Homepage della Questione sionista
L’archivio storico dell’Unità è composto dalle scansioni delle copie cartacee originali stampate dal 1924 al 2008. Le edizioni pubblicate dal 2008 in poi, già in formato digitale, sono pure gratuitamente e integralmente disponibili, a titolo gratuito la
settimana successiva alla data di pubblicazione. È l’archivio completo di tutte le pagine del giornale, dalla fondazione al 2008, integralmente e gratuitamente a disposizione di tutti. Un'impresa di straordinario contenuto tecnologico che permette di accedere ai fatti di oltre 80 anni di storia attraverso ricerche per parole, date, classificazioni, suggerimenti. L’archivio storico comprende il periodo che va dalla data di fondazione del 12 febbraio 1924 fino al 2008; si tratta di oltre 500 mila pagine di giornale provenienti dalle scansioni delle copie cartacee originali e fruibili tramite il motore di ricerca. Siffatti articolo sono integrati nella nostra ricerca sulla «Questione sionista e il Vicino Oriente». Costituiscono una fonte prezioso per lo studio del rapporto fra il sionismo e la sinistra italiana nonché per il rapporti fra antifascismo e sionismo.
Indice Analitico: a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z. - Eventi del 1967.
LA QUESTIONE SIONISTA
E IL VICINO ORIENTE
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del quotidiano “l’Unità”
1967
1966 ↔ 1968
L’Unità: 1924 - 1925 - 1926 - 1927 - 1928 - 1929 - 1930 - 1931 - 1932 - 1933 - 1934 - 1935 - 1936 - 1937 - 1938 - 1939 - 1940 - 1941 - 1942 - 1943 - 1944 - 1945 - 1946 - 1947 - 1948 - 1949 - 1950 - 1951 - 1952 - 1953 - 1954 - 1955 - 1956 - 1957 - 1958 - 1959 - 1960 - 1961 - 1962 - 1963 - 1964 - 1965 - 1966 - 1967 - 1968 - 1969 - 1970 - 1971 - 1972 - 1973 - 1974 - 1975 - 1976 - 1977 - 1978 - 1979 - 1980 - 1981 - 1982 - 1983 - 1984 - 1985 - 1986 - 1987 - 1988 - 1989 - 1990 - 1991 - 1992 - 1993 - 1994 - 1995 - 1996 - 1997 - 1998 - 1999 - 2000 - 2001 - 2002 - 2003 - 2004 - 2005 - 2006 - 2007 - 2008 - 2009 - 2010 -2011 - 2012 - 2013.
Sommario: Anno 1967 de “l’Unità” → 1. «Noi non siamo razzisti: vogliamo solo tornare nella nostra patria». –E IL VICINO ORIENTE
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1967
1966 ↔ 1968
Anno di inizio spoglio: 1967 |
Indice Analitico: a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z. - Eventi del 1967.
Cap. 1
l’Unità,
1 giugno 1967
Giovedì, p. 11
Titoli: A colloquio con un giovane dirigente palestinese. «Noi non siamo razzisti: vogliamo solo tornare nella nostra patria». Il problema ebraico e la soluzione Israele. La convivenza di gruppi religiosi diversi e di forti minoranze etniche è una caratteristica del Medio Oriente. Il diritto all’autodeterminazione. La spontaneità dei gruppi armati e la loro preparazione toerica. Sfiducia nell’operato ONU.
Dal nostro inviato.
IL CAIRO, 31.
In tutta la discussione sulla crisi mediorientale c’è un vuoto molto grave. Non si parla dei profughi palestinesi che in fin dei conti sono umanamente e anche politicamente tra i principali protagonisti. In una precedente corrispondenza ho accennato brevemente ma – almeno lo spero – correttamente e con precisione al problema. Penso opportuno tornarvi in modo piu approfondito allo scopo di illuminare la opinione pubblica e smascherare l’ipocrita campagna reazionaria tendente a sfruttare in Italia il bruciante ricordo di Auschwitz in funzione pro-imperialista. Ho avuto perciò una lunga e pacata discussione con un giovane palestinese, ventinovenne, cacciato bambino con la sua famiglia da gente a cui egli non aveva mai fatto nulla di male.
È un giovane serio, calmo, eloquente. È uno dei dirigenti dell’associazione degli studenli palestinesi al Cairo. Mi dice inpanzitutto che comprende l’emozione, la preoccupazione e il disorientamento di europei e italiani. « I nostri mezzi sono scarsi — dice — la nostra propaganda poco efficiente e forse talvolta inefficace perché scorretta». Aggiunge: «Noi siano risolutamente contro l’antisemitismo, condanniamo l’antisemitismo perché è una dottrina razzista, condanniamo il fascismo e il nazismo perché sono dottrine razziste. Se gli imperialisti hanno aiutato il sionismo, non l’hanno fatto certo per umanità, ma per crearsi una base stabile in una regione del mondo di eccezionale importanza strategica ed economica, a causa del canale di Suez, del petrolio e della prossimità delle frontiere sovietiche.
«Insistiamo sempre nel condannare l’antisemitismo e chiediamo che la questione ebraica sia risolta in modo naturale, sulla base dei principi di giustizia ed egualianza su cui dovrebbero fondarsi tutti gli Stati moderni. Sentiamo che la soluzione del problema attraverso la creazione di Israele fu una soluzione falsa e artificiosa. Del resto, la stragrande maggioranza degli ebrei vive ancora negli Stati Uniti e in Europa, particolarmente in URSS. Creando Israele non è risolto il problema ebraico, cioè il problema di assicurare agli ebrei pieni diritti in ogni paese del mondo; si è creato invece un altro grave problema: quello del popolo palestinese scacciato dalla sua terra. Sono gli americani, sono gli europei che debbono accogliere nella loro società gli ebrei fraternamente, senza discriminazioni, come noi arabi abbiamo sempre fatto durante secoli, in modo del tutto naturale. Creando Israele si è perfino contribuito a rafforzare la tesi tipicamente razzista che gli ebrei non possono vivere tra «ariani». Che fare? Noi – risponde, il nostro interlocutore – non crediamo che Israele sia una soluzione stabile, per le ragioni già dette e perché ci sono profughi palestinesi che giustamente vogliono tornare nella loro patria a tutti i costi. La natura di Israele come «Stato ebraico» (ed è lui stesso a dirmi di scrivere tra virgolette) è insana, perché contraria ai principi su cui debbono fondarsi gli Stati moderni, nei quali non devono esserci favoritismi o discriminazioni né religiose né razziali. Lo Stato teocratico è contrario alle idee del XX secolo, è un anacronismo e una incongruenza. Invece di fare appello alla immigrazione di ebrei in Israele, si dovrebbe piuttosto chiedere il ritorno dei palestinesi nella loro patria. Attraverso tale ritorno, il problema sarebbe risolto.
«Perchè? Perché la Palestina tornerebbe ad essere ciò che era prima del 1948, cioè un paese arabo con precisi confini, abitato da arbi musulmani, arabi ebrei e arabi cristiani e tante altre minoranze, tipiche del Medio Oriente, come armeni, circassi, turchi, greci, ecc. In un solo punto ci sarebbe un cambiamento, essenziale quanto giusto: la Palestina non sarebbe più un mandato, cioè praticamente una semicolonia britannica, bensì un paese libero e indipendente, senza discriminazioni. Gli ebrei immigrati di recente sarebbero liberi di scegliere fra il ritorno ai paesi di origine oppure restare in Palestina, in piena eguaglianza di diritti e di doveri. Tale soluzione permetterebbe persino di contribuire al problema ebraico nel mondo, dimostrando che gli ebrei possono vivere pacificamente e fraternamente insieme con tutti gli altri popoli».
Chiedo: c’è però un delicato problema di frontiere, un mutamento dello statu quo, sia pure di recente origine. Mi sembra che la stessa Unione Sovietica, che pure è l’amica e la alleata principale degli arabi, sia conlraria all’abolizione dello Stato di Israele; e tale è anche la posizione del nostro partito comunista. Che fare dunque?
Risponde: «Secondo noi il problema non è tanto diverso da quello della Rhodesia e del Sudafrica, dove gli immigrati bianchi opprimono e sfruttano gli africani».
Chiedo: ammettiamo che sia così. Ma che soluzione vedete per la Rhodesia e per il Sudafrica?
Risponde: «Bisogna dare ai popoli di tali paesi il pieno diritto all’autodeterminazione: abolire il razzismo e lo sfruttamento. I bianchi potranno vivere come cittadini a pari diritto, rinunciando ad opprimere e sfruttare gli africani, perché non e giusto uno Stato che sia fondato sulla supremazia di un solo gruppo nazionale o “razziale” che ne opprime un altro».
Chiedo: accettereste la divisione della in due Stati, uno arabo e un altro ebraico?
Risponde: «No».
Dal nostro inviato.
IL CAIRO, 31.
In tutta la discussione sulla crisi mediorientale c’è un vuoto molto grave. Non si parla dei profughi palestinesi che in fin dei conti sono umanamente e anche politicamente tra i principali protagonisti. In una precedente corrispondenza ho accennato brevemente ma – almeno lo spero – correttamente e con precisione al problema. Penso opportuno tornarvi in modo piu approfondito allo scopo di illuminare la opinione pubblica e smascherare l’ipocrita campagna reazionaria tendente a sfruttare in Italia il bruciante ricordo di Auschwitz in funzione pro-imperialista. Ho avuto perciò una lunga e pacata discussione con un giovane palestinese, ventinovenne, cacciato bambino con la sua famiglia da gente a cui egli non aveva mai fatto nulla di male.
È un giovane serio, calmo, eloquente. È uno dei dirigenti dell’associazione degli studenli palestinesi al Cairo. Mi dice inpanzitutto che comprende l’emozione, la preoccupazione e il disorientamento di europei e italiani. « I nostri mezzi sono scarsi — dice — la nostra propaganda poco efficiente e forse talvolta inefficace perché scorretta». Aggiunge: «Noi siano risolutamente contro l’antisemitismo, condanniamo l’antisemitismo perché è una dottrina razzista, condanniamo il fascismo e il nazismo perché sono dottrine razziste. Se gli imperialisti hanno aiutato il sionismo, non l’hanno fatto certo per umanità, ma per crearsi una base stabile in una regione del mondo di eccezionale importanza strategica ed economica, a causa del canale di Suez, del petrolio e della prossimità delle frontiere sovietiche.
«Insistiamo sempre nel condannare l’antisemitismo e chiediamo che la questione ebraica sia risolta in modo naturale, sulla base dei principi di giustizia ed egualianza su cui dovrebbero fondarsi tutti gli Stati moderni. Sentiamo che la soluzione del problema attraverso la creazione di Israele fu una soluzione falsa e artificiosa. Del resto, la stragrande maggioranza degli ebrei vive ancora negli Stati Uniti e in Europa, particolarmente in URSS. Creando Israele non è risolto il problema ebraico, cioè il problema di assicurare agli ebrei pieni diritti in ogni paese del mondo; si è creato invece un altro grave problema: quello del popolo palestinese scacciato dalla sua terra. Sono gli americani, sono gli europei che debbono accogliere nella loro società gli ebrei fraternamente, senza discriminazioni, come noi arabi abbiamo sempre fatto durante secoli, in modo del tutto naturale. Creando Israele si è perfino contribuito a rafforzare la tesi tipicamente razzista che gli ebrei non possono vivere tra «ariani». Che fare? Noi – risponde, il nostro interlocutore – non crediamo che Israele sia una soluzione stabile, per le ragioni già dette e perché ci sono profughi palestinesi che giustamente vogliono tornare nella loro patria a tutti i costi. La natura di Israele come «Stato ebraico» (ed è lui stesso a dirmi di scrivere tra virgolette) è insana, perché contraria ai principi su cui debbono fondarsi gli Stati moderni, nei quali non devono esserci favoritismi o discriminazioni né religiose né razziali. Lo Stato teocratico è contrario alle idee del XX secolo, è un anacronismo e una incongruenza. Invece di fare appello alla immigrazione di ebrei in Israele, si dovrebbe piuttosto chiedere il ritorno dei palestinesi nella loro patria. Attraverso tale ritorno, il problema sarebbe risolto.
«Perchè? Perché la Palestina tornerebbe ad essere ciò che era prima del 1948, cioè un paese arabo con precisi confini, abitato da arbi musulmani, arabi ebrei e arabi cristiani e tante altre minoranze, tipiche del Medio Oriente, come armeni, circassi, turchi, greci, ecc. In un solo punto ci sarebbe un cambiamento, essenziale quanto giusto: la Palestina non sarebbe più un mandato, cioè praticamente una semicolonia britannica, bensì un paese libero e indipendente, senza discriminazioni. Gli ebrei immigrati di recente sarebbero liberi di scegliere fra il ritorno ai paesi di origine oppure restare in Palestina, in piena eguaglianza di diritti e di doveri. Tale soluzione permetterebbe persino di contribuire al problema ebraico nel mondo, dimostrando che gli ebrei possono vivere pacificamente e fraternamente insieme con tutti gli altri popoli».
Chiedo: c’è però un delicato problema di frontiere, un mutamento dello statu quo, sia pure di recente origine. Mi sembra che la stessa Unione Sovietica, che pure è l’amica e la alleata principale degli arabi, sia conlraria all’abolizione dello Stato di Israele; e tale è anche la posizione del nostro partito comunista. Che fare dunque?
Risponde: «Secondo noi il problema non è tanto diverso da quello della Rhodesia e del Sudafrica, dove gli immigrati bianchi opprimono e sfruttano gli africani».
Chiedo: ammettiamo che sia così. Ma che soluzione vedete per la Rhodesia e per il Sudafrica?
Risponde: «Bisogna dare ai popoli di tali paesi il pieno diritto all’autodeterminazione: abolire il razzismo e lo sfruttamento. I bianchi potranno vivere come cittadini a pari diritto, rinunciando ad opprimere e sfruttare gli africani, perché non e giusto uno Stato che sia fondato sulla supremazia di un solo gruppo nazionale o “razziale” che ne opprime un altro».
Chiedo: accettereste la divisione della in due Stati, uno arabo e un altro ebraico?
Risponde: «No».
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