Homepage della Questione sionista
L’archivio storico dell’Unità
è composto dalle scansioni delle copie cartacee originali stampate dal
1924 al 2008. Le edizioni pubblicate dal 2008 in poi, già in formato digitale,
sono pure gratuitamente e integralmente disponibili, a titolo gratuito
la
settimana successiva alla data di pubblicazione. È l’archivio completo
di tutte le pagine del giornale, dalla fondazione al 2008, integralmente
e gratuitamente a disposizione di tutti. Un'impresa di straordinario
contenuto tecnologico che permette di accedere ai fatti di oltre 80 anni
di storia attraverso ricerche per parole, date, classificazioni,
suggerimenti. L’archivio storico comprende il periodo che va dalla data
di fondazione del 12 febbraio 1924 fino al 2008; si tratta di oltre 500
mila pagine di giornale provenienti dalle scansioni delle copie cartacee
originali e fruibili tramite il motore di ricerca. Siffatti articolo
sono integrati nella nostra ricerca sulla «Questione sionista e il
Vicino Oriente». Costituiscono una fonte preziosa per lo studio del
rapporto fra il sionismo e la sinistra italiana nonché per il rapporti
fra antifascismo e sionismo.
Indice Analitico: a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z. - Eventi del 1948.
LA QUESTIONE SIONISTA
E IL VICINO ORIENTE
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Sommario: Anno 1911 de “l’Unità” → 1. La decisione dell’Onu influenza il negoziato. – 2. Fassino: «La decisione delle Nazioni Unite aiuta il processo di pace». –E IL VICINO ORIENTE
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Anno di inizio spoglio: 1967 |
Indice Analitico: a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z. - Eventi del 1948.
Cap. 1
l’Unità,
18 dicembre 1991
Mercoledì, p. 5
Titoli: I colloqui bilaterali sul Medio Oriente segnati dall’abrogazione della risoluzione che equiparava il sionismo al razzismo. Israele canta vittoria ma la Casa Bianca avverte: «Attendiamo un analogo gesto di disponibilità al dialogo da parte di Tel Aviv». La decisione dell’Onu influenza il negoziato.
L’incontro fra George Bush e il ministro degli esteri israeliano David Levy ha caratterizzato l’apertura della seconda settimana dei negoziati bilaterali sul Medio Oriente. La Casa Bianca plaude all’abrogazione da parte dell’Onu della risoluzione sul sionismo ma chiede che ora a Tel Aviv «una nuova disponibilità al tavolo delle trattative». «Siamo in un vicolo cieco», ammette Hanan Ashrawi.
UMBERTO DE GIOVANNAGELI.
E così, per cercare di orientarsi nel «ginepraio» dei negoziati bilaterali sul Medio Oriente - entrati ormai nella seconda settimana - ieri si è fatto ricorso anche al lessico calcistico. «A Washington - si è lasciato sfuggire un diplomatico americano che ha seguito la trattativa al dipartimento di Stato - si sta giocando una partita in cui finora non è stato segnato alcun punto. Per Israele però lo zero a zero equivale a una vittoria». Una valutazione realistica, avvalorata anche dall’incontro avvenuto ieri alla Casa Bianca tra il presidente Bush e il ministro degli Esteri israeliano, David Levy . Un incontro temuto da Tel Aviv, visto il clima non certo «idilliaco» istauratosi negli ultimi mesi tra i due paesi. Nel colloquio di ieri George Bush ha latto il punto sui rapporti Usa-lsraele, non lesinando al giovane ministro israeliano, le preoccupazioni americane per un negoziato che non decolla e per alcune scelte compiute di recente da Yitzhah Shamir, in primo luogo la massiccia, e ininterrotta, colonizzazione dei territori occupati e di Gerusalemme Est. Una politica definita ieri «provocatoria» da un portavoce del dipartimento di Stalo. E tuttavia, la soddisfazione ostentata da David Levy al termine del lungo colloquio con George Bush non appariva di facciata.
Il tempo, infatti, sembra fare il gioco di Tel Aviv, che in un negoziato sinora avaro di risultati concreti, ha potuto comunque portare a casa un risultato indubbiamente positivo: l’abrogazione da parte delle Nazioni Unite della risoluzione del 1975 che equiparava il sionismo al razzismo. Sul significato politico della decisione dell’Onu - fortemente voluta dagli Stati Uniti e altrettanto fortemente contestata dalla quasi totalità del fronte arabo - si è aperta ieri una sorta di «guerra d’interpretazioni». «Credo - ha affermato euforico il capo della delegazione israeliana, Beiamin Netanyahu - che un brutto risveglio aspetti gli arabi: scopriranno che gli Usa non condurranno la trattativa per loro».
Quella dell’eminenza grigia di Yitzhah Shamir è apparsa una interpretazione di parte non gradita dalla Casa Bianca. Dalle dichiarazioni dei più stretti collaboratori del segretario di Stato, James Baker, è emersa un’altra, più «equilibrata» verità: gli Stati Uniti hanno voluto lanciare un ennesimo messaggio di disponibilità allo Stato ebraico, che certamente spiazza quanti in Israele gridavano da mesi al «tradimento americano» e alla politica «filo-araba» dell’amministrazione Bush. «Abbiamo dimostrato a Shamir che intendiamo svolgere a tutti gli effetti una funzione di mediazione nel contenzioso arabo-israeliano», ha affermato nella tarda serata di ieri una «autorevole fonte» della Casa Bianca, aggiungendo però che «questa buona volontà non può essere a senso unico» e che «il presidente Bush si attende ora un atteggiamento più conciliante di Tel Aviv al tavolo delle trattative.
Timide avvisaglie di una nuova disponibilità israeliana si sono avute ieri mattina, almeno per ciò che concerne i negoziati tra Israele e la Siria. Al suo arrivo al dipartimento di Stato, il rappresentante israeliano Yossi Ben Aharon ha affermato che i quattro giorni di colloqui intrattenuti finora hanno permesso alle due parti di capirsi meglio e «quindi, appaiono utili in vista del superamento di alcuni punti di contrasto». Decisamente più cauto il commento della controparte siriana: il rappresentante di Damasco, Muwalid Al Allaf, ha sottolineato che rifiutandosi di discutere gli impegni assunti a Madrid, Israele mantiene un atteggiamento che rappresenta un «ostacolo reale» al progresso della trattativa. Tuttavia la delegazione siriana, ha precisato Al Allaf, è disponibile al proseguimento dei colloqui « per tutto il tempo necessario».
Fermi ancora nel corridoio sono invece i colloqui tfa israeliani e palestinesi, impegnati in un estenuante contenzioso «procedurale» da cui i delegati dei territori occupati cercano di uscir fuori, senza rinnegare, però, la loro iniziale richiesta di trattare da soli con gli israeliani. «In questo momento siamo in un vicolo cieco», ha ammesso la portavoce palestinese, Hanan Ashrawi, che non ha nascosto le sue preoccupazioni per le notizie provenienti dai territori occupati. «Mentre qui si discute di stanze - ha amaramente constatato la signora Ashrawi - a Gaza e in Cisgiordania si continua a morire. E questa situazione non può davvero durare a lungo».
Nella presa di posizione del responsabile internazionale del Pds vi è anche la soddisfazione per una decisione che non coglie certo di sprovvista il partito della quercia. «La nostra soddisfazione di oggi - sottolinea infatti Piero Fassino - è tanto più sincera perché il Pci fu una delle poche forze di sinistra che fin dal primo momento criticò quella risoluzione, ricordando che il sionismo null’altro è stato ed è che l’espressione politica del movimento nazionale ebraico, che è all’origine dello Stato di Israele».
L’incontro fra George Bush e il ministro degli esteri israeliano David Levy ha caratterizzato l’apertura della seconda settimana dei negoziati bilaterali sul Medio Oriente. La Casa Bianca plaude all’abrogazione da parte dell’Onu della risoluzione sul sionismo ma chiede che ora a Tel Aviv «una nuova disponibilità al tavolo delle trattative». «Siamo in un vicolo cieco», ammette Hanan Ashrawi.
UMBERTO DE GIOVANNAGELI.
E così, per cercare di orientarsi nel «ginepraio» dei negoziati bilaterali sul Medio Oriente - entrati ormai nella seconda settimana - ieri si è fatto ricorso anche al lessico calcistico. «A Washington - si è lasciato sfuggire un diplomatico americano che ha seguito la trattativa al dipartimento di Stato - si sta giocando una partita in cui finora non è stato segnato alcun punto. Per Israele però lo zero a zero equivale a una vittoria». Una valutazione realistica, avvalorata anche dall’incontro avvenuto ieri alla Casa Bianca tra il presidente Bush e il ministro degli Esteri israeliano, David Levy . Un incontro temuto da Tel Aviv, visto il clima non certo «idilliaco» istauratosi negli ultimi mesi tra i due paesi. Nel colloquio di ieri George Bush ha latto il punto sui rapporti Usa-lsraele, non lesinando al giovane ministro israeliano, le preoccupazioni americane per un negoziato che non decolla e per alcune scelte compiute di recente da Yitzhah Shamir, in primo luogo la massiccia, e ininterrotta, colonizzazione dei territori occupati e di Gerusalemme Est. Una politica definita ieri «provocatoria» da un portavoce del dipartimento di Stalo. E tuttavia, la soddisfazione ostentata da David Levy al termine del lungo colloquio con George Bush non appariva di facciata.
Il tempo, infatti, sembra fare il gioco di Tel Aviv, che in un negoziato sinora avaro di risultati concreti, ha potuto comunque portare a casa un risultato indubbiamente positivo: l’abrogazione da parte delle Nazioni Unite della risoluzione del 1975 che equiparava il sionismo al razzismo. Sul significato politico della decisione dell’Onu - fortemente voluta dagli Stati Uniti e altrettanto fortemente contestata dalla quasi totalità del fronte arabo - si è aperta ieri una sorta di «guerra d’interpretazioni». «Credo - ha affermato euforico il capo della delegazione israeliana, Beiamin Netanyahu - che un brutto risveglio aspetti gli arabi: scopriranno che gli Usa non condurranno la trattativa per loro».
Quella dell’eminenza grigia di Yitzhah Shamir è apparsa una interpretazione di parte non gradita dalla Casa Bianca. Dalle dichiarazioni dei più stretti collaboratori del segretario di Stato, James Baker, è emersa un’altra, più «equilibrata» verità: gli Stati Uniti hanno voluto lanciare un ennesimo messaggio di disponibilità allo Stato ebraico, che certamente spiazza quanti in Israele gridavano da mesi al «tradimento americano» e alla politica «filo-araba» dell’amministrazione Bush. «Abbiamo dimostrato a Shamir che intendiamo svolgere a tutti gli effetti una funzione di mediazione nel contenzioso arabo-israeliano», ha affermato nella tarda serata di ieri una «autorevole fonte» della Casa Bianca, aggiungendo però che «questa buona volontà non può essere a senso unico» e che «il presidente Bush si attende ora un atteggiamento più conciliante di Tel Aviv al tavolo delle trattative.
Timide avvisaglie di una nuova disponibilità israeliana si sono avute ieri mattina, almeno per ciò che concerne i negoziati tra Israele e la Siria. Al suo arrivo al dipartimento di Stato, il rappresentante israeliano Yossi Ben Aharon ha affermato che i quattro giorni di colloqui intrattenuti finora hanno permesso alle due parti di capirsi meglio e «quindi, appaiono utili in vista del superamento di alcuni punti di contrasto». Decisamente più cauto il commento della controparte siriana: il rappresentante di Damasco, Muwalid Al Allaf, ha sottolineato che rifiutandosi di discutere gli impegni assunti a Madrid, Israele mantiene un atteggiamento che rappresenta un «ostacolo reale» al progresso della trattativa. Tuttavia la delegazione siriana, ha precisato Al Allaf, è disponibile al proseguimento dei colloqui « per tutto il tempo necessario».
Fermi ancora nel corridoio sono invece i colloqui tfa israeliani e palestinesi, impegnati in un estenuante contenzioso «procedurale» da cui i delegati dei territori occupati cercano di uscir fuori, senza rinnegare, però, la loro iniziale richiesta di trattare da soli con gli israeliani. «In questo momento siamo in un vicolo cieco», ha ammesso la portavoce palestinese, Hanan Ashrawi, che non ha nascosto le sue preoccupazioni per le notizie provenienti dai territori occupati. «Mentre qui si discute di stanze - ha amaramente constatato la signora Ashrawi - a Gaza e in Cisgiordania si continua a morire. E questa situazione non può davvero durare a lungo».
Cap. 2
Fassino:
«La decisione delle Nazioni Unite aiuta il processo di pace».
l’Unità,
18 dicembre 1991
Mercoledì
«Un importante ostacolo allo sviluppo del negoziato sul Medio Oriente è stato finalmente rimosso dalle Nazioni Unite». Così il responsabile intemazionale del Pds, Piero Fassino ha commentato la decisione presa lunedi scorso dall’Onu di abrogare la risoluzione del novembre 1975 che equiparava il sionismo al razzismo. « I fatti hanno dimostrato - ha sottolinealo il dirigente del Pds - che aver fatto passare una risoluzione così arbitraria e ingiusta, ha gravemente pregiudicato per anni la capacità dell’Onu di esercitare una positiva ed equilibrata funzione di mediazione per la soluzione del conflitto mediorientale e per la stessa risoluzione della questione palestinese. È stato un portato della divisione del mondo in blocchi e di un terzamondismo schematico e unilaterale, ormai per fortuna superati dalla storia».Nella presa di posizione del responsabile internazionale del Pds vi è anche la soddisfazione per una decisione che non coglie certo di sprovvista il partito della quercia. «La nostra soddisfazione di oggi - sottolinea infatti Piero Fassino - è tanto più sincera perché il Pci fu una delle poche forze di sinistra che fin dal primo momento criticò quella risoluzione, ricordando che il sionismo null’altro è stato ed è che l’espressione politica del movimento nazionale ebraico, che è all’origine dello Stato di Israele».
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