dicembre 31, 2012

La questione sionista ed il Vicino Oriente. – Documentazione tratta dal quotidiano torinese “La Stampa”: Cronache dell’anno 1947.

Homepage Q. S.
Mentre valgono le considerazioni generali già fatte per le precedenti fonti documentarie, e cioè: Vedi Elenco Numerico, pare qui opportuno rilevare ogni volta la casualità e imparzialità con la quale le diverse fonti si aggiungono le une alle altre, animati da una pretesa di completezza, che sappiamo difficile da raggiungere. Il quotidiano “La Stampa”, fondato nel 1867, rende disponibile il suo archivio storico dal 1867 al 2006. Valgono i criteri generali enunciati in precedenza e adattati ogni volta alla specificità della nuova fonte. Assumendo come anno di partenza il 1921 seguiamo un metodo sincronico, raccordandolo con quello diacronico basato su alcuni anni di riferimento.

LA QUESTIONE SIONISTA
E IL VICINO ORIENTE
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tratta dall’archivio storico de “La Stampa


1947
1946  ↔ 1948
Anno inizio spoglio: 1921.
La Stampa: 1882 - 1883 - 1884 - 1885 - 1886 - 1887 - 1888- 1889 - 1890 - 1891 - 1892- 1893 - 1894 - 1895 - 1896 - 1897 - 1898 - 1899 - 1900 - 1901 - 1902 - 1903 - 1904 - 1905 - 1906 - 1907 - 1908 - 1909 - 1910 - 1911 - 1912 - 1913 - 1914 - 1915 - 1916 - 1917 - 1918 - 1919 - 1920 - 1921 - 1922 - 1923 - 1924 - 1925 - 1926 - 1927 - 1928 - 1929 - 1930 - 1931 - 1932 - 1933 - 1934 - 1935 - 1936 - 1937 - 1938 - 1939 - 1940 - 1941 - 1942 - 1943 - 1944 - 1945 - 1946 - 1947 - 1948 - 1949 - 1950 - 1951 - 1952 - 1953 - 1954 - 1955 - 1956 - 1957 - 1958 - 1959 - 1960 - 1961 - 1962 - 1963 - 1964 - 1965 - 1966 - 1967 - 1968 - 1969 - 1970 - 1971 - 1972 - 1973 - 1974 - 1975 - 1976 - 1977 - 1978 - 1979 - 1980 - 1981 - 1982 - 1983 - 1984 - 1985 - 1986 - 1987 - 1988 - 1989 - 1990 - 1991 - 1992 - 1993 - 1994 - 1995 - 1996 - 1997 - 1998 - 1999 - 2000 - 2001 - 2002 - 2003 - 2004 - 2005 - 2006.

Sommario: 1. Palestina terra di fuoco. – 2. Esplosioni a Gerusalemme, sparatorie a Tel Aviv. – 3. Nuovi episodi di violenza in Palestina. –  4. La sfida degli ebrei alla Gran Bretagna. – 5. Fra i 1600 ebrei del campo di Grugliasco Carabinieri e agenti scoprono manifestini dell’«Irgun Zwai». – 6. Una bomba a Londra al Ministero delle colonie. – 7. Le salme dei sergenti rapiti collegate ad na mina. – 8. Duecentomila arabi marciano sulla Palestina? –  9. Il Gran Muftì organizza un Governo in esilio. – 10. L’America teme i russi in Palestina. – 11. Situazione meno tesa in Palestina. – 12. Palestina in fiamme. –

Indice Analitico: a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z. –  Eventi del 1947. – Altre fonti giornalistiche, periodiche o archivistiche del 1947.





Cap. 1

Top c. 1 3.1.1947 ↓ c.  3  → plus

Palestina terra di fuoco
La Nuova Stampa,
Quotidiano indipendente
Anno III, Nr. 3, p.1
Venerdì, 3 gennaio 1947

Titoli: Palestina terra di fuoco. Inghilterra e Stati Uniti non possono permettere nella zona una duplice ribellione sionista e araba. (Dal nostro corrispondente).
Londra, 2 gennaio. – Domani pomeriggio arriverà a Londra in aereo il generale Sir Alan Cunningham, alto commissario britannico in Palestina. In vista della gravissima situazione in Palestina, questa visita ha tale importanza che per ragioni di sicurezza il Ministero delle Colonie rifiuta persino di rivelar l’ora e l’aerodromo a cui il generale Cunningham arriverà.

Per quanto, ufficialmente, il generale Cunningham venga in relazione alla conferenza palestinese, che dovrebbe aprirsi il 21 gennaio, tutta la stampa inglese si rende conto che la visita è resa imperativa dalla minaccia degli arabi di aggiungere la loro campagna terroristica a quella già ben grave dei sionisti. Le due organizzazioni paramilitari arabe, Nejada e Fettuwa, hanno dato la squilla ai loro seguaci. Giamel Husseini, vicepresidente dell’alto comitato arabo, ha lanciato un manifesto a tutta la popolazione araba della Palestina che «ogni arabo deve essere un soldato di prima linea». Simultaneamente, Mohamed Hawari, capo dell’organizzazione paramilitare araba, ha fatto seguito a questo manifesto con l’annuncio che «non è lontana l’ora in cui il Gran Muftì darà il segnale di cominciare le operazioni». E la «Irgun», la organizzazione terroristica degli ebrei, ha comunicato ieri sera alle autorità britanniche che la tregua di un mese è finita, e con migliaia di manifestini distribuiti a Tel Aviv ha annunciato che avrebbe ripreso gli attacchi.

Il congresso sionista di Basilea si era chiuso con un ordine del giorno di non partecipare alla conferenza palestinese di Londra: è tuttavia degno di nota che la mozione era stata approvata soltanto con una piccola maggioranza degli estremisti, i quali contano sull’appoggio americano per la loro pretesa a tutta la Palestina.

Per contro, la sezione moderata vorrebbe arrivare ad un accordo con la Gran Bretagna, non fosse altro perché diffida dell’ipotetico appoggio politico dell’America e preferirebbe aderire alla tesi britannica di una equa spartizione della Palestina, che crei uno stato ebraico «di eque proporzioni».

Il problema palestiniano assume oggi un’importanza ed un interesse vivissimi, in vista dell’accordo anglo-americano per il petrolio persiano, annunciato alla fine della scorsa settimana, accordo che contempla la costruzione di un nuovo ed importantissimo condotto di petrolio.

È ovvio che davanti ad un così alto interesse strategico né la Gran Bretagna né gli Stati Uniti possono lasciare che la Palestina diventi il campo di una duplice ribellione, sionista ed araba; e la radio clandestina dell’«Irgun» già attacca l’accordo anglo-americano, dicendo che le promesse del governo americano di aiuti al sionismo sono soltanto delle chiacchiere.
f.


Cap. 2

Top c. 1 3.1.1947 ↓ c.  3  → plus

Esplosioni a Gerusalemme, sparatore a Tel Aviv

La Nuova Stampa,
Quotidiano indipendente
Anno III, Nr. 3, p.1
Venerdì, 3 gennaio 1947

Gerusalemme, 2 gennaio. –  Una violenza esplosione si è prodotta questa sera nella Città Santa. Tutte le truppe britanniche addette alla sorveglianza di edifici militari e civili sono in stato di allerta.

Terroristi ebrei hanno attaccato pure questa sera il Comando della Polizia ed il Quartier Generale militare di Tel Aviv. Fra le strade della città sono in corso combattimenti fra le truppe britanniche e terroristi ebrei. Sono in corso per le strade violente sparatorie. I civili fuggono terrorizzati alla ricerca di ripari.

f.


Cap. 3

Top c. 1 4.1.1947 ↓ c.  3  → plus

Nuovi episodi di violenza in Palestina

La Nuova Stampa,
Quotidiano indipendente
Anno III, Nr. 4, p.1
Sabato, 4 gennaio 1947

(Dal nostro corrispondente)
Londra, 3 gennaio. – La situazione in Palestina continua a preoccupare non solo il governo britannico, ma anche gli ebrei del sionismo moderato, i quali temono che le complicazioni causate dai terroristi ebrei e dagli arabi finiscano per pregiudicare la loro speranza di arrivare ad uno Stato ebraico indipendente. L’arrivo del generale Cunningham, alto commissario britannico a Gerusalemme, è stato ravvolto, da parte della polizia politica, in tanto mistero che nessuno può dire con certezza se e a quale aerodromo il commissario sia giunto. Si crede che egli, in un colloquio col ministro delle Colonie, presenti Bevin e Montgomery, abbia chiesto al governo di adottare una più ferma politica e che abbia riferito che le truppe britanniche possono essere tenute a freno con difficoltà.

In Palestina il terrorismo ebraico ha assunto oggi nuove violenze con l’uso di lanciafiamme; e cinque soldati inglesi sono stati feriti gravemente da una mina fuori di Tel Aviv. A Londra si diceva stasera che gli attacchi dell’Irgun mostrano ormai che l’esercito terroristico è deciso ad usare tutta la sua forza.

Frattanto il governo ha deciso di rifiutare l’ingresso in Inghilterra al prof. Smertenko vice-presidente della lega americana per una libera Palestina. Quanto alla conferenza palestinese che dovrebbe aprirsi il 21 gennaio, il governo britannico ha ora consultato gli Stati arabi per via diplomatica sull’opportunità di rimandare la conferenza.

f.




Cap. 4

Top c. 1 12.1.1947 ↓ c.  3  → plus

La sfida degli ebrei alla Gran Bretagna

La Nuova Stampa,
Quotidiano indipendente
Anno III, Nr. 9, p.1
domenica, 12 gennaio 1947

Titoli: La sfida degli ebrei alla Gran Bretagna. L’Irgun inizierà l’attacco agli obiettivi militari in tutto l’Impero.

(Dal nostro corrispondente) Londra, 11 gennaio. – La battaglia fra il sionista prof. Smertenko e il governo britannico sta assumendo un andamento donchisciottesco. Stasera si apprendeva a Londra che, dietro pressione dell’ambasciata britannica a Parigi, le linee aeree francesi avevano rifiutato al prof. Smertenko il trasporto da Le Bourget ad un aerodromo londinese. Per parte sua lo Smertenko annunciava che verrà in Inghilterra mercoledì, in barba al governo britannico. Egli ha ora due alternative per eludere il bando inglese, e cioè: o venire a Londra con un tassì aereo, oppure avvalersi della sua cittadinanza americana per viaggiare su un apparecchio delle linee che vanno a Shannon, nell’Irlanda e di là noleggiare un aeroplano privato.

Simultaneamente lo Smertenko ha lanciato alla Gran Bretagna una sfida fantastica, proclamando in un’intervista sull’edizione continentale del New York Herald che l’Irgun attaccherà d’ora innanzi i principali obiettivi militari dell’Inghilterra in tutti gli angoli dell’impero, fino a quando la Terra Santa non a diventata uno Stato ebraico. « Attaccheremo — egli ha detto — tutti i porti ove si trovano navi da guerra britanniche, cominciando con Gibilterra e Malta, perché le navi della flotta britannica vengono usate per impedire il ritorno degli ebrei in Palestina». Lo Smertenko ha poi detto delle cose interessanti sull’attentato dinamitardo contro l’ambasciata britannica di Roma: «Le bombe che hanno fatto saltare in aria l’ambasciata inglese di Roma erano un’operazione strettamente militare dell’Irgun. La ambasciata era il centro degli intrighi britannici in Italia per impedire agli ebrei di recarsi in Palestina e il vespaio doveva essere distrutto».

I dispacci da Gerusalemme dicono che oggi il comandante in capo delle truppe britanniche in Palestina, generale Barker, si è recato al Cairo per discutere la situazione palestinese con il comandante delle forze di terra del Medio Oriente, generale Dempsey. A Tel Aviv gli inglesi hanno arrestato Ester Raziel, sorella del fu Davide Raziel, fondatore e primo comandante in capo dell’Irgun. La polizia, che aveva ricercato la Raziel parecchio tempo, la considera un personaggio importantissimo della organizzazione terroristica e la sospetta di essere dietro la radio clandestina dell’Irgun. La Raziel è stata condotta al campo di Latrun, sotto scorta di quattro carri armati.

Frattanto i sette Stati arabi hanno deciso di partecipare di nuovo alla conferenza palestinese di Londra, che riprenderà il lavoro il 21 gennaio.



Cap. 5

Top c. 1 15.1.1947 ↓ c.  3  ⤇ plus

Fra i 1600 ebrei di Grugliasco
Carabinieri e agenti scoprono manifestini dell’«Irgun Zwai»

La Nuova Stampa,
Quotidiano indipendente
Anno III, Nr. 11, p. 2
mercoledì, 15 gennaio 1947

 Titoli: Cronaca cittadina - Fra i 1600 ebrei del campo di Grugliasco - Carabinieri e agenti scoprono manifestini dell’«Irgun Zwai».

Venerdì, 10 gennaio, poco prima delle 18, un cartoccio esplosivo scoppiava in via Milano, quasi all’angolo di via Garibaldi: il cartoccio diffondeva attorno una serie di manifestini dell’«Irgun Zwai Leumi», organizzazione ebraica che lotta per la libertà della Palestina contro gli inglesi.

 Il fatto — che suscitava vivo panico nel passanti — induceva il comando alleato ad autorizzare le nostre forze di polizia ad una perquisizione in grande stile del campo di concentramento di Grugliasco, dove, com’è noto, sono raccolti circa 1600 uomini e donne ebrei: il 60 per cento di costoro è composto da palestinesi, il resto da individui di tutte le nazionalità. Di questi ebrei, che occupano i locali già destinati ad ospedale psichiatrico per le donne, abbiamo parlato nell’aprile scorso, quando per dissidi fra gli Internati e il loro rabbino era intervenuta la Polizia.

L’operazione di ieri è stata condotta da un centinaio di carabinieri agli ordini del capitano Lepore e del tenente Losco, comandante la stazione di Venaria e da un forte nucleo di agenti della squadra politica della questura, guidati dal commissario dott. Mazzacano. Era presente un capitano britannico della «Field Security». Alle 5 e 30, quando ancora il grande campo era immerso nell’oscurità e nel sonno, la polizia ha provveduto a circondare il recinto; indi si è proceduto alla visita delle varie baracche. Nessun incidente si è verificato e la perquisizione non ha fruttato che pochi manifestini dell’«Irgun Zwal Leumi», redatti in lingua ebraica e, presumibilmente, di contenuto anti-inglese.

Comunque non sono stati operati né fermi né arresti.



Cap. 6

Top c. 1 17.4.1947 ↓ c.  3  ⤇ plus

Una bomba a Londra al Ministero delle colonie

La Nuova Stampa,
Quotidiano indipendente
Anno III, Nr. 90, p. 1
giovedì, 17 aprile 1947

 (Nostro servizio particolare)

Londra, 16 aprile. – Il terrorista ebreo Dov Gruner – che era stato condannato nel gennaio scorso – è stato impiccato stamani all’alba a Gerusalemme. Altri tre terroristi lo hanno seguito nella sorte, perché come lui, ritenuti colpevoli dell’attacco contro la stazione di polizia di Tel Aviv.  Gruner è di origine ungherese e contava trentatre anni di età. Allo scopo d’impedire tumulti le autorità britanniche hanno ordinato il coprifuoco in buona parte della Palestina. La prima impressione dopo le esecuzioni è che un’era di violenze senza precedenti è ormai aperta in Palestina.

Stamane, una donna di fatica, mentre stava facendo pulizia nell’ufficio del Ministero delle Colonie a White Hall, a circa 200 metri di distanza da Downing Street n. 10, dove abita Attlee, ha scoperto una bomba. Scotland Yard, mobilitata immediatamente, ha messo quest’attentato in rapporto con l’esecuzione avvenuta in Palestina di quattro dinamitardi membri dell‘associazione terroristica ebraica «Irgun Zwai Leumi».

La bomba, composta di 27 bastoncini di gelignite, ciascuno dei quali basta a far saltare nelle miniere 400 tonnellate di carbone, avrebbe dovuto scoppiare la notte scorsa, azionata da un orologio d’argento che era collegato all’esplosivo. Ma evidentemente non ha funzionato a causa della cattiva qualità della miccia che pare fosse stata accesa. Grandi misure di precauzione vengono prese stasera dalla polizia, che sta interrogando tutti i sospetti di avere simpatie per il movimento terroristico ebraico.

v.




Cap. 7

Top c. 1 1.8.1947 ↓ c.  3  ⤇ plus

Le salme dei sergenti rapiti collegate ad una mina

La Nuova Stampa,
Quotidiano indipendente
Anno III, Nr. 180, p. 1
venerdì, 1 agosto 1947

Gerusalemme, 31 luglio. – I cadaveri dei due sergenti britannici, rapiti ed impiccati dai terroristi ebrei dell’«Irgun Zvei Leumi», sono stati trovati a quattro miglia a sud di Nathania. I due sergenti erano stati impiccati a due eucaliptus gemelli, e mentre i soldati britannici stavano distaccando i corpi dagli alberi, una mina è scoppiata dietro le salme, dilaniandole e gettando a terra tutti i presenti. Un granatiere della guardia intento alla pietosa bisogna è stato ferito al volto dalla schegge, mentre gli alberi sono stati divelti dalla forza dell’esplosione. Pezzi di carne ed ossa sono stati lanciati intorno ad un raggio di circa cinquanta metri.

L’Alto Commissario per la Palestina, generale sir Alan Cunningham, ha oggi chiamato a colloquio Golda Myerson, capo dell’Agenzia Ebraica, per comunicargli che egli vuole «una totale e soddisfacente riparazione dagli ebrei nel senso più pieno della parola».

L’Agenzia Ebraica e il Vaad Leumi hanno pubblicato un comunicato nel quale esprimono la loro esecrazione per «l’infame assassinio di due innocenti da parte di criminali sordi alla voce della coscienza, i quali si arrogano il diritto di decidere sulla vita e sulla morte di esseri umani» ed esortano gli ebrei a continuare la lotta contro lo spirito del male che si è infiltrato fra di loro.

Questa sera a Tel Aviv un gruppo di soldati britannici ha aperto il fuoco contro un autobus che transitava nella città uccidendo 4 ebrei e ferendone otto. Da fonte ebraica si apprende che nella stessa città si è avuto un breve scontro tra civili ebrei e soldati britannici. Un ebreo è rimasto ucciso e sette sono stati feriti.

Inoltre il quartier generale della polizia di Tel Aviv comunica che una trentina di soldati inglesi hanno percorso le vie della città fracassando le vetrine di una ventina di negozi. Con ogni probabilità il comportamento dei soldati inglesi non è da imputare che all’indignazione da essi provata per l’impiccagione da parte dei terroristi ebrei dei due sottufficiali britannici.


Cap. 8

Top c. 1 11.10.1947 ↓ c.  3  ⤇ plus

Duecentomila arabi marciano sulla Palestina?

La Nuova Stampa
Anno III, Num. 238, p. 3
sabato, 11 ottobre 1947

Parigi, 10 ottobre. – Da ieri sera, duecentomila uomini appartenenti alle forze armate di cinque paesi arabi sono in movimento per tradurre in pratica le risoluzioni  della Lega araba al fine di difendere la Palestina dal sionismo. Un portavoce del governo libanese ha ammesso stamani che gli eserciti della Siria e del Libano hanno iniziato i loro movimenti alla mezzanotte di ieri e stanno «manovrando» nei pressi del confine della Palestina.

Le truppe della Legione araba di re Abdullah della Transgiordania, le più numerose e meglio equipaggiate del Medio Oriente stanno attestandosi lungo le rive del Giordano. Sei grandi accampamenti sono stati eretti in tutta fretta. Formazioni celeri motorizzate sono in stato d’allarme. Fra la popolazione si parla apertamente di un’invasione della Palestina.

Nel Gebel druso, i veterani delle rivolte della Siria e della Palestina hanno iniziato il reclutamento di volontari per «salvare la Palestina». Gli arruolamenti ottengono un grande successo, particolarmente fra i giovani. Da fonte degna di fede si apprende che forze egiziane si preparano a penetrare nel deserto del Sinai mentre, su invito del governo egiziano, truppe cammellate dell’Arabia saudita, sono arrivate in territorio egiziano per prendere parte all’assedio della Terra Santa. Aeroplani dell’Arabia saudita, secondo quanto si apprende da fonti private, sono atterrati su aerodromi egiziani.

Negli ambienti di Londra si manifesta un certo scetticismo sull’attendibilità delle notizie di una imminente invasione della Palestina. D’altra parte sembra certo che gli arabi non ricorreranno alla forza finché le truppe inglesi rimarranno nel paese.

Cap. 9

Top c. 1 11-12.10.1947 ↓ c.  3  ⤇ plus

Il Gran Muftì organizza un Governo in esilio

Stampa Sera, ult. ed.
Anno I, Num. 150, p. 1
sa-do, 11-12 ottobre 1947

Titoli: Assedio alla Palestina. Il Gran Muftì organizza un Governo in esilio.

Beirut, sabato sera. – Il Muftì di Gerusalemme, Haj Arun El Husseini, ha dato inizio nel Libano alla formazione di un «Governo arabo della Palestina in esilio». Il Muftì assumerà lui stesso la carica di presidente e avrà sotto di sé il Primo Ministro ed otto altri ministri, i quali governeranno quella parte della Palestina che riusciranno ad occupare se la Gran Bretagna si ritirerà dalla Terra Santa.

Il cerchio di armati che circonda la Palestina si fa ascendere ad una forza di 200-250 mila uomini. Parecchi di essi sono dotati di armi moderne ed istruiti da ufficiali europei, tutti sono decisi a combattere – qualora a tanto si dovesse arrivare – con assoluto spirito di sacrificio. La tradizionale rivalità fra arabi ed ebrei ha trovato la scintilla che l’ha riaccesa e la tensione tra le due parti è grave. Si afferma a Beirut che se i sionisti tentassero di impadronirsi del potere in Palestina, una volta partiti gli inglesi, gli stati arabi che la circondano non esiterebbero a far varcare il confine alle loro forze attualmente sul piede di guerra.



Cap. 10

Top c. 1 5.12.1947 ↓ c.  3  ⤇ plus

L’America teme i russi in Palestina

La Nuova Stampa
Anno III, Num. 285, p. 1
venerdì, 5 dicembre 1947
Titoli: Nuovi nubi all’orizzonte. L’America teme i russi in Palestina.
(Dal nostro corrispondente)
 Londra, 4 dicembre.

Gli avvenimenti in Palestina hanno completamente eclissato la conferenza dei Quattro: anzi, negli ambienti politici sta ingigantendosi il timore che la Palestina stia per diventare il campo agonistico dove divamperà quel conflitto d’interessi fra la Russia e l’America, di cui la conferenza del Quattro ci ha mostrato finora soltanto le schermaglie retoriche. Il Gabinetto britannico ha oggi discusso le modalità per il ritiro delle truppe e dei funzionari inglesi dalla Palestina (200.000 persone in tutto, di cui 80.000 effettivi di truppa) e sembra che il ritiro comincerà il prossimo maggio e sarà completato il 1° agosto.

Coll’abbandono del mandato da parte della Gran Bretagna il maggio venturo, le Nazioni Unite dovranno assumersi la amministrazione della Palestina: capo del segretariato di spartizione nel periodo interinale sarà il dottor Ralph Bunche, un negro-americano il quale è il più alto funzionario negro-americano nella sezione statunitense delle Nazioni Unite. Anche il segretario generale dell’U.N.O, Trygye Lie, farà una rapida visita in Palestina e potrebbe poi sovrintendere personalmente 1’operazione di trapasso.

L’aspetto internazionalmente più interessante del problema palestinese è oggi che il governo ed il Congresso degli Stati Uniti, dopo aver votato per la spartizione della Palestina, sono ora allarmatissimi per le possibili gravissime conseguenze. Essi temono cioè che Mosca possa d’improvviso decidere di mandare truppe sovietiche in Palestina come parte di una polizia internazionale per imporre l’applioazione della decisione dell’U.N.O.: e sé la Russia facesse questo, gli Stati Uniti potrebbero trovarsi nell’impossibilità di prevenire la mossa sovietica. Non per nulla, il New York Times scrive oggi, in una corrispondenza da Washington, che sta avvicinandosi il momento per l’America di assumere una parte predominante nella responsabilità di applicare la spartizione della Palestina, dopo che le truppe britanniche siano partite.

A leggere i dispacci da Washington si ha l’impressione che la tensione negli ambienti governativi e militari americani deve essere gravissima.: secondo un’informazione, un alto ufficiale americano, del quale non si rivela il nome, ha ieri predetto ad una commissione del Congresso che la Russia occuperà la Palestina entro pochissimi mesi, usando le agitazioni fra arabi ed ebrei come un pretesto: quando questo sarà avvenuto, la Russia si sarà stabilita sul Mediterraneo e non vi sarà più nessuno al mondo che possa farla sloggiare.

Nell’entourage del presidente Truman non si sa ancora se diffidare più degli ebrei o degli arabi come micce che potrebbero far saltare la polveriera con un colpo di mano sovietico; e qualche senatore ha proposto dì formare subito una legione di volontari americani da mandare in Palestina «se le Nazioni Unite decideranno che la spartizione non può avvenire senza truppe». Altri prevedono che le zone della Palestina assegnate allo Stato arabo finiranno per cascare sotto il dominio del re Abdullah.
f.

Cap. 11

Top c. 1 6-7.12.1947 ↓ c.  3  ⤇ plus

Situazione meno tesa in Palestina

La Nuova Stampa Sera
Anno I, Num. 198, p. 1
sabato-domenica, 6-7 dicembre 1947
Titoli: Situazione meno tesa in Palestina. La settimana di disordini ha avuto sessanta morti.

Gerusalemme, sabato sera.

Dopo una settimana di disordini in Palestina che sono costati la vita a circa 60 persone, la situazione è apparsa meno tesa nella mattinata d’oggi. A Gerusalemme e a Caifa, tanto nei quartieri ebrei quanto in quelli arabi, la vita ha ripreso normale. Nel settore fra Giaffa e Tel Aviv, dov’è ancora in vigore il coprifuoco, la calma non era stata turbata fino alle 10 di stamane.



Cap. 12

Top c. 1 25.12.1947 ↓ c.  3  ⤇ plus

Palestina in fiamme

La Nuova Stampa
Anno III, Num. 302, p. 1
giovedì, 25 dicembre 1947


Le Nazioni Unite si trovano ad affrontare, per la Palestina, la prova del fuoco. Se c’è un caso in cui la loro funzione sia legittima e indispensabile, e al tempo stesso relativamente facile ad adempiere, è proprio questo. Se l’UNO (così io seguito a scrivere, secondo la sigla originaria inglese che dovrebbe essere adottata da tutti: un po’ d’internazionalismo almeno sulle sigle!), se l’UNO fallisce in questa prova, non so davvero in quale altra potrà riuscire.

Per la Palestina, U.S.A. e U.R.S.S., si sono trovati una volta tanto d’accordo: caso che sembra miracoloso. È tolto dunque, per la questione palestinese, l’ostacolo maggiore che ha impedito finora l’attività dell’UNO, in quella che dovrebbe essere la sua sfera d’azione per eccellenza: la composizione di contrasti internazionali. E poiché la Gran Bretagna abbandona la Palestina — anche qui si è verificato un accordo insolito: quello fra il governo laburista e Churchill — ne deriva per la questione palestinese una specie di neutralizzazione: essa viene a trovarsi fuori del campo di competizione fra i Grossi. Questi hanno una occasione unica per cooperare, senza sospetti e senza secondi fini, alla pace e alla tranquillità di una zona importantissima del mondo, e in un conflitto di popoli che è uno dei più aspri finora verificatisi.

Il conflitto fra arabi ed ebrei è uno di quelli che mostrano più chiaramente come il principio di nazionalità, da solo, non possa bastare — secondoché l’Ottocento si era illuso — per una sistemazione pacifica mondiale: come, anzi, da solo esso costituisca un pericolo per la pace mondiale. L’«autodeterminazione dei popoli» non è l’ultima Thule della vita internazionale; al di là di essa, vi sono la giustizia e la pace, valori universali che non possono essere sacrificati a interessi particolari, anche i più legittimi e sacri.

Gli Arabi hanno un innegabile diritto sulla Palestina, loro terra. Ma anche gli Ebrei, immigrati in quella che era pure stata, per millenni, la terra loro, vi hanno acquistato diritti non meno sacri: quello della necessità, per un popolo atrocemente perseguitato, di una terra di rifugio; quello del loro stabilimento compiuto in base ad atti internazionali riconosciuti da tutti; quello, infine e soprattutto, del meraviglioso lavoro di civiltà da essi compiuto nella terra già d’Israele. C’è uno stato di fatto, che è anche uno stato di diritto. Solo un pazzo potrebbe oggi pensare a cacciar gli Ebrei dalla Palestina, o a chiuder loro colà le porte in faccia. Gli Ebrei stabilitisi in Palestina hanno diritto di rimanervi; e, nei limiti di capacità del territorio ad essi riconosciuto, non si vede come si potrebbe legittimamente proibire l'afflusso ulteriore di loro connazionali. Altrettanto assurdo sarebbe negare a questa loro comunità — che è, per riconoscimento internazionale, un popolo, e di fatto uno Stato — il diritto di autogoverno. Di qui la necessità di una spartizione della Palestina: e vedendo quanto tempo abbiano messo, la Gran Bretagna e le altre potenze, per arrivare a questa conclusione, che s’imponeva almeno da dieci anni a ogni cervello sano, non si può che ripetere melanconicamente il «quam parva sapienza regitur mundus».

Spartizione, dunque; e neppure Stato unico federale, per ora: giacché gli animi delle due parti non sono maturi per ciò. Solo dopo una convivenza pacifica in stati contigui, ma divisi, potrà farsi luogo al passo ulteriore. La spartizione, però, non può esser messa in piedi e funzionare senza un intervento dal di fuori, senza — diciamo le cose come sono — una autorità superiore che la imponga e la regoli. Anche se miracolosamente fosse stato raggiunto, o fosse in vista, un accordo diretto arabo-ebraico, sempre l’applicazione di questo accordo dovrebbe essere controllata internazionalmente. È proprio il caso di dire che fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio. E ciò anche se non ci fosse il terzo territorio palestinese — Gerusalemme —, per necessità internazionale.

Nelle condizioni presenti, poi, con lo scatenamento del nazionalismo dei capi arabi da una parte, del terrorismo estremista sionistico dall’altra, l’intervento internazionale s’impone immediatamente. Intervento che non può essere se non dell'UNO, e appoggiato a una forza d’ordine dipendente dall’UNO. È proprio l’esperimento classico per un’autorità supernazionale; e (ripetiamolo) nelle condizioni migliori, o meno cattive, oggi immaginabili. L’UNO deve affrontarlo integralmente, pena l’abdicazione.
 Luigi Salvatorelli

dicembre 29, 2012

La questione sionista ed il Vicino Oriente – Documentazione tratta da “L’Osservatore Romano”: Cronache dell’anno 1949.

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Mentre valgono le considerazioni generali già fatte per le precedenti fonti documentarie, di cui in Elenco Numerico, pare qui opportuno rilevare ogni volta la casualità e imparzialità con la quale le diverse fonti si aggiungono le une alle altre, animati da una pretesa di completezza, che sappiamo difficile da raggiungere. Fin dal sorgere della questione sionista l’«Osservatore Romano» segue con la sensibilità che le è propria i fatti nel loro divenire giorno dopo giorno, aiutandoci a capire oggi i veri nodi di una problematica, sempre più nascosta dietro l’ideologia e la propaganda. Se l’interesse religioso per i Luoghi Santi è quello prevalente nelle considerazioni della Santa Sede ed ispira la sua diplomazia e la sua geopolitica, non per questo manca la percezione di una grande ingiustizia consumata sulla popolazione indigena.

LA QUESTIONE SIONISTA
E IL VICINO ORIENTE
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tratta da  “L’Osservatore Romano”


1949
1948  ↔  1950
Anno inizio spoglio: 1921.

L’Osservatore Romano: 1882 - 1883 - 1884 - 1885 - 1886 - 1887 - 1888 - 1889 - 1890 - 1891 - 1892 - 1893 - 1894 - 1895 - 18996 - 1897 - 1898 - 1899 - 1900 - 1901 - 1902 - 1903 - 1904 - 1905 - 1906 - 1907 - 1908 - 1909 - 1910  - 1911 - 1912 - 1913 - 1914 - 1915 - 1916 - 1917 - 1918 - 1919 - 1920 - 1921 - 1922 - 1923 - 1924 - 1925 - 1926 - 1927 - 1928 - 1929 - 1930 - 1931 - 1932 - 1933 - 1934 - 1935 - 1936 - 1937 - 1938 - 1939 - 1940 - 1941 - 1942 - 1943 - 1944 - 1945 - 1946 - 1947 - 1948 - 1949 - 1950 - 1951 - 1952 - 1953 - 1954 - 1955 - 1956 - 1957 - 1958 - 1959 - 1960 - 1961 - 1962 - 1963 - 1964 - 1965 - 1966 - 1967 - 1968 - 1969 - 1970 - 1971 - 1972 - 1973 - 1974 - 1975 -

Sommario: Anno 1948 di “L’Osservatore Romano” → 1.  – Apprensioni per gli sviluppi della situazione palestinese. – 2. Egitto e Israele acconsentono a cessare le ostilità. – 3. Nuovi aspetti della questione palestinese. – 4. La situazione nel Medio Oriente. –

Indice Analitico: a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z. –  Eventi del 1949. – Altre fonti giornalistiche, periodiche o archivistiche del 1949. –



Cap. 1

  Top  5.1.1949 ↓  c. 2 →  plus

Apprensioni per gli sviluppi della situazione palestinese

L’Osservatore Romano,
5 gennaio 1949, p. 2

PARIGI, 4. – Un’intensa attività diplomatica è in corso a Parigi in rapporto alla situazione palestinese. L’Ambasciatore degli Stati Uniti Jefferson Caffery ha avuto ieri mattina un lungo colloquio con il ministro degli Affari Esteri francese Robert Schuman e con diverse personalità ufficiali britanniche attualmente nella capitale francese. Ma non si è potuto avere conferma diretta, nei circoli diplomatici, della notizia di stampa secondo la quale l’Inghilterra ha minacciato di intervenire apertamente a fianco degli arabi in Terrasanta.

Si ha da Washington che anche alla Casa Bianca si mantiene il massimo silenzio nei confronti delle notizie da Londra circa l’atteggiamento che potrà prendere l’Inghilterra in conseguenza dell’attività di truppe ebraiche ai confini dell’Egitto e delle violazioni della tregua delle ostilità in Palestina.

L’Ambasciatore britannico Sir Oliver Franks – informa l’«INS» – ha disdetto un appuntamento che aveva con il Presidente Truman, per illustrargli, verosimilmente, il punto di vista britannico sugli ultimi sviluppi della situazione palestinese.

Ed il segretario presidenziale per la stampa Charles G. Ross ha dichiarato di non sapere per quale ragione l’udienza è stata disdetta. Negli ambienti diplomatici si ritiene che l’Ambasciatore Franks abbia ricevuto istruzioni da Londra di rinviare il colloquio con il Presidente fino a quando Londra non sia pronta ad annunciare una nuova linea di condotta.

Intanto negli ambienti ufficiali di Washington si teme sempre più che la situazione nel Medio Oriente possa peggiorare. Si ha da Tel Aviv che i giornali locali riferiscono che nel corso della sua seduta della notte, il Governo di Israele avrebbe esaminato la possibilità di un intervento armato dei britannici contro Israele. Il foglio progressista «Haaretz» afferma che unità di «commandos» e reparti corazzati britannici hanno ricevuto l’ordine di tenersi pronti nella zona del Canale di Suez, nell’eventualità di dover attraversare la frontiera di Israele per penetrare nel Negev, mentre aerei della RAF continuano i loro voli di ricognizione sulle truppe ebraiche schierate sul fronte meridionale. Il giornale aggiunge che dipende da Washington se i britannici decideranno di occupare la penisola del Sinai ed altre posizioni strategiche lungo la frontiera egiziana.

Un portavoce del Ministero degli Esteri di Israele, ricordando come il Governo ebraico avesse accettato, tempo addietro, delle proposte del mediatore Bunche in base alle quali, iniziandosi i negoziati per un armistizio con l’Egitto, le forze ebraiche avrebbero permesso l’evacuazione delle forze egiziane bloccate a Falluja, ha dichiarato che la decisa volontà del Governo egiziano di rifiutarsi a qualsiasi trattativa di armistizio e le sue rinnovate attività militari nel Negev non lasciano dubbio circa l’intenzione del Governo egiziano di proseguire indefinitamente la guerra.

«In queste circostanze – ha proseguito il portavoce – non solo sarebbe inconcepibile permettere l’evacuazione delle forze egiziane bloccate a Falluja, ma il Governo ebraico si vede costretto a riprendere la sua libertà d’azione ed a por fine ad una intollerabile situazione, a tutela della sicurezza di Israele».

Il Governo egiziano ha annunciato ieri di avere accettato la mozione del Consiglio di Sicurezza del 29 dicembre per la cessazione del fuoco del Negev «allo scopo di dimostrare il suo rispetto per una decisione presa dalle Nazioni Unite ed il suo desiderio di favorire un ritorno della pace in Palestina».

Da Londra la «France Presse» informa che al Foreign Office si mantiene il più assoluto riserbo a proposito del rapporto trasmesso dall’Ambasciatore britannico a Washington Sir Oliver Francks al Ministro Bevin sul suo colloquio di venerdì scorso con il Sottosegretario di Stato americano Robert Lovett. Viene però messo in risalto il fatto che, contrariamente a certe informazioni, Francks non ha consegnato alcuna nota al Sottosegretario di Stato, limitandosi a procedere con quest’ultimo ad uno scambio di vedute sul problema palestinese.

A tale proposito, come già sabato scorso, negli ambienti del Foreign Office ci si limita a dichiarare che «la situazione è estremamente confusa lungo la frontiera tra la Palestina e l’Egitto». Da Londra l’«INS» informa che nel tardo pomeriggio di ieri si è intensificata l’attività diplomatica e di gabinetto a Whitehall mentre si diffondeva contemporaneamente la voce che l’Inghilterra si accinge a chiedere la solidarietà degli Stati Uniti nell’invocare l’applicazione di sanzioni delle Nazioni Unite contro lo Stato di Israele.

Al Foreign Office intanto si mantiene il massimo riserbo sulla notizia da Tel Aviv secondo la quale un portavoce ebraico ha dichiarato che l’Inghilterra «deve ora essere considerata un’alleata aperta degli arabi»: ci si limita a dichiarare di non aver conferma autentica della notizia e nemmeno dell’altra secondo la quale l’Ambasciata britannica a Washington è stata informata che le truppe ebraiche stanno ritirandosi dalla zona del Negev, nella Palestina meridionale.

Dal Cairo, invece, è giunta un’altra versione di questo ritiro; il Ministro della guerra egiziano ha annunciato che le forze egiziane non soltanto hanno bloccato l’avanzata ebraica ma costretto le truppe d’Israele ad indietreggiare e che l’aviazione egiziana sta mitragliando le forze avversarie in ritirata, infliggendo loro gravi perdite.

Il Primo Ministro egiziano Ibrahim Abdul Hadi Pascià, succeduto nei giorni scorsi all’assassinato Nokrashi Pascià, ha dichiarato ieri che la liberazione araba della Palestina «è una missione nazionale ed umanitaria». Nel suo primo grande discorso come Capo del Governo egiziano, egli ha sottolineato che l’Egitto mantiene immutata la politica dei precedenti gabinetti per quanto riguarda la Palestina.


Cap. 2

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Egitto e Israele acconsentono a cessare le ostilità

L’Osservatore Romano,
7-8 gennaio 1949, p. 1

  LAKE SUCCESS, 7. – Un funzionario dell’ONU ha annunciato che sia l’Egitto che lo Stato di Israele hanno acconsentito a cessare le ostilità alle ore 15 di oggi. I due Stati hanno comunicato la loro decisione al mediatore Bunche.

Il funzionario ha aggiunto che la cessazione delle ostilità sarà seguita immediatamente da negoziati tra i rappresentanti dei due governi, sotto la presidenza dell’ONU, per l’attuazione delle mozioni di armistizioapprovate dal Consiglio di Sicurezz' il 4 e il 16 novembre.

La proposta di cessare le ostilità venne avanzata dall’Egitto, che la comunicò al dott. Bunche attraverso il rappresentante dell’ONU al Cairo. Il mediatore la trasmise al Governo di Israele dal quale ha ricevuto ora il consenso.




Cap. 3

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Nuovi aspetti della questione palestinese

L’Osservatore Romano,
10-11 gennaio 1949, p. 4

LONDRA, 10. – In attesa del risultato dell’inchiesta, il Ministro degli esteri britannico Bevin, ha convocato i consulenti per il Medio Oriente, onde esaminare con essi gli ultimi sviluppi della situazione palestinese; subito dopo tale riunione avrà luogo il Consiglio dei Ministri. Il Foreign Office, inoltre, ha inviato alle autorità israelite una vivace protesta che, però, è stata rinviata non solo dal rappresentante ebraico a Lake Success, ma anche dalle autorità di Haifa, essendo essa indirizzata alle «autorità ebraiche in Palestina» e non al «Governo provvisorio di Israele».

Secondo le prime notizie - che debbono però, ancora essere confermate ufficialmente - gli apparecchi ebraici attaccanti erano «Messerschmidt 109» recentemente importati dalla Cecoslovacchia e gli aerei britannici, non prevedendo l’attacco, sono stati colti di sorpresa.

Anche i componenti la Commissione di tregua dell’ONU per il Negev si sono riuniti presso il Console generale francese René Neuville, per discutere sulla situazione creatasi in seguito all’abbattimento dei 5 apparecchi della RAF; la riunione è durata più di un’ora, e subito dopo il Presidente della Commissione stessa, Jean Nieuwenhuys, è partito per Amman insieme con il colonnello Carleson, osservatore dell’ONU a Gerusalemme.

La stampa inglese, frattanto, dedica ampi commenti all’avvenimento.  Fra gli altri, il Daily Mail, osserva che mentre l’Inghilterra ha scrupolosamente osservato il divieto posto dalle Nazioni Unite sull’invio di armi agli Arabi, gli ebrei hanno ricevuto continuamente cannoni, carri armati, aerei e munizioni dagli arsenali governativi della Cecoslovacchia. Tali arsenali - aggiunge il Daily Mail - lavorano per la Russia, la quale ha iniziato un vasto contrabbando di armi sicchè ciascuno è libero di uccidere il prossimo nei deserti dell’Arabia».

Altri giornali, come il  Daily Express, il Daily Telegraph e la Yorkshire Post usano espressioni particolarmente vivaci nei confronti del Governo di Tel Aviv, mentre il News Chronicle ammonisce che gli ebrei si sbagliano se credono che «l’Inghilterra non esista più nel Vicino Oriente».

Il giornale comunista Daily Worker,  invece, sostiene che Bevin intende prolungare la guerra in Palestina con l’impiego di pattuglie della RAF in Egitto e con l’aiuto di truppe ad Akaba, in Transgiordania. Il Daily Worker chiede, quindi, che le truppe britanniche vengano richiamate dal Medio Oriente e che l’Inghilterra riconosca il Governo di Tel Aviv.

A proposito della presenza di truppe britannichc ad Akaba, l’Associated Press rileva che di punto in bianco la Transgiordania ha modificato il suo ruolo nella guerra palestinese, invocando il trattato concluso nel 1936 con l’Inghilterra, trattato che autorizza il Governo di Amman a chiedere aiuti militari in caso di aggressione. Tale richiesta osserva ancora l’A. P., compromette notevolmente le speranze relative alla conclusione di un armistizio fra i belligeranti.

La Transgiordania, infatti, è giustamente considerata la chiave di volta delle trattative per la pace in Transgiordania; la sua decisione, quindi, di far ricorso al trattato suddetto, insieme al caso dei cinque apparecchi della RAF, abbattuti dagli ebrei, ha quanto mai complicato le possibilità, appunto, di un armistizio, tanto più che dal primo dicembre le truppe transgiordane avevano sospeso le ostilità su tutti fronti.

Dieci giorni or sono, anzi, nel corso di una conferenza segreta svoltasi ad Amman, la Transgiordania e l’Iraq avevano comunicato al Cairo di non essere per il momento in grado di venire in aiuto dei reparti egiziani impegnati nella battaglia del Negev. Così allorché l’Egitto accettava l’ordine di cessare il fuoco e l’apertura di trattative per l’armistizio, sembrò che la pace dovesse alla fine giungere in Terrasanta; ma questi colloqui per la pace sembrano destinati a fallire se gli ebrei non accettano di ritirarsi completamente dal Negev.

Certo è - rileva la stessa A. P. - che l’Inghilterra sente di non poter permettere a un’altra nazione di rinanere in possesso di questa zona di deserto sabbioso che forma una specie di barriera protettiva alla zona del canale di Suez e ad Akaba, porto della Transgiordania.

L’annuncio che Londra ha deciso di inviare sue truppe ad Akaba, conferma le preoccupazioni della Gran Bretagna per la sorte di questa piccola città del Mar Rosso. Akaba è, infatti, il cardine di tutte le
comunicazioni inglesi nel Vicino Oriente.

Il Negev, inoltre, nella sua solitudine sabbiosa, nasconde una notevolissima quantità di minerali, come rame, cromo, magnesio, zolfo e petrolio. Poco prima dello scoppio delle ostilità, e cioè nello scorso maggio, erano già al lavoro nella zona squadre di tecnici americani per trivellazioni del suolo
a Sud di Gaza.

Allorchè gli inglesi se ne andarono, gli ebrei non persero tempo e, forti di valuta americana e pronti ad assumersi le spese di impianti moderni, pensarono a sfruttare questi tesori del sottosuolo desertico. È perciò che la conquista di queste zone di terreno venne tentata con tanto accanimento da parte degli ebrei. Chiunque controlla il Negev è in grado di dominare anche il Mar Morto.

In tale zona, posta a qualche centinaio di metri al di sotto del livello mare, si ritiene giacciono 40 miliardi di tonnellate di minerali potassio, bromuri, magnesio e fosfati. La sola disponibilità di potassio di questa zona sarebbe sufficiente per un secolo al fabbisogno mondiale. Ecco perchè due nomi fino a poco tempo fa quasi insignificanti, Akaba e Negev, sono ora all’ordine del giorno in tutte le cronache


Cap. 4

  Top  13.1.1949 ↓  c. 2 →  plus

La situazione nel Medio Oriente

L’Osservatore Romano,
13 gennaio 1949, p. 4

Titoli: Acta Diurna. La situazione nel Medio Oriente. L’incontro a Rodi. La pace in Palestina. Valutazioni sul Medio Oriente. Una nota della Lega Araba. I trattati della Gran Bretagna. Egitto e Transgiordania. Gli interessi degli Stati Uniti e i loro rapporti. La politica delle «finestre aperte». La base di una soluzione positiva.

(G. L. B.). – È stato annunciato per oggi l’incontro a Rodi fra i rappresentanti egiziani ed ebrei promosso dal Mediatore interinale dell’O.N.U. in Palestina per cercar di concretare un armistizio fra le due parti in lotta. L’incontro è specialmente importante dopo che – nel cielo egiziano secondo Londra; in quello del Negeb, secondo Tel Aviv – sono stati abbattuti cinque aerei britannici in volo di ricognizione, e si è così profilata la minaccia di veder diventare l’azione ebraica il «caso» determinante di nuove complicazioni internazionali.

Sul piano diplomatico il «caso» non è stato ancora risolto, ma il fatto che sino ad ora esso non sia stato motivo di un appello al Consiglio per la sicurezza, dimostra almeno da parte britannica la volontà di non interferire con altre iniziative sulle conversazioni di Rodi. È un altro elemento che documenta l’importanza attribuita ad esse e conforta la speranza che ieri un commentatore di Radio Londra esprimeva dichiarando di essere convinto che, se pure la situazione del Medio Oriente è indubbiamente grave, tuttavia, ognuno avrebbe contribuito ad alleviarne la tensione e, pertanto, a superare la crisi.

Si rinnova, in altre parole, la convinzione palesata pochi giorni fa dal Segretario generale dell’O.N.U. nel corso di una conferenza stampa, quando ha asserito che la soluzione del problema palestinese sarebbe «più vicina che mai» e che il 1949 avrebbe portato la pace in questa travagliata regione. «Robusto ottimismo» ha scritto qualche commentatore, ma indubbiamente ottimismo necessario per continuare in un’opera così difficile e delicata, intorno a una questione che non ha significato soltanto per se stessa, ma che è grave di tanti più o meno confusi motivi e suscettibile di pericolosi sviluppi. È facile farne un quadro richiamando che cosa rappresenti il Medio Oriente nelle preoccupazioni economiche e strategiche oggi predominanti e la posizione che in esso vi occupa la Palestina.

Il Medio Oriente, si è ormai osservato tante volte, costituisce il punto di incontro di grandi masse continentali e il tratto di unione fra mari diversi. Inoltre la natura ha nascosto nel suo sottsuolo delle riserve potenziali di petrolio che lo pongono in primo piano fra le regioni petrolifere di tutto il mondo, ma che fanno anche convergere su di esso gli interessi delle grandi Potenze. Si tratta di un interesse destinato a diventar sempre più vivo man mano che lo sviluppo meccanico della nostra civiltà rende maggiormente indispensabile questa materia prima e le altre riserve che si conoscono in altre regioni vanno diminuendo le loro disponibilità.

Al centro geografico del Medio Oriente la Palestina occupa un posto geograficamente importantissimo, il cui ruolo è giudicato in funzione polemica nel contrasto che oggi presenta la situazione internazionale. Così, spiegava, ad esempio, il giornale comunista francese Humanité: «La Palestina interessa doppiamente gli imperialisti anglosassoni: in primo luogo perché la considerano come una posizione strategica essenziale per la guerra contro la Russia; in secondo luogo perché è lo sbocco .dei petroli del Medio Oriente più ricco del mondo». Ma questo prospettar di cose si capovolge nella interpretazione fatta dall’altra parte e di rimando si osserva - come osservava l’altro giorno il Daily Mail - che se la Russia, attraverso Israele, si assicurerà una forte posizione nel Medio Oriente «ne deriverà per l’Occidente una minaccia maggiore di quella che gli deriverebbe da una Cina dominata dal comunismo» Gli elementi strategici ed economici rimangono immutati: ciascuno accusa l’altro di volersene impossessare in considerazione degli utili che il possesso offre sul piano della reciproca lotta.

Su questo canovaccio si intessono i motivi su cui si sviluppa l’attuale situazione così ricca di intrecci, di intrecci contrastanti, di interferenze, e per i quali sarebbe troppo semplice esaurirla in questo contrasto o nel contrasto fra arabi ed ebrei. Questo ultimo, così come l’altro, è uno degli aspetti della situazione, ma non è tutta la situazione; né questo stesso contrasto si può esprimere completamente soltanto con tale opposizione di termini.

Nella situazione palestinese, difatti, abbiamo effettivamente arabi ed ebrei, ma già parlando di parte araba si usa un termine di riferimento se non impreciso per lo meno molto vago. Lo si constatava in alcuni circoli politici internazionali commentando la nota che il 5 scorso la Lega Araba inviava all’Irak e alla Transgiordania per ricordar loro gli impegni di solidarietà da essi assunti verso i «fratelli d’arme» egiziani e per precisare come la non-collaborazione avrebbe significato la dissoluzione della Lega. Indubbiamente si è nel riflesso di altri avvenimenti, di altre divergenti opinioni, quali quelle nutrite sul futuro della Palestina araba, che hanno già diviso il campo, ma – nel suo riferimento specifico a uno stato di fatto contingente – la nota, la cui risonanza nell’opinione pubblica mondiale è stata assai più limitata di quella suscitata dal profilarsi delle altre divergenze, ha finito per acquistare un significato più profondo. Del resto i commenti ad una tale prospettiva non sono mancati nella considerazione di quello che il conservatore Sunday Times definiva il «vuoto politico» che lo sfasciamento degli Stati arabi determinerebbe nel Medio Oriente.

In questa realtà nel conflitto arabo-ebraico interviene un altro aspetto non meno notevole della situazione: quello costituito dalla Gran Bretagna e dai rapporti di questa con gli Stati arabi.

A tale proposito il New York Times, riferendosi alla situazione determinatasi in seguito all’abbattimento dei 5 apparecchi della R.A.F. individuava in due motivi l’origine della posizione che Londra ha assunto dinanzi agli attuali sviluppi della situazione palestinese: la difesa dei complessi interessi che essa localizza nel Cnale di Suez, la riconquista della influenza che già Londra aveva nel Medio Oriente. Il giornale statunitense sviluppava il concetto in contrasto con i motivi che esso intravedeva nell’azione ebraica: «il desiderio di certi estremisti di impossessarsi di tutta la Palestina».

Su questa base e in funzione dei rapporti della Gran Bretagna con gli Stati arabi, si verrebbero, pertanto, a precisare i rapporti anglo-ebraici Tuttavia il Governo di Londra si trova di fronte a due diverse realtà espresse nella diversità di rapporti che corrono fra la Gran Bretagna e la Transgiordania da una parte, la Gran Bretagna e l’Egitto dall’altra. Un elemento giuridico, al di sopra di ogni speculazione polemica, può dare la misura di questa diversità.

La Gran Bretagna si ritiene impegnata con tutte e due queste Nazioni da trattati di mutua assistenza, quello con il Cairo che rimonta al 1936, quello con Amman perfezionato nel marzo dello scorso anno. È precisamente in forza di quest’ultimo che aderendo ad una richiesta della Transgiordania essa ha inviato le proprie truppe a presidiare Akaba, l’unico porto che questo Paese possiede nel Mar Rosso, quel porto nel quale – secondo alcune informazioni di stampa apparse nuovamente la fine dello scorso anno – dovrebbe terminare un nuovo canale congiungente il Mediterraneo con il Mar Rosso e, quindi, con l’Oceano Indiano. È in ordine al trattato con l’Egitto che gli aerei britannici che sono stati abbattuti sorvolavano il territorio egiziano. Ma l’Egitto, al contrario della Transgiordania, lungi dal richiamarsi a questo trattato, lo considera scaduto, non più valido. Anzi, osservava un giornale svizzero qualche giorno fa, l’invocare questo patto per la propria integrità territoriale riuscirebbe per l’Egitto una gravosa umiliazione. Difatti la situazione del Negeb era presa in considerazione dalla stampa egiziana come elemento probante contro l’argomento fondamentale avanzato dai negoziatori britannici affermanti che le forze inglesi nella zona del Canale erano necessarie per la protezione di questo.

Mentre gli osservatori commentano variamente gli sviluppi della situazione nel Medio Oriente in funzione di questa diversità dei rapporti che intercorrono fra le Nazioni arabe e la Gran Bretagna, parallelamente a questi vengono osservando le relazioni che in funzione della Palestina e del Medio Oriente intercorrono altresì fra Londra e Washington, fra Washington e gli Stati arabi. Difatti, innegabilmente gli Stati Uniti hanno visto costituirsi in questa regione dei ben precisi interessi, né – oltre tutto – la posizione che essi sono venuti ad acquistare sul piano internazionale li può rendere indifferenti agli avvenimenti che si registrano in questa zona ritenuta nevralgica. Un giornale americano scriveva qualche tempo fa come «il problema della Palestina stabilirà la sorte dei Paesi arabi per un futuro di almeno cinquant’anni» e la frase, che ha avuto eco sulla stampa araba, ha avuto nei commenti l’inquadratura conseguente alla posizione che questi Paesi rappresentano nel Medio Oriente.

Un tale insieme di rapporti finisce per costituire il quarto aspetto, sotto cui si può considerare la questione palestinese, ed è un aspetto tanto più delicato quanto, si è osservato, su questo elemento non sono mancati i tentativi per creare una frattura nei rapporti anglo-americani, risultato, a sua volta, tanto più grave quanto un atteggiamento comune delle due Nazioni nei confronti del Medio Oriente viene sottolineato dalla constatazione che il petrolio mediorientale costituisce un fattore importante della ricostruzione economica europea.

Questo complesso di rapporti, il quale per le conseguenze che può originare, non è più racchiuso nel limite geografico del Medio Oriente, ripropone un’altra volta lo sviluppo del contrasto fra l’Oriente e l’Occidente. Ad esempio l’I.N.S. asseriva la scorsa settimana di aver appreso negli ambienti sovietici di Vienna che la Russia si riprometterebbe di sollevare la questione della internazionalizzazione del Canale di Suez, prendendo pretesto dalle ultime vicende. A sua volta il redattore diplomatico del London Evening News annunciava l’arrivo al Cairo di una delegazione sovietica che dovrebbe negoziare una convenzione russo-egiziana per l’aviazione civile simile a quella che l’Egitto ha con gli Stati Uniti, iniziativa, che, egli scrive, mentre da una parte indica l’intenzione di Mosca di istituire aviolinee per l’Africa e l’Oceano Indiano, dall’altra mostrerebbe che «il Governo sovietico intende mettere alla prova la neutralità dell’Egitto fra le grandi Potenze». In questa situazione, difatti, l’URSS svilupperebbe quella che Le Progrès Egyptien chiama la «politica delle finestre» per rilevare che a Mosca, a tutt’oggi, manca solo una finestra sul Mediterraneo, e che, qualunque possa essere l’importanza da attribuirsi ai vari indici che si vengono denunciando, il tentativo è tradizionalmente insito nell’azione che essa, sotto tutti i regimi, ha cercato di portare a termine.

Su questo elemento si ripete spesso la nota di allarme e si cerca di sfruttarla in funzione degli interessi delle singole parti. In realtà il problema non può avere soluzione su dei fattori negativi che tutti si augurano di veder eliminati. La soluzione si può trovare, in senso veramente risolutivo, solo potenziando i fattori di giustizia, di interesse comune che sono effettivamente le basi di una vera pace.


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Cap. 1

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Al Consiglio di Sicurezza Palestina e Indonesia
ancora all’ordine del giorno  
L’Osservatore Romano,
27-28 dicembre 1948
Lunedi-Martedi, p. 2

L’attività del Consiglio di Sicurezza continua ad essere rivolta alle ostilità tuttora in corso sia nella Palestina che in Indonesia; i funzionari dell’ONU attendono, pertanto, con ansia il rapporto che sarà presentato quanto prima dal mediatore, dott. Ralph Bunche, in merito alla situazione nella Palestina meridionale (settore di Negev), dove ebrei ed egiziani hanno ripreso la lotta.

I nuovi disordini palestinesi - riferisce 1’« A. P. » - sono stati segnalati la sera della vigilia di Natale dal governo egiziano il quale ha accusato l’esercito ebraico di aver infranto le norme stesse della tregua, attaccando su un largo fronte per terra, mare e aria.

Secondo le prime notizie relative alle azioni, aerei ebraici hanno lanciato oltre 90 bombe presso la città di Gaza, al confine egiziano. Nella notte di Natale, inoltre, in seguito ad un attacco aereo delle formazioni ebraiche su Nazareth, tre bimbi sono stati uccisi e cinque sono rimasti feriti.

L’Egitto ha chiesto che il Consiglio venga convocato in riunione straordinaria per l’esame della sua protesta, ma la maggioranza del Consiglio stesso ha deciso di attendere, prima di riunirsi, la relazione del mediatore.

Per quanto riguarda la questione indonesiana […]



Cap. 2

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Bunche parla sulla situazione palestinese

L’Osservatore Romano,
29 dicembre 1948
Mercoledi, p. 2

Titoli: Bunche parla sulla situazione palestinese. Gli scontri nel Negev.

NEW YORK, 28. - In un radio discorso da New York, l’ex mediatore dell’ONU, dott. Raplh Bunche – a quanto riferisce l’«INS» – ha dichiarato che nonostante la ripresa delle ostilità nella regione del Negev, egli è tuttora convinto che la guerra in Palestina è finita e l’avvento di una pace definitiva fra i due contendenti sarebbe accelerata se gli arabi si decidessero a sedere con gli ebrei a una tavola rotonda. In ogni caso egli ha detto che la ripresa delle ostilità nella Terra Santa meridionale è un episodio sporadico, e «la pace definitiva è in vista». Certo i combattimenti in corso nel Negev costituiscono una «aperta violazione» della tregua ordinata dal Consiglio di Sicurezza, ma il dott. Bunche spera che essi cesseranno presto.

Su gli scontri che si sviluppano in questa zona la stessa agenzia rileva che le autorità ebraiche hanno ammesso che la resistenza egiziana sul fronte meridionale del Negev è assai più forte del previsto. Un portavoce militare ebraico, nel dare notizia delle nuove operazioni aero-terrestri in corso nel Negev ha ammesso che gli egiziani «sembrano meglio armati ed equipaggiati» di quel che fossero durante le battaglie dell’ottobre; impiegano, tra l’altro, carri armati ed artiglierie nuovissime.

È segnalata una ripresa delle operazioni belliche anche dal settore centrale, da lungo tempo calmissimo, dove le forze iraquene hanno sferrato un violentissimo attacco contro un centro di colonizzazione agricola ebraico sistemato a difesa.

Successivamente le autorità ebraiche hanno dichiarato che le truppe egiziane hanno riportato «successi locali» nella prima fase delle operazioni sul fronte del Negev. L’attacco egiziano, è stato spiegato, è stato sferrato contemporaneamente in varie direzioni ed ha costretto gli ebrei ad abbandonare le loro posizioni sui colli dominanti la città di Ghaza, mentre gli attaccanti egiziani, altrove, penetravano profondamente in vari punti dello schieramento ebraico.

Come si ricorda l’aviazione ebraica ha bombardato duramente le posizioni egiziane a su di Ghaza. Il fatto dovrebbe essere avvenuto nella notte di Natale, allorché Radio Rias-Berlin ha radiocomunicato – con un facile errore di trasmissione – il bombardamento di Nazareth, annunciando la morte di tre bambini e il ferimento di altri cinque. A questo proposito nello smentire la notizia si è fatto osservare da parte ebraica come Nazareth si trovi da mesi all’interno delle posizioni ebraiche.

Naturalmente sui combattimenti in corso non è fornita alcuna indicazione geografica e da fonte ufficiale ebraica ci si limita a confermare che la battaglia è «violentissima», specie nella regione di Kan Yunia, a nord-ovest di Nirim, sempre nella zona del Negev. «Altrove» vi sono stati anche combattimenti alle minime distanze tra le opposte fanterie e intensi duelli di artiglieria. Una censura rigorosissima è stata istituita da parte ebraica su tutte le notizie di carattere militare ed a corrispondenti e fotografi è stato severamente vietato di raggiungere le zone di guerra.



Cap. 3

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Al Consiglio di Sicurezza invito a cessare il fuoco
ai contendenti della Palestina e dell’Indonesia

L’Osservatore Romano,
30 dicembre 1948
Giovedì, p. 1
 Il Consiglio di Sicurezza si riunisce oggi per votare sul progetto britannico che invita le truppe ebraiche e quelle egiziane a cessare immediatamente il fuoco. Il progetto contempla, inoltre, la convocazione di un Comitato di controllo per la tregua - composto da rappresentanti di sette Potenze - che dovrebbe riunirsi il 6 gennaio a Lake Success; il delegato britannico ha chiesto pure la costituzione di un Comitato conciliativo di tre Potenze - Francia, Turchia e Stati Uniti - allo scopo di porre fine alla lotta in Terrasanta.

Sul probabile esito del voto l’A.P. rileva che gli osservatori locali sono del parere che l’Inghilterra si sia già assicurati sette, se non otto, voti favorevoli al suo progetto, tra i quali quello del delegato sovietico Malik.

Per quanto riguarda, poi,  la questione indonesiana […].