello Stato Unico come ipotesi su cui dare battaglia politica significa contrastare apertamente la strategia sionista: è anche per questo motivo che nell’ultima delle 10 domande su cui studiosi, giornalisti e attivisti italiani, palestinesi e israeliani saranno chiamati a rispondere il 28 e 29 novembre a Roma, poniamo il seguente interrogativo: “Il progetto di uno Stato Unico per ebrei e palestinesi è da ritenersi una minaccia o una soluzione possibile per la pace in Medio Oriente?”. A nostro avviso è innanzitutto è la realtà che ci sta dando delle indicazioni e di queste occorrerà tenere necessariamente conto.

Il Forum Palestina


È dal sito di Forum Palestina ed è un suo documento. Io vedo due possibilità: a) la continuazione del processo genocidario; b) l’inevitabile convivenza di ebrei e palestinesi con vera e assoluta parità di diritti all’interno di uno stesso territorio. Tolta l’ipotesi fallimentare e non credibile dei due stati, non vedo altre soluzioni logiche al problema. La nessuna soluzione significa che procede nel tempo l’ipotesi a). Il tempo non è fermo. Il tempo procede fin dal 1882 per la realizione della prima ipotesi: quella genocidaria. Se si fosse trattato degli indiani d’America, sarebbe già giunta al suo compimento e si sarebbe parlato di “destino” dei palestinesi, come si è parlato di “destino” inevitabile degli indiani. Una nuova categoria irrompe sulla scena del pensiero politico: il destino!




novembre 06, 2009

Israele e ONU nei media a proposito del rapporto Goldstone

Da qualche giorno sto cercando di seguire le notizie sul dibattito a proposito del rapporto Goldstone che si è tenuto fino a ieri all’Assemblea generale dell’ONU. Naturalmente, è stata confermata la sostanza del rapporto e si è chiesto ai due soggetti, Hamas e Israele, di fornire entro tre mesi nuove inchieste credibili sui crimini commessi da entrambi le parti. Personalmente, non ritengo che Hamas abbia commesso crimini e che il lancio di risibili sigari Kassam sia un argomento di cui Israele si possa far forte per scansare una politica genocidaria vecchia di almeno un secolo. Ma non è questo ciò che mi preme sottolineare. Trovo che sia una prova della parzialità di buona parte della stampa a noi dispobile il fatto che si riporti in primo piano il punto di vista di Israele che condanna l’ONU. Non è Israele che si deve giustificare di fronte agli occhi del mondo di un’accusa pesantissima che il consesso di tutti gli stati del mondo, la somma assise dei popoli, le rivolge, ma è l’ONU, cioè i popoli del mondo – fatta eccezione per i soliti potenti “amici” – che si deve difendere dalle accuse e dai rimproveri di Israele. Una distorsione grottesca della dimensione oggettiva delle cose. Altra osservazione: come può l’ONU ormai essere invocato come principale fondamento giuridico della nascita dello stato di Israele? Non si può. E allora? Ritorniamo all’«Olocausto», di cui non si può parlare: ne so qualcosa per esperienza diretta. Questo evento è infatti l’unico ormai rimasto per giustificare una vera e propria conquista coloniale che ci riporta ai tempi dei padri pellegrini. Ma non siamo più a quei tempi. I palestinesi non sono gli indiani d’America, il cui genocidio può essere attuato in silenzio e con l’annichilimento della nostra coscienza. Giustamente, dicono gli intellettuali arabi: ma perché allora il vostro stato non ve lo siete fatto in una parte della Germania o in qualche regione d’Europa? I nodi dell’ideologia vengono al pettine. La debolezza degli argomenti è però inversamente proporzionale alla potenza mediatica di cui Israele dispone: piombo fuso in notevolissima quantità.

Si sente spesso dire che questo ultima risoluzione dell’ONU che si aggiunge alle oltre 70 che hanno già condannato Israele non è vincolante. Ma cosa significa? Se le decisioni dell’Assemblea ONU lo fossero, noi avremmo il governo mondiale. Esse hanno in ogni caso un alto valore politico che non può essere ignorate. Le decisioni che hanno meno valore politico sono quelle ottenute con la forza, le pressioni, il ricatto.