A. I, Nr. 2, p. 81-94. 15 Luglio 1921. |
Oriente Moderno. Rivista mensile
Anno I, Nr. 2, 15 Luglio 1921, pp. 81-94
1. Palestina e Mesopotamia. – Presentando alla Camera dei Comuni un progetto di legge per
un credito di 27 milioni circa di sterline per il Medio Oriente (14 giugno) Churchill
ha fatto delle dichiarazioni molto attese dopo il suo recente
viaggio in Egitto e in Palestina. Egli ha in sostanza
riaffermato la volontà britannica di ricostruire la nazione araba e
ristabilire la nazionalità israelitica in Palestina. Per
la Mesopotamia ha annunziato la formazione di un’assemblea
araba, con un Sovrano scelto dagli stessi Arabi, gradito
dall’Inghilterra e amico degli alleati. Esso siederà a Bagdad. Assai
reciso è stato per la Palestina. Ha rilevato che cola si
trovano, su 500.000 Musulmani, 65.000 Israeliti e altri 7.000
ve ne sono stati inviati, provocando preoccupazioni e reazioni
nei Musulmani, che dubitano di vedersi travolti da un’immensa
massa di immigrati. Egli ritiene tali timori ingiustificati, e
fida pienamente nell’opera di Sir Herbert Samuel, che è un ardente sionista. «Io gli offro il mio intero appoggio» ha concluso. Nella
Camera dei Comuni l’aperta difesa del sionismo in un momento
cosi grave ha prodotto una viva impressione, e qualche deputato
ha apertamente disapprovato le dichiarazioni, ritenendole
imprudenti (1).
(1) Il Daily Chronicle (16 giugno) osserva che Churchill ha esposto una linea politica concreta che unisce gli ideali della pace al bisogno di economia dell’Inghilterra, ed è tanto nell’interesse della Francia che dell’Inghilterra che le funzioni che né l'una né l’altra hanno i mezzi e la capacità di esercitare siano affidate agli Arabi più influenti e leali. Il Times (16 giugno) osserva che se vi fosse la sicurezza che le speranze di Churchill poggino su solida base la sua politica potrebbe ispirare fiducia. Fanno molte riserve invece il Manchster Guardian, il Daily Telegraph e specialmente il Daily Mail (16 giugno). Pertinax (Echo de Paris del 16 giugno) non ritiene che il programma di Churchill dia la tranquillità al mondo musulmano; ostile apertamente è l’Homme libre (16 giugno, articolo di Lautier), il quale osserva che in cambio della protezione armata che Churchill offre alla Francia, occorrerebbe far rompere la testa ai soldati di Gouraud per il più gran vantaggio dell’Inghilterra e per darle quelle posizioni che ha tolto alla Francia nell’Asia minore.
3. Discorso Churchill sul Medio Oriente. – Il 14 giugno Churchill tenne alla Camera dei Comuni il suo primo discorso da Ministro delle Colonie, sul bilancio di 27.197.000 sterline per «stipendii e spese nel Medio Oriente». Egli ricorda che l’Inghilterra, sostituendosi al Governo turco in Palestina e in Mesopotamia, si è impegnata a provvedere al loro avvenire e non può ora mancare ai suoi obblighi. Certamente essi non sono illimitati, e potrebbe presentarsi la dura necessità di riconoscere come le risorse finanziarie e militari inglesi non permettano di fare di più. Ma non si è ancora giunti a tanto; anzi appare giustificata la speranza di una felice soluzione, purché le spese di Mesopotamia e Palestina vengano ridotte entro limiti pratici e ragionevoli. Tale è stato il suo primo pensiero. Qui Churchill fa la storia del Dipartimento per il Medio Oriente da lui fondato per coordinare l’azione politica e militare in quelle regioni; esso dipende direttamente dal Ministero delle Colonie ed è responsabile di fronte al Parlamento, che vota separatamente le questioni ad esso relative. La sua formazione permise di ridurre gli effettivi; impresa impossibile finché la direzione militare era separata da quella politica. Se l’attuale politica potrà svolgersi secondo le sue previsioni, i preventivi normali del 1922-23 per ambedue quei paesi non supereranno 9 o 10 milioni di sterline, 10 milioni meno dell’attuale bilancio. Parla poi dei metodi e della politica che permetteranno di raggiungere tali risultati, e comincia dalla Mesopotamia od Irak, a cui nel giugno 1920 l’Alto Commissario Cox promise la prossima costituzione di un Governo arabo sotto un sovrano arabo. Promessa in gran parte adempiuta; da parecchi mesi funziona un Governo provvisorio indigeno formato dal Naqib di Bagdad che malgrado la tarda età ha reso preziosi servizi, (vedi più avanti, in O.M. p. 90, col. I: qui in nota 1). Il Governo provvisorio sarà sostituito nell’estate da un Governo basato su di un’assemblea eletta dal popolo dell’Irak, con un sovrano arabo gradito all’Assemblea e con un esercito arabo per la difesa nazionale. L’Inghilterra non intende imporre all’Irak un principe che non sia stato scelto dal paese, ma quale Potenza mandataria non si può disinteressare di tale questione. Toccherà al Commissario Percy Cok [1864-1937], profondo conoscitore del paese, ed avente rapporti personali con i notabili del paese e con i vari candidati, di guidare il popolo dell’Irak nella sua saggia e libera scelta. Le politiche possibili verso gli Arabi sono due: tenerli divisi, incoraggiare le autonomie locali e fomentare le gelosie fra tribù (e questa fu la politica turca prima della guerra). Oppure, – unico programma compatibile con le promesse fatte agli Arabi durante la guerra, – tentar di costituire intorno a Bagdad uno Stato arabo amico dell’Inghilterra e dei suoi alleati, capace di far rivivere l’antica cultura, le antiche glorie della razza. L’Inghilterra ha deciso di seguire questa seconda politica. L’unica base, su cui ci si possa fondare per dar soddisfazione alla nazione araba, è la casa Sceriffiana della Mecca. Il Re Husein e i suoi figli Faisal e Abdullah dichiararono la guerra ai Turchi e parteciparono validamente alla guerra per la liberazione della Palestina. Ambedue gli Emiri hanno grande influenza nell’Irak, nella classe religiosa come in quella militare, e fra gli Sciiti.
«Gli aderenti di Faisal l’hanno invitato a recarsi in Mesopotamia ed a presentarsi al popolo e all’assemblea che verrà fra poco convocata. Il re Husein gli ha permesso di accettue l’invito, e l’Emiro Abdullah ha rinunciato ai propri diritti in suo favore. Ho informato l’Emiro Faisal, in risposta alla sua richiesta che non venga ostacolata la sua candidatura, che egli è libero di recarsi in Mesopotamia, dove, se viene scelto, sarà riconosciuto e appoggiato dall’Inghilterra. Egli ha già lasciato la Mecca e giungerà in Mesopotamia fra una decina di giorni».
Se l’Assemblea Nazionale, una volta eletta, sceglierà Faisal, vi sarà ragione di bene sperare nell’avvenire del Governo responsabile che l’Inghilterra si propone di appoggiare finché esso, capace di fare da sé, le permetta una rapida e regolare riduzione dei suoi oneri.
«La difesa dell’India potrà meglio organizzarsi sulla nostra frontiera strategica; la Mesopotamia non è come l’India, di capitale importanza strategica per noi. Noi siamo fortemente in favore della soluzione sceriffiana tanto in Mesopotamia che in Transgiordania, ed aiutiamo lo Sceriffo della Mecca, danneggiato finanziariamente dalla sospensione del pellegrinaggio che nell’interesse dei nostri sudditi musulmani vogliamo veder restaurato».
Bisognerà sorvegliare con cura le ripercussioni di tale potitica sulla setta potente dei Wahhabiti, che è in guerra con Husein e con tutti i suoi vicini. Il capo dei Wahhabiti si è mostrato ben disposto verso l’Inghilterra ed è in intimi rapporti con Sir Percy Cox. Gli verrà continuato il sussidio di 60.000 Lst., subordinato al mantenimento dell’ordine e soggetto a confische per indennizzare le vittime di sue eventuali aggressioni. Si spera di instaurare a Bagdad il Governo e il Sovrano arabo per la fine dell’anno finanziario.
«L’esercito arabo è già in parte costituito sotto l’attuale ministro della Guerra di Mesopotamia, devoto sostenitore di Husein; le relative spese graveranno sul bilancio mesopotamico. Vi sono inoltre reclute arabe che saranno gradatamente assorbite dall’esercito arabo e che vengono mantenute dall’Inghilterra, e reclute curde e siriane. Queste forze sostituiscono le truppe inglesi ritirate; alla fine dell’anno vi saranno in Mesopotamia, oltre le truppe locali, circa 12 battaglioni di fanteria inglese e indiana, sufficienti per tenere Bagdad e le comunicazioni fluviali col mare. Vi sono poi le forze aeree: 6 squadriglie di aeroplani; l’anno prossimo se ne aggiungeranno altre due. Esse serviranno al contatto con le truppe dei centri locali per prevenire disordini, sostenere posti isolati, tenere i funzionari politici in relazione con i loro distretti, e mantenere l’ordine. Vi è una squadriglia aerea in Palestina e tre in Egitto. Sono in corso preparativi per stabilire partenze regolari di aeroplani fra il Cairo e Bagdad; una volta tracciata questa via transdesertica, le intere forze della Mesopotamia potranno venir trasportate in Palestina o in Egitto, e viceversa, riducendo cosi il totale delle squadriglie. Saranno organizzati anche servizi aerei postali, commerciali e per passeggeri, formando un anello importante nella catena delle comunicazioni imperiali che potranno un giorno abbreviare, con grande vantaggio, le comunicazioni con l’India, l’Australia e la Nuova Zelanda».
Churchill parla poi del Kurdistan. «Prima di lasciare Bagdad, Sir Percy Cox comunicò ai Turchi che, in attesa del plebiscito stabilito per loro dal Trattato di Sévres, egli avrebbe continuato ad amministrare il distretto del Kurdistan. I Curdi non vedono con tanto favore la possibilità di venire sotto un Governo arabo; sono state fatte quindi inchieste in tutto il Kurdistan e si è visto che gli abitanti del Kurdistan meridionale accetterebbero l’unione con l’Irak solo se venissero governati direttamente dall’Alto Commissario e non dal Governo arabo. Cox dunque adempirebbe ad una doppia funzione rispetto all’Irak e al Kurdistan, presso a poco come l’Alto Commissario per il Sud Africa con l’Unione, la Rhodesia e i territori abitati da indigeni».
«La regione verrà naturalmente amministrata come una zona commerciale unica. Si spera che più tardi, raggiunta una certa stabilità, vi sarà completa comunanza, e mano a mano che il Governo arabo si rinforzerà, potremo ridurre i nostri effettivi al disotto del limite fissato, lasciando finalmente a lui la massima parte se non l’intera responsabilità, possibilmente con l’aiuto di reclute curde. Anche il Kurdistan avrà le sue truppe curde, che formeranno un valido baluardo contro infiltrazioni bolsceviche e kemaliste. Una volta costituito il Governo arabo, siamo pronti a concretare col suo Sovrano un trattato che ne riconosca in modo più diretto l’indipendenza, riducendo cosi sempre più i nostri oneri».
«Sui 7 od 8 milioni di sterline del bilancio mesopotamico previsto per l’anno prossimo, circa 1.252.000 Lst. saranno destinate all’aviazione, il resto per spese militari e sussidi. Io non posso garantire che questo mio programma darà tutti i risultati sperati, affermo semplicemente che esso rappresenta quanto si è potuto stabilire di meglio e ch’esso ha ottenuto l’appoggio generale fra i competenti, militari, civili e aeronautici, che vi hanno collaborato».
«Il problema della Palestina è più acuto di quello mesopotamico, ma militarmente molto minore, per la diversa posizione geografica dei due paesi. Lo scontento in Palestina è dovuto al movimento Sionista ed agl’impegni inglesi verso di esso. Senza tali circostanze la guarnigione inglese potrebb’essere notevolmente ridotta. Alla fine dell’anno scorso essa venne portata da 16.000 a 7 .000, con 5.000 combattenti quanti sono oggi. Questo numero lungi dal diminuire in un prossimo avvenire dovrà forse venir aumentato. Le spese totali dell’anno scorso furono di 6.500.000 Lst. Quest’anno saranno 4.500.000, di cui 2.000.000 per smobilitazione e rimpatrio di truppe indiane che hanno ormai sgombrato il paese. Quanto alla nostra posizione rispetto agli Ebrei e agli Arabi palestinesi, vi è la dichiarazione Balfour, approvata dal Consiglio Supremo degli Alleati a S. Remo e introdotta nel progetto di mandato che verrà presentato fra breve alla Lega delle Nazioni».
BANBURY: «La Lega sarà rappresentata in Palestina e Mesopotamia?»
CHURCHILL: «No. Le cose sono già abbastanza complicate come sono! I mandati vengono esercitati in forza dello Statuto della Lega. La promessa della sede nazionale fatta agli Ebrei presenta questa difficoltà, che essa non s’accorda con la nostra politica regolare di consultare sui loro desideri le popolazioni dei paesi soggetti a mandati e di conceder loro istituzioni rappresentative appena sono preparati a valersene. In Palestina tali istituzioni verrebbero indubbiamente adoperate per proibire ogni ulteriore immigrazione ebraica. Le difficoltà sono molte, ma credo che con pazienza, sangue freddo e un po’ di fortuna, ne usciremo. Vi sono in Palestina 500.000 Musulmani, 65.000 Cristiani e circa 65.000 Ebrei. Secondo il programma sionista d’immigrazione vi sono stati introdotti circa 7.000 Ebrei. E gli Arabi sono preoccupati ed eccitati non tanto dal numero degli immigranti quanto dalle ripetute ed entusiastiche dichiarazioni fatte – a buon diritto – dall’organizzazione sionista in tutto il mondo intorno alla loro speranza di fare della Palestina un paese prevalentemente ebraico, popolato dagli Ebrei di tutto il mondo. Gli Arabi temono poi che questi Ebrei verranno specialmente dall’Europa centrale e in particolare dalla Russia, e credono che nei prossimi anni ne arriveranno delle ventine di migliaia, che si impadroniranno della terra e diverranno i padroni assoluti del paese. Tali timori sono infondati. I Sionisti, per ottenere l’appoggio necessario, debbono condurre un’ardente propaganda ed affermare il loro programma con la massima convinzione; ciò ha preoccupato gli Arabi, non le proporzioni presenti e future dell’immigrazione. Abbiamo in Palestina Sir Herbert Samuel, esperto uomo politico liberale e sionista convinto. Gli Arabi non hanno nulla a temere, perchè l’immigrazione è severamente controllata come numero e qualità ed è proporzionata alle risorse del paese che oggi è indubbiamente troppo poco popolato. Sfido chiunque abbia visto le colonie ebraiche in Palestina a consigliare al Governo di abbandonarli agli attacchi dei fanatici, e di vietare l’immigrazione dopo gl’impegni presi; ciò equivarrebbe al riconoscimento che la parola dell’Inghilterra in Oriente non conta più. Se saranno concesse istituzioni rappresentative agli Arabi di Palestina, come spero, verranno presi provvedimenti per salvaguardare, entro limiti ragionevoli, l’immigrazione degli Ebrei, poichè essi bastano a sè stessi e creano i propri mezzi di sussistenza». Qui Churhill spiega come i capitali e l’attività degli Ebrei potranno accrescere la ricchezza e la popolazione del paese per il bene di tutti i suoi abitanti.
Parla poi della Transgiordania (v. supra, n. 4a), che è una delle parti più preziose della Palestina. «In questa regione non teniamo truppe e negli ultimi due anni il disordine vi è stato continuo. È necessario darle un governo stabile, non solo per noi ma anche per i Francesi, poichè la zona nord della Siria è contigua al confine settentrionale della Transgiordania. Noi siamo contrarii ad assumere la spesa di mantenervi due o tre battaglioni e il rischio di vederli isolati e circondati da sollevazioni dei Beduini. Siamo perciò ricorsi ai buoni uffici dell’Emiro Abdullah, ed abbiamo conferito a lungo con lui: egli si è impegnato a mantenere l’ordine interno; la squadriglia aerea di Lidda e alcune autoblindate sono a sua disposizione».
«La nostra politica generale di collaborazione con la famiglia sceriffìana non è in nessun modo contraria agli interessi francesi, anzi è il mezzo più sicuro per garantire la Francia da torbidi in Siria, da parte di influenze arabe con le quali essa è disgraziatamente in disaccordo. Esiste purtroppo uno stato latente di recriminazione fra funzionari inglesi e francesi nel Medio Oriente che però non si estende agli uomini responsabili da ambo le parti e che, sono convinto, verrà soppresso dalle autorità superiori dei due paesi 0vunque si manifesti».
«Se vogliamo conservare la nostra posizione e far frome alle nostre responsabilità nel Medio Oriente, l’Inghilterra e la Francia dovranno seguire insieme una politica di pacificazione e di amicizia tanto con i Turchi che con gli Arabi. Tutti questi sforzi saranno vani se non vengono appoggiati da una pacifica e durevole soluzione della questione turca, ed essa non è raggiungibile se la Francia e l’Inghilterra ostentano un’assoluta impotenza. Noi dobbiamo avere i mezzi di difendere i nostri vitali interessi, e dobbiamo mostrare di possederli e manifestarci capaci, in caso di necessità, di valercene. Se ci mostriamo impotenti o incapaci di difenderci, non otterremo quella pace durevole con la Turchia che da mesi è il nostro scopo principale. Soltanto in base a questa pace potranno realizzarsi le speranze di ridurre notevolmente quei pesi che Francia ed Inghilterra sopportano in seguito ai loro impegni nel Medio Oriente». - V. d. B.
(1) Faisal a Bagdad. - Secondo l’Agenzia Reuter l’Emiro Faisal è giunto a Basra il 24 e prosegue per Bagdad, dove si riunirà l’Assemblea Nazionale Mesopotamica, convocata per eleggere un sovrano. (Daily Herald, 25 - 6 - 1921). Y. d. B.
4. a) Il discorso di Sir Herbert Samuel. – Il 3 giugno u.s. in occasione del genetliaco del re di Inghilterra, Sir Herbert Samuel, Alto Commissario britannico per la Palestina, ha pronunciato in Gerusalemme il seguente discorso:
«… Sono lieto di rilevare che la popolazione mostra un vivo desiderio di profittare dei benefici dell’istruzione; questa è la condizione essenziale per il progresso del paese. Il Governo ha redatto un vasto progetto, per il quale, entro 4 anni, il paese tutto sarà fornito di scuole.
«…Durante i cinque ultimi mesi, sono state aperte altre 34 scuole, che provvedono all’insegamento di 1.360 fanciulli, mentre 46 scuole sovvenzionate, che erano state aperte dagli abitanti del paese negli ultimi due anni, sono state assunte dal governo. Altre 36 scuole saranno aperte, durante il corrente anno finanziario.
«Nello stesso tempo sono stati presi provvedimenti per lo sviluppo delle due scuole normali (1) per uomini e donne, e al prossimo settembre vi saranno, in istruzione, 80 studenti nella prima, e più di 50 nella seconda. Sono stati nominati anche maestri, che vivranno fra le tribù Beduine per insegnare ai fanciulli. Per tutto questo non è stata necessaria alcuna tassa speciale, ma vi si è provveduto con il reddito generale del paese.
«Sono stati concessi altresì sussidi a un grande numero di scuole mantenute da comunità religiose o da altre istituzioni.
«Vengo ora alla situazione politica. Io sono assai dolente che l’armonia fra le varie confessioni religiose, e le razze della Palestina, armonia che io mi sono in ogni modo sforzato di favorire, non sia stata ancora raggiunta; e con la più grande attenzione ho considerato i provvedimenti, che possono essere i migliori per giungere a questo scopo. Permettete che in primo luogo io consideri ancora una volta il disgraziato malinteso, che è sorto in riguardo alle parole della dichiarazione di Balfour: «la costituzione in Palestina di una sede nazionale per gli Ebrei» (2). Io sento spesso dire, in varii circoli, che la popolazione araba di Palestina non consentirà giammai che il suo paese, i suoi luoghi santi, le sue campagne siano ad essa tolti e dati a stranieri; che non permetterà mai la costituzione di un Governo ebraico, che debba dominare sulla maggioranza musulmana e cristiana. La popolazione dice di non poter comprendere come il Governo britannico, che è famoso in tutto il mondo per la sua giustizia, abbia potuto acconsentire a una tale politica. Io rispondo che il Governo britannico, che sopra tutte le cose ha realmente a cuore la giustizia, non ha mai acconsentito, e giammai acconsentirà a siffatta politica. Non è questo il senso della dichiarazione di Balfour.
«Può essere che la versione del testo inglese in arabo non ne renda il vero significato; il testo inglese dice che i Giudei, questo popolo disperso in tutto il mondo, ma il cui cuore è sempre rivolto verso la Palestina, debbono avere la possibilità di trovare in quel paese una patria, e alcuni di essi - entro i limiti che sono fissati dal numero e dagli interessi della popolazione attuale, - venire in Palestina per favorire con i loro mezzi e i loro sforzi lo sviluppo del paese, per il vantaggio di tutti gli abitanti di esso.
«Se sono necessari provvedimenti per convincere la popolazione musulmana e cristiana che questi principi saranno di fatto rispettati, e che i loro diritti saranno realmente salvaguardati, tali provvedimenti saranno presi. Poiché il Governo inglese, a cui con il mandato è affidata la felicità del popolo della Palestina – giammai imporrebbe a questo una politica, che esso potesse ritenere contraria ai suoi interessi religiosi, politici od economici.
«Per quel che riguarda l’immigrazione, è realmente necessario che la sua misura sia rigorosamente proporzionata alla possibilità di impiego nel paese; e che inoltre l’impiego concerna nuovi lavori, e lavori di carattere permamente. La immigrazione è stata sospesa, essendo in corso un esame della situazione; e intanto sono state emanate norme, per le quali possono entrare in Palestina le seguenti persone: viaggiatori, persone che abbiano economicamente una situazione indipendente, parenti di residenti in Palestina e che dipendano, economicamente, da questi, e infine persone che abbiano sicurezza di aver impiego presso determinati datori di lavoro o imprese. Inoltre potranno entrare un limitato numero di persone, che al momento in cui fu decretata la sospensione dell’immigrazione erano già arrivate o anche si erano già imbarcate in porti europei per la Palestina. Ma si deve definitivamente riconoscere che le condizioni della Palestina sono tali, che non permettono in alcuna maniera una immigrazione in massa.
«Io desidero vivamente che il popolo della Palestina prenda parte più diretta all’Amministrazione stabilita entro il regime del mandato; e il problema di assicurare una libera e autorevole espressione della opinione pubblica è fatto oggetto, da parte del Governo di Londra, della più attenta considerazione. Frattanto io propongo di prendere immediatamente le misure adatte allo scopo di assicurare una intesa più efficace, per quello che riguarda importanti questioni amministrative, fra il Governo e le persone responsabili che parlino a nome di tutte le frazioni della popolazione.
«Quando entrerà in vigore il mandato, è intenzione del governo inglese di stabilire le norme per il governo della Palestina. Gli interessi della popolazione non ebraica saranno non solo tutelati dal mandato stesso, ma per essi si provvederà certamente anche nelle norme, a cui sopra si accenna. Come è stato recentemente annunziato, saranno subito adottati provvedimenti per ristabilire il sistema delle elezioni dei Consigli municipali.
«Circa ai gravi disordini, che ebbero luogo recentemente a Giaffa e vicinanze, io attendo, prima di esprimere la mia opinione, il rapporto della imparziale Commissione che fa attualmente un’inchiesta circa questi avvenimenti e la loro causa; ma è certo che nulla può scusare i gravi delitti, come assassinii, attacchi e saccheggi, che sono stati commessi. Un gran numero di casi sono ora esaminati, e coloro che saranno trovati colpevoli dei delitti che sono stati commessi, avranno la loro giusta punizione. Alle famiglie degli uccisi e dei feriti, io esprimo la mia sincera simpatia». (Palestine, 11-6-1921; Jüdische Rundschau, 10-6-1921; Le Peuple Juif, 24-6-1921). - M. G.
(1) Training colleges, per preparare gli insegnanti.
(2) «The establishment in Palestine of a National Home for the ewish people».
5. a) Commenti Sionisti al discorso di Sir Herbert Samuel. – La Jüdiscbe Rundschau (settimanale di Berlino), che rappresenta la tendenza sionista più spinta, e non ha alcuna preoccupazione nazionale al di fuori della ebraica, nota che il discorso sarà accolto dai veri Sionisti con delusione. La severa condanna dei fatti di Giaffa, l’annunzio di misure che impediscano il rinnovarsi di essi, erano da prevedersi, e l’Alto Commissario non poteva fare a meno di pronunziare dichiarazioni in questo senso. E così era da prevedersi, e non ha sorpreso nessuno, il tono amichevole, con cui egli ha parlato degli Arabi, poichè la politica sionista non ha in alcun modo lo scopo di provocare un conflitto fra Arabi ed Ebrei, o anche solamente di inasprire le relazioni fra di essi. Ma Samuel doveva in questa occasione mostrare che anche il popolo ebraico, e non solamente il Governo inglese, vuol vivere insieme con gli Arabi nelle più cordiali relazioni; che anche i Sionisti sono alieni dal voler supremazia sugli Arabi, o l’oppressione di una qualsiasi parte della popolazione araba. Il popolo ebraico, che vive come minoranza in tutte le parti del mondo, sente più che ogni altro come sia riprovevole o dannosa una tale politica.
Una dichiarazione di Samuel in questo senso avrebbe fatto una profonda impressione, specialmente dopo i fatti di Giaffa; e si deve deplorare vivamente che essa sia mancata.
Le dichiarazioni di Samuel che il Governo inglese non permetterà giammai una dominazione ebraica, e l’attenuazione da lui fatta del concetto di «National Home» (1) destano l’impressione che egli condivida l’opinione che le aspirazioni ebraiche possano costituire un pericolo per la popolazione non ebraica. Samuel parla assai diffusamente di misure che debbono essere prese per tutelare gli interessi della popobzione non ebraica; ed è un’ironia, se non uno scherno, che poco dopo i fatti di Giaffa, che hanno dimostrato la completa mancanza di protezione per la popolazione ebraica, l’Alto Commissario non sappia parlare che della necessità della protezione della popolazione non ebraica.
Nessun cenno al fatto, che solamente «gli interessi religiosi politici ed economici», ma anche la vita e la sicurezza personale degli Ebrei sono invulnerabili.
Si comprende bene che questo discorso è un documento politico. Di fronte all’eccitazione ancora viva, al pericolo di uno scoppio degli istinti fanatici e sanguinari, il Commissario sente la necessità di calmare immediatamente la popolazione araba, e di togliere le basi della agitazione anti-ebraica che si fonda sulla «cupidigia di dominazione» degli Ebrei. Ma in ogni modo, il tono del discorso è sbagliato; si poteva calmare gli Arabi senza offendere la dignità degli Ebrei.
Il discorso non solo significa, nella sua parte politica, una completa capitolazione di fronte al terrorismo arabo, ma comporta a favore di esso una concessione di grande portata, cioè la limitazione dell’immigrazione. Tale limitazione, dovuta a motivi politici e non economici, deve essere combattuta.
L’organizzazione sionista si contenterà di sterili proteste, ovvero farà il possibile per procurare il lavoro per gli immigranti, in modo che la limitazione decretata perda il suo effetto?
Occorre stabilire subito un programma per l’inizio di lavori, e per la fondazione di istituti di credito; il danaro in questo ultimo periodo è affluito in quantità notevole dall’America. La limitazione della immigrazione da parte di quella Nazione che ha adottato la politica delle nazionalità, e del primo Governatore ebraico della Palestina, è un grave colpo; occorre pararlo, mettendosi alacremente e subito all’opera. (Jüdische Rundschau, 10-6-1921). - M. G.
(1) Cioè una sede nazionale, secondo le parole della dichiarazione Balfour.
b) II settimanale inglese Palestine di Manchester, organo del British Palestine Committe (sionista, ma soprattutto inglese, e quindi ben differente dalla Jüdische Rundschau che non si può chiamare tedesca), per giustificare le dichiarazioni di Samuel,
premette che non ha mai mancato di criticare la politica
inglese, quando ha commesso gravi errori. Un errore è quello di non
avere fin da principio represso i primi sintomi di opposizione, e
di aver trascurato di dare il vero significato della dichiarazione Balfour.
Ora l’opposizione ha assunto grandi proporzioni; e si deve
facilitare il Governo nella sua opera, con la sicurezza che esso
manifesterà la sua adesione completa alla politica di Balfour.
Il periodico considera quindi con simpatia le dichiarazioni di Samuel, e vi trova lo schema di una politica costruttiva, che può appianare le difficoltà ora esistenti.
I provvedimenti riguardo all’immigrazione sono considerati dal periodico come saggi e prudenti, per le condizioni speciali dell’economia del paese, e i Sionisti devono cooperare con il Governo in questa nuova politica.
E cosi i provvedimenti per l’Amministrazione sembrano a «Palestine» assai opportuni, e tali da permettere forse la formazione di un partito moderato arabo, che limiti l’influenza degli estremisti. (Palestine, 11-6-1921). - M. G.
c) Il periodico Le Peuple Juif, settimanale di Parigi ed organo della Federazione sionista di Francia, è assai pessimista: le dichiarazioni di Samuel significano un grande pericolo per il Sionismo. Il periodico rileva che la debolezza dell’Amministrazione palestinese di fronte agli Arabi è la causa della situazione attuale.
Gli Arabi hanno preso ardire per la condotta non chiara del Governo inglese; e gli agitatori più in vista hanno perfino funzioni di Governo.
È insomma innegabile un cambiamento di politica in favore degli Arabi, i quali già annunziano che la dichiarazione Balfour ha perduto tutto il suo valore. (Le Peuple Juif, 24-6-1921). - M. G.
d) Sospensione dell’immigrazione in Palestina. – Cairo 8 maggio. - Risulta che l’immigrazione [ebraica] in Palestina è stata temporaneamente sospesa. (Times, 10-5-1921). - V. d. B.
Si confrontino infatti le dichiarazioni di Samuel qui sopra, p. 90-92.
e) Boicottaggio commerciale degli Ebrei a Giaffa. – Il Karmel ha da Giaffa che la popolazione araba ha deciso ed iniziato un severo boicottaggio commerciale contro gli Ebrei, e rifiuta di comprare da loro o di vender loro qualsiasi cosa. (al-Karmel, arabo di Caiffa, 18-5-1921). - V. d. B.
f) Protesta antisionista degli Arabi di Tul Karam. - Gli Arabi di Tul Karam pubblicano sul Karmel una protesta contro i Sionisti, reclamando (con tutto il rispetto per la sua persona) la destituzione del Commissario inglese Sir Herbert Samuel in quanto Ebreo, e del segretario per gli affari giudiziari Bentwich, sionista. Presentano poi le seguenti richieste:
(1) Il Daily Chronicle (16 giugno) osserva che Churchill ha esposto una linea politica concreta che unisce gli ideali della pace al bisogno di economia dell’Inghilterra, ed è tanto nell’interesse della Francia che dell’Inghilterra che le funzioni che né l'una né l’altra hanno i mezzi e la capacità di esercitare siano affidate agli Arabi più influenti e leali. Il Times (16 giugno) osserva che se vi fosse la sicurezza che le speranze di Churchill poggino su solida base la sua politica potrebbe ispirare fiducia. Fanno molte riserve invece il Manchster Guardian, il Daily Telegraph e specialmente il Daily Mail (16 giugno). Pertinax (Echo de Paris del 16 giugno) non ritiene che il programma di Churchill dia la tranquillità al mondo musulmano; ostile apertamente è l’Homme libre (16 giugno, articolo di Lautier), il quale osserva che in cambio della protezione armata che Churchill offre alla Francia, occorrerebbe far rompere la testa ai soldati di Gouraud per il più gran vantaggio dell’Inghilterra e per darle quelle posizioni che ha tolto alla Francia nell’Asia minore.
2. Allocuzione pontificia intorno alla Palestina e al Sionismo. – La mattina del 13 giugno 1921 S. S. Benedetto XV tenne la seguente allocuzione ai Cardinali riuniti in concistoro segreto, pubblicata in quello stesso giorno dall’Osservatore Romano. [Per la traduzione ufficiale del testo e relativo commento si veda qui].
VENERABILES FRATRES
Causa Nobis quidem vos hodierno die, iterum anno vertente, congregandi ea duplex fuit, ut amplissimum Collegium vestrum suppleremus, rituque solemni complurium ecclesiarum mederemur viduitati; sed antequam ad ea quae proposita sunt, veniamus, placet veteri consuetudine, institutoque maiorum, nonnulla de maximis Ecclesiae catholicae negotiis vobiscum communicare.
Meministis profecto, cum orationem hoc ipso loco ad vos haberemus abhinc duobus annis die X mensis martii, valde sollicitos Nos fuisse, quinam ex bello futurus esset in Palaestina rerum cursus, in ea, inquimus, regione Nobis et christianorum cuique carissima, quam ipse divinus hominum Redemptor suae vitae mortalis actione consecravit. Iam vero illa animi Nostri cura tantum abest ut allevata sit, ut etiam in dies ingravescat.
Nam, quod conquerebamur a peregrinis acatholicorum sectis, christianam appellationem prae se ferentibus, ibi nefarie effici, id ipsum conqueri etiam nunc debemus, videntes ut alacriores quotidie illae in incepto perseverent, opibus abundantes, callideque usae incolarum, ex maximo bello, summa inopia et egestate. Nos quamquam Palestinorum rebus tam egenis opitulari, plura beneficentiae instituta fovendo novaque excitando, non praetermisimus, nec quoad licuerit, desistemus, tamen opem eorumdem necessitati parem afferre non possumus, praesertim quia ex iis facultatibus, quibus, Dei providentis munere, instruimur, calamitosis undique benignitatem Sedis Apostolicae implorantibus succurrendum est. Itaque magno cogimur cum dolore conspicere sensim ruentes in interitum animas, Nobis penitus dilectas, pro quarum salute tot apostolici homines, in primisque Patriarchae Assisiensis alumni, tam diu multumque laboraverunt.
Praeterea, cum foederatorum copiis christiani denuo Loca sancta in suam potestatem redegissent, Nos communem bonorum laetitiam participavimus ex animo; sed ei gratulationi timor ille suberat, quem in eadem vobis oratione aperuimus, ne ex facto per se praeclaro et laetabilis id consequeretur ut in Palaestina hebraei iam praevalerent praecipuoque quodam iure fruerentur. Non inanem eum fuisse timorem res ipsa ostendit. Christianorum enim in Terra Sancta non modo non meliorem factam esse condicionem apparet, verum deteriorem etiam quam antea, scilicet propter novas civitatis leges et instituta, quae - non dicimus, voluntate auctorem, sed certe re – huc pertinent, ut christianum nomen de eo statu, quem semper usque adhuc ibi obtinuit, deiiciant, in gratiam hebraeorum. Ad haec multam videmus a multis dari operam, ut Loca Sancta profanentur, atque in voluptarios quosdam secessus convertantur, importandis illuc deliciarum illecebris omnisque generis invitamentis ad luxuriam; quae quidem probari illusquam alibi possunt, nedum ubi passim augusta religionis exstant monumenta. – Quoniam vero res Palaestinenses nondum ad perpetuitatem constitutae sunt, iam nunc edicimus, Nos velle ut, cum maturitas Palaestinae ordinandae venerit, Ecclesiae catholicae christianisque universis sua ibi salva et incolumia iura sint; de iuribus quidem hebraei generis quicquam deminui Nos sane nolumus, sed iidem contendimus sacrosancta christianum iura iis opprimi omnino non debere. Eaque de re omnes, quicumque christianos populos, vel ipsos acatholicos, gubernant, vehementer rogamus, ut apud illam Nationum Societatem, cui dicitur mandati Anglici de Palaestina esse ratio expendenda, instare ne graventur.
Quod si a Terra Sancta oculos in Europam convertimus, hinc quoque magnae moles molestiarum Nobis obversantur. Ex iis enim quae scitis proxime evenisse, Venerabilis Fratres, plane perspicuum est populorum inter ipsos simultates et iras nondum resedisse, bellique fere incendio restincto, bellicos tamen spiritus vivere. Ergo, quotquot ubique ad gubernacula rerum publicarum sedent homines bonae voluntatis, omnes etiam atque etiam appellamus, petimusque ut, iis auctoribus atque auspicibus, populi mutuas inimicitias ultro citroque communi saluti iam condonent, et quae resident adhuc inter se controversiae, eas, iustitia duce, caritate comite, disceptando dirimant; itaque miseram Europam pacis tam diu desideratae demum compotem faciant.
Il resto dell’allocuzione riguarda altra materia. È opportuno rilevare che (contrariamente ai commenti di parte della stampa) l’allusione alla profanazione di luoghi santi non si riferisce ai progetti edilizi per Gerusalemme, bensì alla società sionista del «Carmelo» sorta per trasformare in luogo di ritrovi mondani e di villeggiatura elegante il monte Carmelo (prospiciente il mare presso Caiffa), caro alla tradizione cristiana medioevale e luogo d’origine dell’ordine dei Carmelitani.
VENERABILES FRATRES
Causa Nobis quidem vos hodierno die, iterum anno vertente, congregandi ea duplex fuit, ut amplissimum Collegium vestrum suppleremus, rituque solemni complurium ecclesiarum mederemur viduitati; sed antequam ad ea quae proposita sunt, veniamus, placet veteri consuetudine, institutoque maiorum, nonnulla de maximis Ecclesiae catholicae negotiis vobiscum communicare.
Meministis profecto, cum orationem hoc ipso loco ad vos haberemus abhinc duobus annis die X mensis martii, valde sollicitos Nos fuisse, quinam ex bello futurus esset in Palaestina rerum cursus, in ea, inquimus, regione Nobis et christianorum cuique carissima, quam ipse divinus hominum Redemptor suae vitae mortalis actione consecravit. Iam vero illa animi Nostri cura tantum abest ut allevata sit, ut etiam in dies ingravescat.
Nam, quod conquerebamur a peregrinis acatholicorum sectis, christianam appellationem prae se ferentibus, ibi nefarie effici, id ipsum conqueri etiam nunc debemus, videntes ut alacriores quotidie illae in incepto perseverent, opibus abundantes, callideque usae incolarum, ex maximo bello, summa inopia et egestate. Nos quamquam Palestinorum rebus tam egenis opitulari, plura beneficentiae instituta fovendo novaque excitando, non praetermisimus, nec quoad licuerit, desistemus, tamen opem eorumdem necessitati parem afferre non possumus, praesertim quia ex iis facultatibus, quibus, Dei providentis munere, instruimur, calamitosis undique benignitatem Sedis Apostolicae implorantibus succurrendum est. Itaque magno cogimur cum dolore conspicere sensim ruentes in interitum animas, Nobis penitus dilectas, pro quarum salute tot apostolici homines, in primisque Patriarchae Assisiensis alumni, tam diu multumque laboraverunt.
Praeterea, cum foederatorum copiis christiani denuo Loca sancta in suam potestatem redegissent, Nos communem bonorum laetitiam participavimus ex animo; sed ei gratulationi timor ille suberat, quem in eadem vobis oratione aperuimus, ne ex facto per se praeclaro et laetabilis id consequeretur ut in Palaestina hebraei iam praevalerent praecipuoque quodam iure fruerentur. Non inanem eum fuisse timorem res ipsa ostendit. Christianorum enim in Terra Sancta non modo non meliorem factam esse condicionem apparet, verum deteriorem etiam quam antea, scilicet propter novas civitatis leges et instituta, quae - non dicimus, voluntate auctorem, sed certe re – huc pertinent, ut christianum nomen de eo statu, quem semper usque adhuc ibi obtinuit, deiiciant, in gratiam hebraeorum. Ad haec multam videmus a multis dari operam, ut Loca Sancta profanentur, atque in voluptarios quosdam secessus convertantur, importandis illuc deliciarum illecebris omnisque generis invitamentis ad luxuriam; quae quidem probari illusquam alibi possunt, nedum ubi passim augusta religionis exstant monumenta. – Quoniam vero res Palaestinenses nondum ad perpetuitatem constitutae sunt, iam nunc edicimus, Nos velle ut, cum maturitas Palaestinae ordinandae venerit, Ecclesiae catholicae christianisque universis sua ibi salva et incolumia iura sint; de iuribus quidem hebraei generis quicquam deminui Nos sane nolumus, sed iidem contendimus sacrosancta christianum iura iis opprimi omnino non debere. Eaque de re omnes, quicumque christianos populos, vel ipsos acatholicos, gubernant, vehementer rogamus, ut apud illam Nationum Societatem, cui dicitur mandati Anglici de Palaestina esse ratio expendenda, instare ne graventur.
Quod si a Terra Sancta oculos in Europam convertimus, hinc quoque magnae moles molestiarum Nobis obversantur. Ex iis enim quae scitis proxime evenisse, Venerabilis Fratres, plane perspicuum est populorum inter ipsos simultates et iras nondum resedisse, bellique fere incendio restincto, bellicos tamen spiritus vivere. Ergo, quotquot ubique ad gubernacula rerum publicarum sedent homines bonae voluntatis, omnes etiam atque etiam appellamus, petimusque ut, iis auctoribus atque auspicibus, populi mutuas inimicitias ultro citroque communi saluti iam condonent, et quae resident adhuc inter se controversiae, eas, iustitia duce, caritate comite, disceptando dirimant; itaque miseram Europam pacis tam diu desideratae demum compotem faciant.
Il resto dell’allocuzione riguarda altra materia. È opportuno rilevare che (contrariamente ai commenti di parte della stampa) l’allusione alla profanazione di luoghi santi non si riferisce ai progetti edilizi per Gerusalemme, bensì alla società sionista del «Carmelo» sorta per trasformare in luogo di ritrovi mondani e di villeggiatura elegante il monte Carmelo (prospiciente il mare presso Caiffa), caro alla tradizione cristiana medioevale e luogo d’origine dell’ordine dei Carmelitani.
3. Discorso Churchill sul Medio Oriente. – Il 14 giugno Churchill tenne alla Camera dei Comuni il suo primo discorso da Ministro delle Colonie, sul bilancio di 27.197.000 sterline per «stipendii e spese nel Medio Oriente». Egli ricorda che l’Inghilterra, sostituendosi al Governo turco in Palestina e in Mesopotamia, si è impegnata a provvedere al loro avvenire e non può ora mancare ai suoi obblighi. Certamente essi non sono illimitati, e potrebbe presentarsi la dura necessità di riconoscere come le risorse finanziarie e militari inglesi non permettano di fare di più. Ma non si è ancora giunti a tanto; anzi appare giustificata la speranza di una felice soluzione, purché le spese di Mesopotamia e Palestina vengano ridotte entro limiti pratici e ragionevoli. Tale è stato il suo primo pensiero. Qui Churchill fa la storia del Dipartimento per il Medio Oriente da lui fondato per coordinare l’azione politica e militare in quelle regioni; esso dipende direttamente dal Ministero delle Colonie ed è responsabile di fronte al Parlamento, che vota separatamente le questioni ad esso relative. La sua formazione permise di ridurre gli effettivi; impresa impossibile finché la direzione militare era separata da quella politica. Se l’attuale politica potrà svolgersi secondo le sue previsioni, i preventivi normali del 1922-23 per ambedue quei paesi non supereranno 9 o 10 milioni di sterline, 10 milioni meno dell’attuale bilancio. Parla poi dei metodi e della politica che permetteranno di raggiungere tali risultati, e comincia dalla Mesopotamia od Irak, a cui nel giugno 1920 l’Alto Commissario Cox promise la prossima costituzione di un Governo arabo sotto un sovrano arabo. Promessa in gran parte adempiuta; da parecchi mesi funziona un Governo provvisorio indigeno formato dal Naqib di Bagdad che malgrado la tarda età ha reso preziosi servizi, (vedi più avanti, in O.M. p. 90, col. I: qui in nota 1). Il Governo provvisorio sarà sostituito nell’estate da un Governo basato su di un’assemblea eletta dal popolo dell’Irak, con un sovrano arabo gradito all’Assemblea e con un esercito arabo per la difesa nazionale. L’Inghilterra non intende imporre all’Irak un principe che non sia stato scelto dal paese, ma quale Potenza mandataria non si può disinteressare di tale questione. Toccherà al Commissario Percy Cok [1864-1937], profondo conoscitore del paese, ed avente rapporti personali con i notabili del paese e con i vari candidati, di guidare il popolo dell’Irak nella sua saggia e libera scelta. Le politiche possibili verso gli Arabi sono due: tenerli divisi, incoraggiare le autonomie locali e fomentare le gelosie fra tribù (e questa fu la politica turca prima della guerra). Oppure, – unico programma compatibile con le promesse fatte agli Arabi durante la guerra, – tentar di costituire intorno a Bagdad uno Stato arabo amico dell’Inghilterra e dei suoi alleati, capace di far rivivere l’antica cultura, le antiche glorie della razza. L’Inghilterra ha deciso di seguire questa seconda politica. L’unica base, su cui ci si possa fondare per dar soddisfazione alla nazione araba, è la casa Sceriffiana della Mecca. Il Re Husein e i suoi figli Faisal e Abdullah dichiararono la guerra ai Turchi e parteciparono validamente alla guerra per la liberazione della Palestina. Ambedue gli Emiri hanno grande influenza nell’Irak, nella classe religiosa come in quella militare, e fra gli Sciiti.
«Gli aderenti di Faisal l’hanno invitato a recarsi in Mesopotamia ed a presentarsi al popolo e all’assemblea che verrà fra poco convocata. Il re Husein gli ha permesso di accettue l’invito, e l’Emiro Abdullah ha rinunciato ai propri diritti in suo favore. Ho informato l’Emiro Faisal, in risposta alla sua richiesta che non venga ostacolata la sua candidatura, che egli è libero di recarsi in Mesopotamia, dove, se viene scelto, sarà riconosciuto e appoggiato dall’Inghilterra. Egli ha già lasciato la Mecca e giungerà in Mesopotamia fra una decina di giorni».
Se l’Assemblea Nazionale, una volta eletta, sceglierà Faisal, vi sarà ragione di bene sperare nell’avvenire del Governo responsabile che l’Inghilterra si propone di appoggiare finché esso, capace di fare da sé, le permetta una rapida e regolare riduzione dei suoi oneri.
«La difesa dell’India potrà meglio organizzarsi sulla nostra frontiera strategica; la Mesopotamia non è come l’India, di capitale importanza strategica per noi. Noi siamo fortemente in favore della soluzione sceriffiana tanto in Mesopotamia che in Transgiordania, ed aiutiamo lo Sceriffo della Mecca, danneggiato finanziariamente dalla sospensione del pellegrinaggio che nell’interesse dei nostri sudditi musulmani vogliamo veder restaurato».
Bisognerà sorvegliare con cura le ripercussioni di tale potitica sulla setta potente dei Wahhabiti, che è in guerra con Husein e con tutti i suoi vicini. Il capo dei Wahhabiti si è mostrato ben disposto verso l’Inghilterra ed è in intimi rapporti con Sir Percy Cox. Gli verrà continuato il sussidio di 60.000 Lst., subordinato al mantenimento dell’ordine e soggetto a confische per indennizzare le vittime di sue eventuali aggressioni. Si spera di instaurare a Bagdad il Governo e il Sovrano arabo per la fine dell’anno finanziario.
«L’esercito arabo è già in parte costituito sotto l’attuale ministro della Guerra di Mesopotamia, devoto sostenitore di Husein; le relative spese graveranno sul bilancio mesopotamico. Vi sono inoltre reclute arabe che saranno gradatamente assorbite dall’esercito arabo e che vengono mantenute dall’Inghilterra, e reclute curde e siriane. Queste forze sostituiscono le truppe inglesi ritirate; alla fine dell’anno vi saranno in Mesopotamia, oltre le truppe locali, circa 12 battaglioni di fanteria inglese e indiana, sufficienti per tenere Bagdad e le comunicazioni fluviali col mare. Vi sono poi le forze aeree: 6 squadriglie di aeroplani; l’anno prossimo se ne aggiungeranno altre due. Esse serviranno al contatto con le truppe dei centri locali per prevenire disordini, sostenere posti isolati, tenere i funzionari politici in relazione con i loro distretti, e mantenere l’ordine. Vi è una squadriglia aerea in Palestina e tre in Egitto. Sono in corso preparativi per stabilire partenze regolari di aeroplani fra il Cairo e Bagdad; una volta tracciata questa via transdesertica, le intere forze della Mesopotamia potranno venir trasportate in Palestina o in Egitto, e viceversa, riducendo cosi il totale delle squadriglie. Saranno organizzati anche servizi aerei postali, commerciali e per passeggeri, formando un anello importante nella catena delle comunicazioni imperiali che potranno un giorno abbreviare, con grande vantaggio, le comunicazioni con l’India, l’Australia e la Nuova Zelanda».
Churchill parla poi del Kurdistan. «Prima di lasciare Bagdad, Sir Percy Cox comunicò ai Turchi che, in attesa del plebiscito stabilito per loro dal Trattato di Sévres, egli avrebbe continuato ad amministrare il distretto del Kurdistan. I Curdi non vedono con tanto favore la possibilità di venire sotto un Governo arabo; sono state fatte quindi inchieste in tutto il Kurdistan e si è visto che gli abitanti del Kurdistan meridionale accetterebbero l’unione con l’Irak solo se venissero governati direttamente dall’Alto Commissario e non dal Governo arabo. Cox dunque adempirebbe ad una doppia funzione rispetto all’Irak e al Kurdistan, presso a poco come l’Alto Commissario per il Sud Africa con l’Unione, la Rhodesia e i territori abitati da indigeni».
«La regione verrà naturalmente amministrata come una zona commerciale unica. Si spera che più tardi, raggiunta una certa stabilità, vi sarà completa comunanza, e mano a mano che il Governo arabo si rinforzerà, potremo ridurre i nostri effettivi al disotto del limite fissato, lasciando finalmente a lui la massima parte se non l’intera responsabilità, possibilmente con l’aiuto di reclute curde. Anche il Kurdistan avrà le sue truppe curde, che formeranno un valido baluardo contro infiltrazioni bolsceviche e kemaliste. Una volta costituito il Governo arabo, siamo pronti a concretare col suo Sovrano un trattato che ne riconosca in modo più diretto l’indipendenza, riducendo cosi sempre più i nostri oneri».
«Sui 7 od 8 milioni di sterline del bilancio mesopotamico previsto per l’anno prossimo, circa 1.252.000 Lst. saranno destinate all’aviazione, il resto per spese militari e sussidi. Io non posso garantire che questo mio programma darà tutti i risultati sperati, affermo semplicemente che esso rappresenta quanto si è potuto stabilire di meglio e ch’esso ha ottenuto l’appoggio generale fra i competenti, militari, civili e aeronautici, che vi hanno collaborato».
«Il problema della Palestina è più acuto di quello mesopotamico, ma militarmente molto minore, per la diversa posizione geografica dei due paesi. Lo scontento in Palestina è dovuto al movimento Sionista ed agl’impegni inglesi verso di esso. Senza tali circostanze la guarnigione inglese potrebb’essere notevolmente ridotta. Alla fine dell’anno scorso essa venne portata da 16.000 a 7 .000, con 5.000 combattenti quanti sono oggi. Questo numero lungi dal diminuire in un prossimo avvenire dovrà forse venir aumentato. Le spese totali dell’anno scorso furono di 6.500.000 Lst. Quest’anno saranno 4.500.000, di cui 2.000.000 per smobilitazione e rimpatrio di truppe indiane che hanno ormai sgombrato il paese. Quanto alla nostra posizione rispetto agli Ebrei e agli Arabi palestinesi, vi è la dichiarazione Balfour, approvata dal Consiglio Supremo degli Alleati a S. Remo e introdotta nel progetto di mandato che verrà presentato fra breve alla Lega delle Nazioni».
BANBURY: «La Lega sarà rappresentata in Palestina e Mesopotamia?»
CHURCHILL: «No. Le cose sono già abbastanza complicate come sono! I mandati vengono esercitati in forza dello Statuto della Lega. La promessa della sede nazionale fatta agli Ebrei presenta questa difficoltà, che essa non s’accorda con la nostra politica regolare di consultare sui loro desideri le popolazioni dei paesi soggetti a mandati e di conceder loro istituzioni rappresentative appena sono preparati a valersene. In Palestina tali istituzioni verrebbero indubbiamente adoperate per proibire ogni ulteriore immigrazione ebraica. Le difficoltà sono molte, ma credo che con pazienza, sangue freddo e un po’ di fortuna, ne usciremo. Vi sono in Palestina 500.000 Musulmani, 65.000 Cristiani e circa 65.000 Ebrei. Secondo il programma sionista d’immigrazione vi sono stati introdotti circa 7.000 Ebrei. E gli Arabi sono preoccupati ed eccitati non tanto dal numero degli immigranti quanto dalle ripetute ed entusiastiche dichiarazioni fatte – a buon diritto – dall’organizzazione sionista in tutto il mondo intorno alla loro speranza di fare della Palestina un paese prevalentemente ebraico, popolato dagli Ebrei di tutto il mondo. Gli Arabi temono poi che questi Ebrei verranno specialmente dall’Europa centrale e in particolare dalla Russia, e credono che nei prossimi anni ne arriveranno delle ventine di migliaia, che si impadroniranno della terra e diverranno i padroni assoluti del paese. Tali timori sono infondati. I Sionisti, per ottenere l’appoggio necessario, debbono condurre un’ardente propaganda ed affermare il loro programma con la massima convinzione; ciò ha preoccupato gli Arabi, non le proporzioni presenti e future dell’immigrazione. Abbiamo in Palestina Sir Herbert Samuel, esperto uomo politico liberale e sionista convinto. Gli Arabi non hanno nulla a temere, perchè l’immigrazione è severamente controllata come numero e qualità ed è proporzionata alle risorse del paese che oggi è indubbiamente troppo poco popolato. Sfido chiunque abbia visto le colonie ebraiche in Palestina a consigliare al Governo di abbandonarli agli attacchi dei fanatici, e di vietare l’immigrazione dopo gl’impegni presi; ciò equivarrebbe al riconoscimento che la parola dell’Inghilterra in Oriente non conta più. Se saranno concesse istituzioni rappresentative agli Arabi di Palestina, come spero, verranno presi provvedimenti per salvaguardare, entro limiti ragionevoli, l’immigrazione degli Ebrei, poichè essi bastano a sè stessi e creano i propri mezzi di sussistenza». Qui Churhill spiega come i capitali e l’attività degli Ebrei potranno accrescere la ricchezza e la popolazione del paese per il bene di tutti i suoi abitanti.
Parla poi della Transgiordania (v. supra, n. 4a), che è una delle parti più preziose della Palestina. «In questa regione non teniamo truppe e negli ultimi due anni il disordine vi è stato continuo. È necessario darle un governo stabile, non solo per noi ma anche per i Francesi, poichè la zona nord della Siria è contigua al confine settentrionale della Transgiordania. Noi siamo contrarii ad assumere la spesa di mantenervi due o tre battaglioni e il rischio di vederli isolati e circondati da sollevazioni dei Beduini. Siamo perciò ricorsi ai buoni uffici dell’Emiro Abdullah, ed abbiamo conferito a lungo con lui: egli si è impegnato a mantenere l’ordine interno; la squadriglia aerea di Lidda e alcune autoblindate sono a sua disposizione».
«La nostra politica generale di collaborazione con la famiglia sceriffìana non è in nessun modo contraria agli interessi francesi, anzi è il mezzo più sicuro per garantire la Francia da torbidi in Siria, da parte di influenze arabe con le quali essa è disgraziatamente in disaccordo. Esiste purtroppo uno stato latente di recriminazione fra funzionari inglesi e francesi nel Medio Oriente che però non si estende agli uomini responsabili da ambo le parti e che, sono convinto, verrà soppresso dalle autorità superiori dei due paesi 0vunque si manifesti».
«Se vogliamo conservare la nostra posizione e far frome alle nostre responsabilità nel Medio Oriente, l’Inghilterra e la Francia dovranno seguire insieme una politica di pacificazione e di amicizia tanto con i Turchi che con gli Arabi. Tutti questi sforzi saranno vani se non vengono appoggiati da una pacifica e durevole soluzione della questione turca, ed essa non è raggiungibile se la Francia e l’Inghilterra ostentano un’assoluta impotenza. Noi dobbiamo avere i mezzi di difendere i nostri vitali interessi, e dobbiamo mostrare di possederli e manifestarci capaci, in caso di necessità, di valercene. Se ci mostriamo impotenti o incapaci di difenderci, non otterremo quella pace durevole con la Turchia che da mesi è il nostro scopo principale. Soltanto in base a questa pace potranno realizzarsi le speranze di ridurre notevolmente quei pesi che Francia ed Inghilterra sopportano in seguito ai loro impegni nel Medio Oriente». - V. d. B.
(1) Faisal a Bagdad. - Secondo l’Agenzia Reuter l’Emiro Faisal è giunto a Basra il 24 e prosegue per Bagdad, dove si riunirà l’Assemblea Nazionale Mesopotamica, convocata per eleggere un sovrano. (Daily Herald, 25 - 6 - 1921). Y. d. B.
4. a) Il discorso di Sir Herbert Samuel. – Il 3 giugno u.s. in occasione del genetliaco del re di Inghilterra, Sir Herbert Samuel, Alto Commissario britannico per la Palestina, ha pronunciato in Gerusalemme il seguente discorso:
«… Sono lieto di rilevare che la popolazione mostra un vivo desiderio di profittare dei benefici dell’istruzione; questa è la condizione essenziale per il progresso del paese. Il Governo ha redatto un vasto progetto, per il quale, entro 4 anni, il paese tutto sarà fornito di scuole.
«…Durante i cinque ultimi mesi, sono state aperte altre 34 scuole, che provvedono all’insegamento di 1.360 fanciulli, mentre 46 scuole sovvenzionate, che erano state aperte dagli abitanti del paese negli ultimi due anni, sono state assunte dal governo. Altre 36 scuole saranno aperte, durante il corrente anno finanziario.
«Nello stesso tempo sono stati presi provvedimenti per lo sviluppo delle due scuole normali (1) per uomini e donne, e al prossimo settembre vi saranno, in istruzione, 80 studenti nella prima, e più di 50 nella seconda. Sono stati nominati anche maestri, che vivranno fra le tribù Beduine per insegnare ai fanciulli. Per tutto questo non è stata necessaria alcuna tassa speciale, ma vi si è provveduto con il reddito generale del paese.
«Sono stati concessi altresì sussidi a un grande numero di scuole mantenute da comunità religiose o da altre istituzioni.
«Vengo ora alla situazione politica. Io sono assai dolente che l’armonia fra le varie confessioni religiose, e le razze della Palestina, armonia che io mi sono in ogni modo sforzato di favorire, non sia stata ancora raggiunta; e con la più grande attenzione ho considerato i provvedimenti, che possono essere i migliori per giungere a questo scopo. Permettete che in primo luogo io consideri ancora una volta il disgraziato malinteso, che è sorto in riguardo alle parole della dichiarazione di Balfour: «la costituzione in Palestina di una sede nazionale per gli Ebrei» (2). Io sento spesso dire, in varii circoli, che la popolazione araba di Palestina non consentirà giammai che il suo paese, i suoi luoghi santi, le sue campagne siano ad essa tolti e dati a stranieri; che non permetterà mai la costituzione di un Governo ebraico, che debba dominare sulla maggioranza musulmana e cristiana. La popolazione dice di non poter comprendere come il Governo britannico, che è famoso in tutto il mondo per la sua giustizia, abbia potuto acconsentire a una tale politica. Io rispondo che il Governo britannico, che sopra tutte le cose ha realmente a cuore la giustizia, non ha mai acconsentito, e giammai acconsentirà a siffatta politica. Non è questo il senso della dichiarazione di Balfour.
«Può essere che la versione del testo inglese in arabo non ne renda il vero significato; il testo inglese dice che i Giudei, questo popolo disperso in tutto il mondo, ma il cui cuore è sempre rivolto verso la Palestina, debbono avere la possibilità di trovare in quel paese una patria, e alcuni di essi - entro i limiti che sono fissati dal numero e dagli interessi della popolazione attuale, - venire in Palestina per favorire con i loro mezzi e i loro sforzi lo sviluppo del paese, per il vantaggio di tutti gli abitanti di esso.
«Se sono necessari provvedimenti per convincere la popolazione musulmana e cristiana che questi principi saranno di fatto rispettati, e che i loro diritti saranno realmente salvaguardati, tali provvedimenti saranno presi. Poiché il Governo inglese, a cui con il mandato è affidata la felicità del popolo della Palestina – giammai imporrebbe a questo una politica, che esso potesse ritenere contraria ai suoi interessi religiosi, politici od economici.
«Per quel che riguarda l’immigrazione, è realmente necessario che la sua misura sia rigorosamente proporzionata alla possibilità di impiego nel paese; e che inoltre l’impiego concerna nuovi lavori, e lavori di carattere permamente. La immigrazione è stata sospesa, essendo in corso un esame della situazione; e intanto sono state emanate norme, per le quali possono entrare in Palestina le seguenti persone: viaggiatori, persone che abbiano economicamente una situazione indipendente, parenti di residenti in Palestina e che dipendano, economicamente, da questi, e infine persone che abbiano sicurezza di aver impiego presso determinati datori di lavoro o imprese. Inoltre potranno entrare un limitato numero di persone, che al momento in cui fu decretata la sospensione dell’immigrazione erano già arrivate o anche si erano già imbarcate in porti europei per la Palestina. Ma si deve definitivamente riconoscere che le condizioni della Palestina sono tali, che non permettono in alcuna maniera una immigrazione in massa.
«Io desidero vivamente che il popolo della Palestina prenda parte più diretta all’Amministrazione stabilita entro il regime del mandato; e il problema di assicurare una libera e autorevole espressione della opinione pubblica è fatto oggetto, da parte del Governo di Londra, della più attenta considerazione. Frattanto io propongo di prendere immediatamente le misure adatte allo scopo di assicurare una intesa più efficace, per quello che riguarda importanti questioni amministrative, fra il Governo e le persone responsabili che parlino a nome di tutte le frazioni della popolazione.
«Quando entrerà in vigore il mandato, è intenzione del governo inglese di stabilire le norme per il governo della Palestina. Gli interessi della popolazione non ebraica saranno non solo tutelati dal mandato stesso, ma per essi si provvederà certamente anche nelle norme, a cui sopra si accenna. Come è stato recentemente annunziato, saranno subito adottati provvedimenti per ristabilire il sistema delle elezioni dei Consigli municipali.
«Circa ai gravi disordini, che ebbero luogo recentemente a Giaffa e vicinanze, io attendo, prima di esprimere la mia opinione, il rapporto della imparziale Commissione che fa attualmente un’inchiesta circa questi avvenimenti e la loro causa; ma è certo che nulla può scusare i gravi delitti, come assassinii, attacchi e saccheggi, che sono stati commessi. Un gran numero di casi sono ora esaminati, e coloro che saranno trovati colpevoli dei delitti che sono stati commessi, avranno la loro giusta punizione. Alle famiglie degli uccisi e dei feriti, io esprimo la mia sincera simpatia». (Palestine, 11-6-1921; Jüdische Rundschau, 10-6-1921; Le Peuple Juif, 24-6-1921). - M. G.
(1) Training colleges, per preparare gli insegnanti.
(2) «The establishment in Palestine of a National Home for the ewish people».
5. a) Commenti Sionisti al discorso di Sir Herbert Samuel. – La Jüdiscbe Rundschau (settimanale di Berlino), che rappresenta la tendenza sionista più spinta, e non ha alcuna preoccupazione nazionale al di fuori della ebraica, nota che il discorso sarà accolto dai veri Sionisti con delusione. La severa condanna dei fatti di Giaffa, l’annunzio di misure che impediscano il rinnovarsi di essi, erano da prevedersi, e l’Alto Commissario non poteva fare a meno di pronunziare dichiarazioni in questo senso. E così era da prevedersi, e non ha sorpreso nessuno, il tono amichevole, con cui egli ha parlato degli Arabi, poichè la politica sionista non ha in alcun modo lo scopo di provocare un conflitto fra Arabi ed Ebrei, o anche solamente di inasprire le relazioni fra di essi. Ma Samuel doveva in questa occasione mostrare che anche il popolo ebraico, e non solamente il Governo inglese, vuol vivere insieme con gli Arabi nelle più cordiali relazioni; che anche i Sionisti sono alieni dal voler supremazia sugli Arabi, o l’oppressione di una qualsiasi parte della popolazione araba. Il popolo ebraico, che vive come minoranza in tutte le parti del mondo, sente più che ogni altro come sia riprovevole o dannosa una tale politica.
Una dichiarazione di Samuel in questo senso avrebbe fatto una profonda impressione, specialmente dopo i fatti di Giaffa; e si deve deplorare vivamente che essa sia mancata.
Le dichiarazioni di Samuel che il Governo inglese non permetterà giammai una dominazione ebraica, e l’attenuazione da lui fatta del concetto di «National Home» (1) destano l’impressione che egli condivida l’opinione che le aspirazioni ebraiche possano costituire un pericolo per la popolazione non ebraica. Samuel parla assai diffusamente di misure che debbono essere prese per tutelare gli interessi della popobzione non ebraica; ed è un’ironia, se non uno scherno, che poco dopo i fatti di Giaffa, che hanno dimostrato la completa mancanza di protezione per la popolazione ebraica, l’Alto Commissario non sappia parlare che della necessità della protezione della popolazione non ebraica.
Nessun cenno al fatto, che solamente «gli interessi religiosi politici ed economici», ma anche la vita e la sicurezza personale degli Ebrei sono invulnerabili.
Si comprende bene che questo discorso è un documento politico. Di fronte all’eccitazione ancora viva, al pericolo di uno scoppio degli istinti fanatici e sanguinari, il Commissario sente la necessità di calmare immediatamente la popolazione araba, e di togliere le basi della agitazione anti-ebraica che si fonda sulla «cupidigia di dominazione» degli Ebrei. Ma in ogni modo, il tono del discorso è sbagliato; si poteva calmare gli Arabi senza offendere la dignità degli Ebrei.
Il discorso non solo significa, nella sua parte politica, una completa capitolazione di fronte al terrorismo arabo, ma comporta a favore di esso una concessione di grande portata, cioè la limitazione dell’immigrazione. Tale limitazione, dovuta a motivi politici e non economici, deve essere combattuta.
L’organizzazione sionista si contenterà di sterili proteste, ovvero farà il possibile per procurare il lavoro per gli immigranti, in modo che la limitazione decretata perda il suo effetto?
Occorre stabilire subito un programma per l’inizio di lavori, e per la fondazione di istituti di credito; il danaro in questo ultimo periodo è affluito in quantità notevole dall’America. La limitazione della immigrazione da parte di quella Nazione che ha adottato la politica delle nazionalità, e del primo Governatore ebraico della Palestina, è un grave colpo; occorre pararlo, mettendosi alacremente e subito all’opera. (Jüdische Rundschau, 10-6-1921). - M. G.
(1) Cioè una sede nazionale, secondo le parole della dichiarazione Balfour.
Il periodico considera quindi con simpatia le dichiarazioni di Samuel, e vi trova lo schema di una politica costruttiva, che può appianare le difficoltà ora esistenti.
I provvedimenti riguardo all’immigrazione sono considerati dal periodico come saggi e prudenti, per le condizioni speciali dell’economia del paese, e i Sionisti devono cooperare con il Governo in questa nuova politica.
E cosi i provvedimenti per l’Amministrazione sembrano a «Palestine» assai opportuni, e tali da permettere forse la formazione di un partito moderato arabo, che limiti l’influenza degli estremisti. (Palestine, 11-6-1921). - M. G.
c) Il periodico Le Peuple Juif, settimanale di Parigi ed organo della Federazione sionista di Francia, è assai pessimista: le dichiarazioni di Samuel significano un grande pericolo per il Sionismo. Il periodico rileva che la debolezza dell’Amministrazione palestinese di fronte agli Arabi è la causa della situazione attuale.
Gli Arabi hanno preso ardire per la condotta non chiara del Governo inglese; e gli agitatori più in vista hanno perfino funzioni di Governo.
È insomma innegabile un cambiamento di politica in favore degli Arabi, i quali già annunziano che la dichiarazione Balfour ha perduto tutto il suo valore. (Le Peuple Juif, 24-6-1921). - M. G.
d) Sospensione dell’immigrazione in Palestina. – Cairo 8 maggio. - Risulta che l’immigrazione [ebraica] in Palestina è stata temporaneamente sospesa. (Times, 10-5-1921). - V. d. B.
Si confrontino infatti le dichiarazioni di Samuel qui sopra, p. 90-92.
e) Boicottaggio commerciale degli Ebrei a Giaffa. – Il Karmel ha da Giaffa che la popolazione araba ha deciso ed iniziato un severo boicottaggio commerciale contro gli Ebrei, e rifiuta di comprare da loro o di vender loro qualsiasi cosa. (al-Karmel, arabo di Caiffa, 18-5-1921). - V. d. B.
f) Protesta antisionista degli Arabi di Tul Karam. - Gli Arabi di Tul Karam pubblicano sul Karmel una protesta contro i Sionisti, reclamando (con tutto il rispetto per la sua persona) la destituzione del Commissario inglese Sir Herbert Samuel in quanto Ebreo, e del segretario per gli affari giudiziari Bentwich, sionista. Presentano poi le seguenti richieste:
- Annullamento della dichiarazione Balfour e divieto di immigrazione sionista.
- Espulsione degli immigrati recenti e dei bolscevichi.
- Sostituzione di tutti gli impiegati sionisti.
- Disarmo degli Ebrei, esclusi quelli indigeni che consegnarono le armi all’esercito britannico all’epoca dell’occupazione (al-Karmel, 18-5-1921).
V. d. B.
Tul Karam è a circa 25 km NW di Nabulus (Naplusa) e 56 km S. di Caiffa.
6. Il IV Congresso Palestinese. – Il 25 maggio 1921
si è inaugurato a Gerusalemme il quarto Congresso Palestinese.
Giaffa ha inviato 6 delegati, la Società Cristiana di Caiffa
4, la Società Musulmana di Caiffa 7, la Società Giovanile
Cristiana 1; Tiberiade ha inviato 4 delegati, Safad 3 delegati. II
Congresso comincerà col prender conoscenza delle attività
della Commissione Esecutiva del terzo Congresso; compilerà poi
una relazione sui fatti di Giaffa e sulle conseguenze, da
diffondersi all’estero; si occuperà finalmente di formare la
delegazione, che sarà probabilmente composta di due capi religiosi
(uno musulmano ed uno cristiano), più un uomo politico, un
commerciante, un giurista, un sociologo, ed un segretario che parli
inglese. Preoccupato dalle troppe candidature il Karmel
osserva che i membri della delegazione dovranno essere scelti
con grande cura, fra le persone più colte, che meglio conoscano
l’Europa e che abbiano profondamente studiato la questione
sionista e la politica orientale delle grandi potenze, capaci
insomma di far buona impressione agli uomini politici, alle
autorità spirituali e ai giornalisti con cui verranno a contatto.
Raccomanda che nella scelta non influiscano la vanità e
l’ambizione, ed esorta i candidati delusi a lavorare in patria.
Propone la nomina del Vescovo Gregorio Haggiar, per l’alta dignità ecclesiastica e per l’eloquenza, e del musulmano Ruhi ’Abd al-Hadi per la sua conoscenza di politica estera e la sua esperienza di funzionario. (al-Karmel, 28-5-1921). - V. d. B.
Il « Congresso Palestinese», fondato il 12 dicembre 1920, e radunantesi periodicamente, ha per scopi la fondazione d’un governo nazionale, l’abolizione del principio della «Sede Nazionale ebraica» e il guidare l’opinione pubblica. – Il III Congresso contò 85 membri.
Il « Congresso Palestinese», fondato il 12 dicembre 1920, e radunantesi periodicamente, ha per scopi la fondazione d’un governo nazionale, l’abolizione del principio della «Sede Nazionale ebraica» e il guidare l’opinione pubblica. – Il III Congresso contò 85 membri.
7. Conferenza per l’emigrazione ebraica a Bruxelles.
– Date le vaste proporzioni prese ultimamente dall’emigrazione
ebraica dall’Europa orientale, e la congestione di emigranti
segnalata in Polonia, Rumenia, Bessarabia e dai principali porti
europei, l’Associazione Colonizzatrice Ebraica convocò una
conferenza dei principali comitati ebraici di emigrazione in tutta
l’Europa, per studiare il problema e possibilmente trovar il
modo di regolare e controllare l’emigrazione. La Conferenza si
riunì a Bruxelles il 7 e l’8 giugno
e venne nella decisione di coordinare l’opera delle varie
società e comitati sotto la direzione della Associazione
Colonizzatrice Ebraica. Venne riconosciuta la necessità di
stabilire ispezioni sanitarie degli emigranti in partenza ed in
arrivo ed in alcune stazioni di transito. Venne riconosciuto
che i comitati dovevano occuparsi specialmente dei casi
urgenti, senza prender misure atte a provocare immigrazioni
superflue. (Manchester Guardian, 13-6-1921). - V. d. B.
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