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Cap. 1 di «Le peuple juif» a. XV
Sommario. - Lettura in modalità verticale (↑↓), a papiro, in un singolo post, di tutto e del solo testo originale di “Le peuple juif”, diviso per capitoli (cap., c.) e annate con qualche illustrazione grafica oppure in modalità orizzontale (↔), a libro, di ogni singolo paragrafo (§) delle «Cronache» assemblate per anno e rinumerate cronologicamente, dove è pure sviluppato un nostro commento critico con webgrafia, note e ogni utile ed interessante integrazione.
Cap. 1 di «Le peuple juif» a. XV
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§ 1a.
Manifesto e appello del “Keren Hayessod” agli ebrei di tutti i paesi
da: Le peuple juif,
Anno XV, Nr. 1,
7 gennaio 1921, p. 3-4
Anno XV, Nr. 1,
7 gennaio 1921, p. 3-4
Viene salutata come una grande opportunità per «il popolo ebreo» il mandato inglese sulla Palestina. Ciò comporta un dispiegamento di mezzi enormi ed è perciò lanciato un appello-manifesto del “Keren Hayessod”, l’organizzazione ebraico sionista che si farà carico non solo della espropriazione delle terre degli indigeni palestinesi, mediante acquisto privatistico di terre, ma avrà finalità eminenti di carattere pubblico cancellando ogni presenza palestinese o araba dalle terre che hanno abitato ininterrottamente per l’arco di millenni. A fronte di mezzi assai cospicui di cui il sionismo dispone fin dagli inizi della colonizzazione, che altrimenti non avrebbe neppure potuto essere intrapresa, stride il contrasto nello stesso anno 1921 con la mancanza di fondi che i palestinesi neppure trovavano per mandare a Londra ed in Europa una delegazione di protesta sui contenuti del mandato inglese sulla Palestina, la cui ideazione ed organizzazione è concepita in stretta intesa fra il governo inglese e le organizzazioni sioniste, che nella prima guerra mondiale ebbero un ruolo non adeguatamente noto al grande pubblico.
Un “Manifesto” è un testo propagandistico più di ogni altro, ma nondimeno possono trarsi da esso informazioni che i loro estensori certamente non intendevano dare o rivelare. A distanza di 90 anni come commentare questa autentica e consapevole beffa del popolo palestinese che già allora era cinicamente immolato sull’altare della politica di potenza:
Si può facilmente venire accusati di “complottismo” per il semplice fatto di rilevare un apparato organizzativo che è dichiarato dagli stessi estensori del Manifesto:
Il piano di colonizzazione è chiaramente definito e dichiarato: «Qui dit immigration et colonisation, dit acquisition et préparation du sol, construction de routes, de voies ferrées, de ports et de ponts, plantations d’arbres sur les collines, assèchement des marais, irrigation des champs et utilisation des chutes d’eau, construction de villes, développement de l’industrie, des métiers et du commerce, et en mème temps que tout ce travail énorme, toutes mesures utiles en vue du bien-être social, de la santé pubblique et surtout de l’enseignement et du progrés cultural». Un vero e proprio piano di colonizzazione che presuppone la “pulizia etnica” di ogni elemento indigeno o nella migliore delle ipotesi una sua riduzione in schiavitù per il tempo strettamente necessario al compimento del piano di colonizzazione.
A proposito di “tecnici” e di “lavoro tecnico” la mente mi riporta alcune pagine di Ilan Pappe, dove si attribuisce, già sotto il Mandato, proprio al Fondo quell’attività di rilevazione topografica che poi sarà utilizzata nel 1948 nel piano Dalet per la pulizia etnica della Palestina, a migliore precisazione di sarebbe stato il “bien-être” della popolazione “non-juif”, già programmato il 7 gennaio del 1921. Se come pretende un recente propagandista italiano, si dovesse per davvero poter parlare di un “debito morale dell’Europa”, chiaramente a spese di terzi, deve qui rilevarsi che la pretesa dei creditori precede tanto l’avvento del fascismo quanto quello del nazismo. Ma la cronologia è nella propaganda un dettaglio del tutto trascurabile. Tuttavia, essendo necessario il vittimismo per la buona riuscita dell’operazione, in attesa del fascimo e del nazismo, ne farà le veci lo zarismo, la cui storia in rapporto agli ebrei ed al “mito” dell’antisemitismo è bene percorrere partendo dai due volumi di Solgenitsin sulla storia della Russia prima e dopo del 1917. Uno studio a parte, che non rientra in questa ricerca sulla “questione sionista e il Vicino Oriente”, merita la condizione giuridica degli ebrei successiva all’abolizione di ogni discriminazione dei cittadini in base al principio del “diritto eguale” sorto dalla rivoluzione francese in opposizione al “privilegio” di ordine o di casta che era proprio dell’ancien regime. Per gli ebrei si poneva durante tutto il XIX secolo la loro pretesa di essere “altro” anche in “opposizione” a tutti i restanti i cittadini che avevo non solo il diritto ma anche l’obbligo al “diritto eguale”, dando così vita ad una nuova identità ed unità politica. Prima di parlare di “antisemitismo” sarebbe opportuno studiare meglio il contesto, tutto ottocentesco, il cui il fenomeno si andava delineando.
Egualmente rovesciata è la rappresentazione morale di ciò che già accadeva nell’anno 1921. Una massiccia e crescente immigrazione ebraica ha lo scopo manifesto e dichiarato di estromettere gli abitanti indigeni della Palestina, ma i coloni si dichiarano vittime perseguitati a causa delle comprensibili reazioni degli espropriati e dei genocidati. Già allora una esigua minoranza disponeva del controllo pressoché totale dei media ed era già allora scontato che una menzogna fortemente sostenuta dalla stampa e propagandata con tutti i mezzi disponibili poteva soppiantare la Verità e perfino produrre autopersuasione, almeno presso i beneficiari degli espropri e della colonizzazione. Altra tecnica già allora collaudata era quella di amplificare all’infinito ogni minimo atto di violenza subito e di negare, travisare, ridurre, minimizzare i ben più grandi atti di violenza commessi a danno di terzi innocenti. Ma di questa tecnica ci aveva già avvertito Gesù Cristo nella sua parabola della pagliuzza e della trave. Dopo duemila anni l’ipocrisia non è gran che cambiata, anche se si avvale di nuovi mezzi tecnici.
Naturalmente possiamo qui rinviare all’opera divulgativa di Shlomo Sand sulla mera invenzione del “popolo ebraico”, che noi qui utilizzando fonti e documentazione coeva collocheremo nel contesto nazionalistico e colonialistico della seconda metà del XIX secolo. Offrite gratis una casa, una terra, un’occupazione e vantaggi di ogni genere a spese di terzi e troverete facilmente anche un “popolo etrusco” disposto ad ogni avventura e ad ogni efferatezza:
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Un “Manifesto” è un testo propagandistico più di ogni altro, ma nondimeno possono trarsi da esso informazioni che i loro estensori certamente non intendevano dare o rivelare. A distanza di 90 anni come commentare questa autentica e consapevole beffa del popolo palestinese che già allora era cinicamente immolato sull’altare della politica di potenza:
«…pour le salut des Juis e pour le bien-être de la population non-juif de l’enseble du pays».Si noti bene la finezza: la stragrande maggioranza del paese che si andava a colonizzare e ad espropriare non merita altra menzione identificativa che in quanto “non-juif”. Sarà molto più tardi che Edward Said rilevera l’attegiamento di mera ed assoluta “negazione” di ogni elemento “non-ebraico” della Palestina. Se questo non è razzismo pre-fascista e pre-nazista, occorre rinunciare ad una seria considerazione del significato oggettivo del termine “razzismo”, ordinariamente utilizzato nei diversi contenti per fini meramente propagandistici e strumentali. Il razzismo, cioè, è sempre quello degli altri verso di noi e mai il nostro verso di loro. In effetti, la scienza e la filosofia molto avrebbero da guadagnare ignorando una terminologia cara ai media di oggi e di ieri.
Si può facilmente venire accusati di “complottismo” per il semplice fatto di rilevare un apparato organizzativo che è dichiarato dagli stessi estensori del Manifesto:
«Il a èté élu un Comité Directeur qui a pour mission, en collaboration avec des technicien, un plan systematique d’action constructive et d’en assurer ensuite la réalisation. A côté du Comité directeur, il a été constitué un Conseil Economique composé d’hommes d’affaires et de financiers éminents. Le Conseil Economique s’est chargé d’examiner toutes les entreprises qui seront envisagées, – dans la mesure, ou elles pourront être considerées comme des entreprises productive à proprement parler, – d’en assurer la réalisation lorqu’elles auront été approuvées par lui et afin d’assister de ses conseils le Comité Directeur dans l’administration générale du Fonds».Non è questo un brano tratto dai famigerati, falsi e non autentici, “Protocolli dei Savi di Sion”, ma è parte di un Manifesto che appare su una rivista ufficiale del sionismo ed è firmato da nomi assai noti, rimasti nella storia del sionismo ed oggi nel firmamento degli eroi e dei padri della patria israeliani. Li elenchiamo perché ad ognuno di essa dovrà essere dedicata almeno un lemma del nostro Dizionario del sionismo: Berthold Feiwel, Vladimir Jabotinsky, Isaac Naiditch, Hillel Zlatopolsky, Chaim Weizmann, Nahum Sokolow, Rotschild, Alfred Mond, Joseph Cowen, Redoliffe N. Salaman.
Il piano di colonizzazione è chiaramente definito e dichiarato: «Qui dit immigration et colonisation, dit acquisition et préparation du sol, construction de routes, de voies ferrées, de ports et de ponts, plantations d’arbres sur les collines, assèchement des marais, irrigation des champs et utilisation des chutes d’eau, construction de villes, développement de l’industrie, des métiers et du commerce, et en mème temps que tout ce travail énorme, toutes mesures utiles en vue du bien-être social, de la santé pubblique et surtout de l’enseignement et du progrés cultural». Un vero e proprio piano di colonizzazione che presuppone la “pulizia etnica” di ogni elemento indigeno o nella migliore delle ipotesi una sua riduzione in schiavitù per il tempo strettamente necessario al compimento del piano di colonizzazione.
A proposito di “tecnici” e di “lavoro tecnico” la mente mi riporta alcune pagine di Ilan Pappe, dove si attribuisce, già sotto il Mandato, proprio al Fondo quell’attività di rilevazione topografica che poi sarà utilizzata nel 1948 nel piano Dalet per la pulizia etnica della Palestina, a migliore precisazione di sarebbe stato il “bien-être” della popolazione “non-juif”, già programmato il 7 gennaio del 1921. Se come pretende un recente propagandista italiano, si dovesse per davvero poter parlare di un “debito morale dell’Europa”, chiaramente a spese di terzi, deve qui rilevarsi che la pretesa dei creditori precede tanto l’avvento del fascismo quanto quello del nazismo. Ma la cronologia è nella propaganda un dettaglio del tutto trascurabile. Tuttavia, essendo necessario il vittimismo per la buona riuscita dell’operazione, in attesa del fascimo e del nazismo, ne farà le veci lo zarismo, la cui storia in rapporto agli ebrei ed al “mito” dell’antisemitismo è bene percorrere partendo dai due volumi di Solgenitsin sulla storia della Russia prima e dopo del 1917. Uno studio a parte, che non rientra in questa ricerca sulla “questione sionista e il Vicino Oriente”, merita la condizione giuridica degli ebrei successiva all’abolizione di ogni discriminazione dei cittadini in base al principio del “diritto eguale” sorto dalla rivoluzione francese in opposizione al “privilegio” di ordine o di casta che era proprio dell’ancien regime. Per gli ebrei si poneva durante tutto il XIX secolo la loro pretesa di essere “altro” anche in “opposizione” a tutti i restanti i cittadini che avevo non solo il diritto ma anche l’obbligo al “diritto eguale”, dando così vita ad una nuova identità ed unità politica. Prima di parlare di “antisemitismo” sarebbe opportuno studiare meglio il contesto, tutto ottocentesco, il cui il fenomeno si andava delineando.
Egualmente rovesciata è la rappresentazione morale di ciò che già accadeva nell’anno 1921. Una massiccia e crescente immigrazione ebraica ha lo scopo manifesto e dichiarato di estromettere gli abitanti indigeni della Palestina, ma i coloni si dichiarano vittime perseguitati a causa delle comprensibili reazioni degli espropriati e dei genocidati. Già allora una esigua minoranza disponeva del controllo pressoché totale dei media ed era già allora scontato che una menzogna fortemente sostenuta dalla stampa e propagandata con tutti i mezzi disponibili poteva soppiantare la Verità e perfino produrre autopersuasione, almeno presso i beneficiari degli espropri e della colonizzazione. Altra tecnica già allora collaudata era quella di amplificare all’infinito ogni minimo atto di violenza subito e di negare, travisare, ridurre, minimizzare i ben più grandi atti di violenza commessi a danno di terzi innocenti. Ma di questa tecnica ci aveva già avvertito Gesù Cristo nella sua parabola della pagliuzza e della trave. Dopo duemila anni l’ipocrisia non è gran che cambiata, anche se si avvale di nuovi mezzi tecnici.
Naturalmente possiamo qui rinviare all’opera divulgativa di Shlomo Sand sulla mera invenzione del “popolo ebraico”, che noi qui utilizzando fonti e documentazione coeva collocheremo nel contesto nazionalistico e colonialistico della seconda metà del XIX secolo. Offrite gratis una casa, una terra, un’occupazione e vantaggi di ogni genere a spese di terzi e troverete facilmente anche un “popolo etrusco” disposto ad ogni avventura e ad ogni efferatezza:
«…La Palestine peut contenir deux millions d’habitant. Des milliers et des milliers de gens attendent devant ses portes. Donnez-nous les moyens de leur garantir un travail productif et ils se déverseront dans le pays».Probabilmente, questa non è un caso inedito nella lunghissima storia dell’umanità e delle guerre che l’hanno travagliata, ma oggi abbiamo una maggiore possibilità di documentare questa perversa natura dell’uomo e di poterci guardare meglio allo specchio.
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