novembre 15, 2010

La questione sionista ed il Vicino Oriente – Documentazione tratta da “L’Osservatore Romano”: Cronache dell’anno 1921.

Home della «Questione sionista»
Mentre valgono le considerazioni generali già fatte per le precedenti fonti documentarie, di cui in Elenco Numerico, pare qui opportuno rilevare ogni volta la casualità e imparzialità con la quale le diverse fonti si aggiungono le une alle altre, animati da una pretesa di completezza, che sappiamo impossibile da raggiungere. Fin dal sorgere della questione sionista l’«Osservatore Romano» segue con la sensibilità che le è propria i fatti nel loro divenire giorno dopo giorno, aiutandoci a capire oggi i veri nodi di una problematica, sempre più nascosta dietro l’ideologia e la propaganda. Se l’interesse religioso per i Luoghi Santi è quello prevalente nelle considerazioni della Santa Sede ed ispira la sua diplomazia e la sua geopolitica, non per questo manca la percezione di una grande ingiustizia consumata sulla popolazione indigena. Nell’accingerci allo spoglio di annate polverose di storia in Biblioteche non sempre agevoli e attrezzate, siamo certi di trovare materiale prezioso che ci aiuterà a capire meglio il nostro presente. Le elaborazioni critiche seguono di pari passo l’acquisizione dei dati e queste note introduttive alle fonti seriali hanno sempre carattere provvisorio.

LA QUESTIONE SIONISTA
E IL VICINO ORIENTE
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tratta da  “L’Osservatore Romano”


1921
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Anno inizio spoglio: 1921

L’Osservatore Romano:
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 Sommario: Anno 1921 di “L’Osservatore Romano” → 1. Il mandato britannico per la Palestina. – Sionismo e Palestina: insediamenti turistici sul Monte Carmelo. – 2. Dalla Palestina: l’Opera caritatevole del Papa. Un nuovo scandalo. – 3. Sionismo e Palestina: esiti delle delegazioni in visita presso Churchill. – 4. A proposito di un vistatore massonico. – 5. Sionismo e Palestina: la situazione vista da un americano. – 6. Sionismo e Palestina: la genesi dei gravi disordini. – 7. A proposito d’una “politique Judaïque” e d’un “reveil d’Israël”. – 8. Sionismo e Palestina: nuovi torbidi. – 9. Segue: Il pericolo della “Nazione ebraica” in Palestina. – 10: Segue: Misteriose trattative tra Sir Samuel e il suo Governo. – 11. Segue: L’introduzione del bolscevismo. – 12. Il Congresso Sionistico. – 13. Sionismo e Palestina: le promesse contradditorie di Balfour. – 14. Il Congresso Sionistico e il governo inglese. – 15. Dopo il Congresso Sionistico. – 16. La questione israelita e i cattolici francesi. – 17. Sionismo e Palestina: il vero scopo dei Sionisti. – 18. La preghiera pei giudei. – 19. Sionismo e Palestina: il discorso del cardinale Bourne. – 20. L’Università israelita. – 21. Sionismo e Palestina: «Gerusalemme, tomba delle ambizioni sioniste». – 22. Segue: I sanguinosi disordini di novembre in Gerusalemme. –



Cap. 1eTop ↓ c. 2e → § 1e

Il mandato britannico per la Palestina
da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 45, p. 1
Mercoledi, 23 febbraio 1921

LONDRA, 21. – Una nota ufficiosa dice che il mandato britannico per la Palestina sarà attuato sulla base di un ampio diritto di libertà per quanto riguarda le questioni religiose, libertà che verrà estesa anche alla creazione di istituti di educazione, senza nessuna restrizione, nemmeno per quanto riguarda gli ex-nemici.

Sionismo e Palestina:
insediamenti turistici sul Monte Carmelo

da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 47, p. 1
25 febbraio 1921, Venerdi

SIONISMO E PALESTINA

(Nostra Corrispondenza). PARIGI, 20 febbraio. Il nuovo Ministero si preoccupa delle concrete condizioni create in Palestina dalla politica orientale dell’Intesa e sopratutto dal movimento Sionista. Una frase attribuita a Mr. Briand circa la proprietà morale dei Luoghi Santi che il Capo del Governo ha ricordato appartenere alla Francia o più precisamente che la Francia non intende lasciar decadere, è assai commentata in questi circoli politici come indice di una più risoluta attività francese nelle cose di Terra Santa.

Più volte notammo la particolare sensibilità nazionale francese per ciò che or viene sulle rive del Giordano, nel cuore cioè e nel centro di ogni effettiva influenza cattolica nell’Oriente; il Sionismo, nella sua febbrile forza di penetrazione ed organizzazione è sempre apparso la minaccia più grave agli interessi religiosi e francesi. E quindi nessuna meraviglia che le presunte o reali intenzioni del Governo, per una più energica politica, siano dovunque, e una volta ancora sovra ogni opinione religiosa o di parte, salutate con simpatia.

Oggi è sopratutto oggetto di commenti un oggetto singolare dell’attività sionistica: quella cioè che rivela tutto un piano di risorgimento commerciale per la Palestina, atto a distrarre o a deviare l’interesse del mondo cristiano pei Luoghi Santi, che finirebbero per divenire un vero anacronismo, in una nuova terra promessa, di ritrovi cosmopoliti, nè pii, nè eruditi, bensì atti a rivaleggiare e forse a supeerare i più rinomati centri di divertimenti lussuosi del mondo.

Infatti il giornale Al Bascir, reca in uno dei suoi ultimi numeri questa notizia:
«Un giornale ebreo di Palestina reca che una grande società si è costituita colà con lo scopo di preparare in alcune parti del paese, e nominatamente sul Carmelo luoghi di villeggiatura, largamente provveduti dei più raffinati mezzi di comodità e di lusso. Con questo mezzo la società conta di attirare gli Egiziani i quali fino adesso villeggiavano parte nel Libano, parte in Europa. Secondo alcun, questi soggiorni estivi faranno concorrenza al Libano sia per la maggiore vicinanza che hanno con l’Egitto, sia perchè i promotori sono disposti ad adoperarsi con ogni impegno per arricchirli di comodi e di mezzi di divertimento. I gravi disagi che l’estate scorsa incontrarono i villeggianti affluiti nel Libano, disagi dovuti principalmente alle difficoltà di trasporto e di comunicazione, fanno sperare agli imprenditori della suddetta opera un lusinghiero successo».
Queste notizie di sapore cosi commerciale da render palese, fin d’ora, la concorrenza al Libano, e non pei soli gaudenti egiziani, sembrano a molti, non soltanto l’indice delle tendenze di razza, ma ancora di quelle anticristiane del sionismo.

Che solo il culto delle memorie, la nostalgia della terra dei Padri, animasse il movimento sionista e determinasse una più o meno spontanea e numerosa migrazione ebrea in Palestina, nessuno o ben pochi lo credettero, malgrado il lirismo di certi uomini, di certi comitati e giornali. Ma sarebbe forse altrettanta ingenuità credere che i Sionisti, prima forse delle memorie e della patria nostalgla, pensassero esclusivamente ad uno sfruttamento economico di tutto ciò che la Palestina può offrire all’uopo.

Il proposito di unire allo splendore del cielo, alla inarrivata bellezza dei panorami, alla salubrità dell’aria e fertilità del suolo «i più raffinati mezzi di comodità, di lusso, di divertimento» non proviene soltanto dall’abile calcolo di non attendere il risultato delle riforme agricole, delle vaste irrigazioni, delle ricche piantagioni ideate nelle terre tolte o da togliersi ai cristiani e agli arabi; e frattanto dar mano a qualche cosa di non meno redditizio ma più facile e sollecito. Bensì tale proposito si congiunge almeno ad un piano morale e politico di opposizione alle grandi memorie e tradizioni cristiane di una terra, che esse consacrano al culto di un’intera civiltà, e che se non saranno sopraffatte e distrutte, ogni potenza materiale della nuova importazione sionistica, sarà vana, e l’ebreo resterà straniero in Palestina non desiderato dall’indigeno, mal tollerato da chiunque o per religione o per coltura vi converrà d’ogni parte del mondo. Convertire la Terra Santa o almeno i luoghi più celebri nelle vie più frequentate dagli stranieri in soggiorni di bagordi internazionali, non è, a chi ben osserva, un piano sbagliato ai due scopi: il guadagno e la scristianizzazione della culla del cristianesimo, per ciò che essa è e rappresenta al cuore ed alla mente della cristianità.



Top c. 1e Cap. 2 ↓ c. 3 → § 2e

Dalla Palestina:
L’Opera caritatevole del Papa.
Un nuovo scandalo.
da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 59, p. 1
11 marzo 1921, Venerdi

(Nostra corrispondenza particolare). GERUSALEMME, 26 febbraio. Con 15 dello scorso mese di gennaio è incominciata qui la pubblicazione di un periodico dal titolo confortante “La sentinella di Sion”. Destinato al popolo della Palestina, esso è scritto in arabo ed è forse il primo giornaletto cattolico che vede la luce in queste terre. Ha articoli attraenti ed istruttivi; contiene notizie oltremodo interessanti; ha incontrato l’approvazione di tutti i buoni cattolici palestinesi ed è stato visto di buon occhio anche dai cristiani acattolici e persino dai… musulmani. Il primo numero pubblica un articolo sul Papa. È breve, molto breve; ma per noi è stato una vera rivelazione della carità premurosa e sollecita del Santo Padre verso i poveri palestinesi. Noi qui si godeva della carità del Papa, alla carità del Papa dovevamo ormai quasi esclusivamente la vita dei nostri bambini, e non si sapeva!
Fiori

Infatti, l’innocenza sbocciata nella terra benedetta, dove si manifestò il Fiore Divino del purissimo stelo di Iesse, si è vista di nuovo circondata del più tenero e benevolo affetto del Divino Maestro, Nostro Signore Gesù Cristo, con la mano paterna del Suo Vicario, ha accarezzato di nuovo i bambini palestinesi e li ha cinti premurosamente delle più provvide difese, onde sia salva la loro fede e sia sempre incontaminato il loro candore!

Gli orfanelli, che qui sono numerosissimi e giacevano nella più squallida miseria, facile preda della morte corporale o del pervertimento religioso e morale, dalla carità soccorritrice e paterna del Papa sono stati raccolti in varii Orfanatrofi ed Istituti. A Beitgemal sono collocati nella fiorente Scuola Agricola Salesiana. In Gerusalemme riempiono l’Orfanatrofio di San Pietro Sion, l’Istituto delle Suore del Santo Rosario, l’Ospizio di San Vincenzo, l’Orfanatrofio delle Dame di Sion e l’Orfanatrofio delle Francescane Missionarie di Maria. Anche nell’Ospizio di S. Giovanni in Montana vi sono gli orfanelli del Papa, ed essi hanno largo asilo nello Orfanatrofio Salesiano e nell’Orfanatrofio delle Dame di Nazaret a Nazaret. Essi sono perfino a Giaffa nell’Ospizio di San Vincenzo… !

E sono centinaia di orfanelli e di orfanelle, che la paterna carità del Papa ha trovato e raccolto, provvede di cibo e di vestito, istruisce, educa, protegge! Una carità silenziosa e nascosta, ma sapientemente organizzata in un Patronato, che del Papa porta il nome e che in breve tempo, mercè la grazia di Dio e l’encomiabile slancio di abnegazione e di apostolato di Religiosi e di laici cattolici, ha prodotto frutti mirabili per il bene di cotesti bambini.

I cattolici Palestinesi sono profondamenti grati all’augusto Pontefice per tanta Sua carità, e nella Sua protezione riconoscono un mezzo alle miserie di ogni genere di questi tempi; speranza di un avvenire più tranquillo, più buono, in cui vi siano almeno la libertà di vivere onestamente e di professare la propria Religione.
Spine

Poiché ora nella Gerusalemme… liberata regna e trionfa una libertà che noi, cresciuti sotto il giogo dei musulmani, avremmo detto licenza e libertinaggio; e l’una e l’altro erano, almeno pubblicamente e ufficialmente, proscritti dalla Terra Santa.

Da oltre un anno in qua la Città Santa si va cambiando in una sala da ballo; ed è tutta materia d’importazione, cattolici, scismatici, mussulmani, ebrei nativi di Gerusalemme ne sono scandalizzati. Non sono le danze di David al suono dell’arpa e al canto dei fanciulli salmodianti davanti all’Arca! Ma sono quelle di danzatrici venute da non si sa donde, cariche di profumi e di vezzi femminili, ma sconciamente svestite. Non solo i cattolici, ma persino le madri scismatiche si guardano bene dal permettere che a simili brutture assistano le loro figlie. Queste danze sono per i forastieri, quasi tutti ebrei, e atei o protestanti, piovutici in virtù di quella liberazione politico-militare della Terra Santa che noi, da principio, salutammo con tanta gioia. Essi, da luoghi moralmente guasti ci hanno portato la strana novità di questi balli, e di queste ballerine, per gettare quanto in tali balli vi è di riprovevole, sulla popolazione di Sion. Essi immancabilmente vi si sollazzano tutti i sabati, con una prolungata brutta veglia, che va dalla sera del sabato alla mattina della domenica, quasi per contaminare ambedue questi giorni sacri. Poiché questi stranieri, potenti per aderenze e per danaro, non si rendono conto nè di luoghi, nè di tempi, nè di costumanze sociali e di sentimenti religiosi. E per meglio provare la loro disinvoltura, si mettono anche la maschera.

Adunque, in questi giorni di Quaresima. sacri al dolore e alla passione di Nostro Signore, nella città del Profeta, nella città dell’Uomo-Dio, si tengono balli in maschera! E non sono clandestini! Li annunciano cartelloni per le vie, li descrive il «Palestine Weekly», organo sionista di Gerusalemme.

E le autorità che fanno? I buoni di Gerusalemme ne sono avviliti, poiché non avevano mai visto la Città Santa desolata da sì sacrilega profanazione, non avevano mai pensato che per giungere a tali scandali fosse necessaria, quasi una ironia, la liberazione dal turco!
__________
Il lettore può facilmente porre in relazione questa nostra corrispondenza ad altra pubblicata il 25 febbraio u.s. [vedi sopra] nella quale si parlava di disegni Sionistici per rendere la Palestina centro di ritrovi e bagordi internazionali. Ivi si parlava soprattutto della zona del Carmelo; ma già in Gerusalemme, nel cuore, nel tempio per così dire de’ luoghi santi, l’opera tristamente paganeggiante va dunque iniziandosi. (n.d.r.)


Top c. 2 Cap. 3 ↓ c. 4 → § 3e

Sionismo e Palestina:
esiti delle delegazioni in visita presso Churchill.
da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 82, p. 1
7 aprile 1921, Giovedi

(Nostra corrispondenza). PARIGI, 1 aprile. In questi Circoli governativi e politici si continuano a seguire con il massimo interesse gli avvenimenti sionistici in Palestina. Senonchè anche in Inghilterra per le condizioni delicatissime del mondo mussulmano, le cose di Terra Santa e l’atteggiamento costantemente ostile degli arabi, destano delle preoccupazioni che cominciano a manifestarsi anche in pubblico.

Infatti l’atteggiamento assunto Lord Churchill in Palestina è molto commentato dalla stampa inglese. È noto quanto grave fosse la questione della Palestina e si sperava che la missione Churchill, potesse portare ad una soddisfacente soluzione; ma le prime notizie non possono aprir l’animo ad ottimismo.

Dei dispacci infatti informaano che ieri Churchill ricevette nel palazzo del Governo i rappresentanti dei Circoli mussulmani, cristiani ed arabi. Gli arabi furono i più efficaci e violenti sostenitori delle loro aspirazioni e proteste e si dichiararono apertamente ostili alla politica dei sionisti. Churchill loro rispose in questi termini:
«Io vedo nel vostro discorso un sentimento partigiano ed ingiusto. Voi mi chiedete di rigettare la dichiarazione di Balfour e di sospendere ogni immigrazione ebraica. Ciò non è nei limiti del mio potere, nè è conforme alla mia volontà. È evidente il diritto degli ebrei di avere un centro nazionale ed una terra nazionale nella quale possono riunirsi. E dove mai se non in Palestina essi potranno trovare tale terra; nella Palestina ove i giudei vissero per tremila anni! Noi crediamo che ciò sia bene per gli ebrei, bene per il mondo, bene per l’impero britannico, bene anche per gli arabi che dimorano in questa regione; e noi vogliamo che ciò sia. Gli arabi non saranno espulsi nè soffriranno angherie; ma parteciperanno della floridezza e del progresso del sionismo. Desidero che portiate la vostra attenzione sulla seconda parte della dichiarazione di Balfour, dedicata alla conservazione e tutela dei vostri diritti; e son dolente di constatare che voi non avete ad essa prestato fede. Dicendo che agli ebrei si deve dare una terra nazionale non si intende condurre alla soggezione degli arabi. Noi non possiamo tollerare ciò! La presente forma di governo durerà per molti anni; così a poco per volta si potrà sviluppare il sistema rappresentativo di governo».
Per dar valore a questo programma Churchill, ricevendo poi la deputazione ebrea, raccomandò vivamente il rispetto per i cristiani e gli arabi:
«Gli arabi hanno espresso – così concluse – i loro timori pel carattere bolscevico di alcuni immigranti giudei. Checchè noi possiamo pensare di ciò, è nostro dovere dissipare questo timore e favorire la pace interna in questa città. Voi dovete esser pazienti e prudenti».
Le parole di Churchill non hanno convinto gli arabi ed hanno incoraggiato, pur rendendoli più astuti, gli ebrei. Tutti sentono che il sionismo incomincerò presto a regnare in modo incontrastato. E purtroppo fra gli arabi può predominare l’elemento turbolento, visto che l’elemento moderato non ha potuto ottenere dall’Inghilterra una soddisfacente protezione.

Così, esattamente, riassumiamo oltre le notizie. Il pensiero della parte più illuminata della stampa inglese. Le sue riserve sono più che giustificate. Che gli arabi abbiano ragione di temere, di restare ostili e di diffidare ancora della dichiarazione di Balfour, parlano più delle idee esposte da Churchill, i fatti svoltisi negli ultimi tempi, il carattere della penetrazione giudaica che si risolve in una spogliazione legale e subdola dei diritti degli altri; parla la stessa necessità avvisata dallo stesso Lord di raccomandare agli ebrei pazienza e prudenza; due virtà ad ogni modo che tendono a renderne il lavorio più fidente, più tenace e più efficace.

Gli arabi, con l’elemento non ebraico, non hanno chiesto un po’ più di buona grazia e di astuzia agli immigrati, hanno chiesto il riconoscimento integrale dei proprii diritti contro l’usurpazione e la prepotenza, legittimata ora con la teoria dei tremila anni di ebraismo, e per quindici secoli non basterebbero a dichiararne la prescrizione. Si osserva a tale proposito che con questa strana concezione, la carta etnica e geofrafico-politica del mondo dovrebbe essere sovvertita, solo che a taluno venisse in mente di ricostruire per esempio l’Impero romano o quello maomettano, e sarebbero contradditorie le opposizioni dell’Intesa alle aspirazioni greche in Asia o in Europa, e farebbero sorridere di compassione gli irredentismi fioriti durante la grande guerra.

Gli ebrei, ha detto Churchill, devono avere un centro nazionale ed una terra nazionale: e questa deve essere la Palestina; i palestinesi – siano essi mussulmani o cristiani dovrebbero perdere la propria, non di fronte ad un nucleo superiore di altra razza, ma tollerando una immigrazione che li renda minoranza. È un assurdo etnico, giuridico e politico.

Il quale permane altresì quando si assicura che la terra nazionale ebraica non sarà inospitale per gli altri. Anche se gli eventi ben noti non dimostrassero che ciò è solo nelle ottimistiche intenzioni inglesi, non già nei propositi e nell’opera sionistica, resta a sapersi come si possa pretendere che i più numerosi gruppi di abitanti della Palestina si dovessero rassegnare ad essere tollerati invece che padroni in casa propria.

Nemmeno nella caotica legislazione sulla crisi degli alloggi che si può dire affligga tutte le metropoli europee, si legge nulla di simile pure in un regime tutto favorevole agli inquilini. È così chiara la insostenibilità della tesi sionistica che l’opinione pubblica inglese se ne avvede e alza le sue critiche.

Tanto più che il sionismo comincia ad aver tutta l’aria di un preconcetto politico, buono o cattivo ai fini inglesi in Oriente, non importa. Infatti, informazioni attendibilissime giunte qui da persone che conoscono troppo bene le condizioni della Palestina, affermano che la «terra nazionale» ebraica non si amalgama più dopo mille e cinquecent’anni, con la Terra Santa; e che gli stessi immigrati sotto l’egida anche economica del movimento sionista vi si sentono stranieri, hanno l‘aria di essersi illusi, e di non voler piantarvi per sempre le loro tende. Ed invece i Comitati d’azione, e non sempre con pazienza e prudenza, si ostinano a cacciare gli indigeni che vi si trovano benissimo.


Top c. 3 Cap. 4 ↓ c. 5 → § 4e

A proposito di un visitatore massonico

da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 96, p. 1
23 aprile 1921, Sabato

(Nostra corrispondenza particolare). BEIRUT, aprile 1921. La Massoneria, che ebbe sempre il prurito di scimmiottare il Cattolicismo, non poteva non guardare con invidia la sollecitudine veramente paterna del Santo Padre Benedetto XV verso le piaghe orientali, rivelatasi in questi ultimi tempi, oltre che in molti altri modi, anche con l’invio di Visitatori Apostolici; e volle perciò mandare anch’essa il suo Visitatore, nella persona del sig. Wellhof che passò in questi ultimi tempi per l’Egitto, per la Siria e per la Palestina.

Il simbolico Grande Oriente di Francia ha voluto mostrare la sua fraterna sollecitudine per questo piccolo Oriente reale che va dall’Eufrate alle rive del Nilo. E la cosa è ben comprensibile, specialmente dopo l’esempio dato dal Sommo Pontefice. Ciò che si capisce un po’ meno, negli ambienti profani, è che come missus dominicus delle Loggie di Parigi si scegliesse un personaggio dal nome eteroclito, Wellhof, così poco francese. Nè a far meglio decifrare l’enigma potrà servire il saperlo imparentato con la famiglia Aaron. Per un alto dignitario massonico questa tinta di ebraismo va tutt’altro che male. Ma per un messaggero del Grande Oriente di Francia, in paesi tanto lavorati da influenze antifrancesi, sembrava che si potesse scegliere un po’ meglio; a meno che il sig. Wellhof non fosse incaricato, come tutto fa credere, di missioni che non hanno nulla che fare coi veri interessi francesi in queste regioni.

Un’illusione

Nella sua smania di scimmiottare il Cattolicismo, la Massoneria francese, come quella di altre nazioni, s’illude di poter formare all’ombra delle sue Loggie un forte organismo agglutinatore che faccia di tutti i suoi membri, compresi gli ebrei, un corpo che veramente abbia un sol cuore ed un’anima sola, e prosegua sinceramente lo scopo sociale al di sopra degl’interessi di razza. Questa illusione è sfruttata a meraviglia specialmente dagli ebrei. I quali vedono nella Massoneria un mezzo efficacissimo per lottare contro l’organismo cristiano, ed esercitar quindi il loro dominio sulla massa cristiana stupidamente lasciatasi disorganizzare e polverizzare; ma per quel che riguarda il loro organismo ebraico, somigliantissimo all’organismo massonico, si guardano bene dall’indebolirlo comechessia. L’ebreo resta sempre ebreo, anche quando non crede più nella religione dei padri suoi; e sempre, ma specialmente nelle Loggie massoniche, non pensa ad altro che ai suoi interessi propri intimamente legati con quelli dell’ebraismo. L’etichetta delle sue imprese non potrà variare: qua si chiamerà sionismo, altrove bolscevismo; ma lo scopo è sempre lo stesso, il trionfo degli ebrei sui cristiani, il predominio della stirpe ebraica nell’universo mondo, da conseguirsi a qualunque patto e con qualunque mezzo.

Noi non sappiamo che cosa abbia fatto il sig. Wellhof in Egitto e in Palestina. Scommetteremmo quasi che in Palestina dev’essersi inteso a maraviglia col sig. Samuel e in genere coi caporioni dell’attuale movimento sionista. Dal lato politico questo movimento ferisce in modo specialissimo gl’interessi francesi. Ma che contano gli interessi francesi, di fronte a quelli dell’ebraismo mondiale, che va forse scavando inconsciamente la tomba a tanta povera gente illusa nell’artificioso movimento sionistico, ma che intanto trionfa, pel momento, nella storica terra dei padri suoi?

Quello che con sicurezza sappiamo, è che qui, in questa capitale del Grande Libano iniziante la sua vita nova sotto l’egida della Francia, il sig. Wellhof fu tutt’altro che benevolo per le Autorità locali. Egli rimase qui appena un paio di giorni, esattamente quaranta ore, premuto forse dalla smania di trasferirsi nell’aere, per lui ben più spirabile, del sionismo palestinese; ma ebbe tempo abbastanza per accogliere con molta benevolenza le molte deblaterazioni dei fratelli siriani contro l’amministrazione francese, e specialmente contro gli Ufficiali militari che tuttora in gran copia ne fanno parte.

Interessi massonici

Durante il ricevimento solenne che gli fu fatto nella Loggia di Beirut, l’inesauribile eloquenza dei fratelli siriani si sfogò specialmente in feroci invettive contro il preteso assolutismo delle imperanti Autorità francesi. Il vero è che queste Autorità, almeno nelle sfere più alte che sono quelle che contano e che specialmente si volevano attaccare, non meritano tale accusa specialmente in seguito alla campagna che fanno contro di esse i giornali e i partiti massonici della Metropoli. Ma ciò poco importa. Queste Autorità francesi, hanno avuto, di fronte alla Loggia, il torto imperdonabile di non partire subito in guerra contro contro il clero indigeno e contro i Missionari. Clero e Missionari sono stati i più potenti fautori e potrebbe dirsi i creatori dell’influenza francese in queste regioni, e ne sono tuttora la più solida base. Ma anche ciò poco importa. Quel po’ di riguardo usato verso il clero e i Missionari incaglia, a giudizio dei fratelli siriani e del sig. Wellhof, i progressi dell’idea massonica, e incoraggia il clericalismo. Ciò basta anche al sig. Wellhof per dichiarar la guerra a queste Autorità francesi. Se questa guerra è evidentemente dannosa agl’interessi francesi in queste regioni, tanto peggio per la Francia. I fratelli siriani, tanto accarezzati dal sig. Wellhof, non brillarono mai per attaccamento alla Francia. V’è invece fra di loro chi brillò per il suo attaccamento all’Emir Feisal ed ai suoi protettori, e che certamente non cambiò sentimenti. Il farmacista Nahoul, a mo’ d’esempio, vecchio settario ed uno dei più autentici Homais siriani, che fu uno degli oratori nella massonica seduta di ricevimento, è legato a refe doppio col notissimo francofobo dottor Assir presidente del sedicente partito democratico di cui parlammo altra volta.

Non c’è speranza certo di far aprir gli occhi al massonico partito radicale francese, nè al redattore di certi giornali come il Bonsoir, L’ère nouvelle, Le progrès civique. Ignoranti come sono, e lo diciamo a loro scusa, della gloriosa storia della Francia e dei grandi interessi francesi in queste regioni, e imbevuti sino alla midolla dei pregiudizi massonici, essi potranno ripetere col sig. Clemenceau che le questioni della Siria e della Palestina sono questioni da curati e da monaci, e quindi lesinare i crediti all’Armata del Levante che secondo loro starebbe qui per fare gl’interessi del clericalismo. Essi potranno anche, ciò che non avrebbe mai fatto il sig. Clemenceau, tentar di gettare un po’ del loro fango sulla nobilissima figura del Generale Gouraud, una delle glorie più belle e più pure dell’odierna Francia, accusandolo di lasciarsi menare pel naso dalle Autorità Ecclesiastiche. Tutto è permesso a degli accecati dai pregiudizi.

Ma sappia la Francia più vera e migliore, quella che da secoli i buoni siriani imparano ad amare, che i messaggeri come il sig. Wellhof son fatti per tutt’altro che per procurar qui i suoi veri interessi, non pochi nè piccoli.

Carte in tavola

L’eteroclito messaggero disse, tra le altre cose, che l’attuale Ministero Briand non era del tutto simpatico al Grande Oriente, ma che malgrado ciò egli credeva di potergli fare adottare, per questi paesi, un programma favorevole ai principii massonici ed alle aspirazioni dei fratelli siriani. Soggiunse poi, spiegandosi più chiaramente, che egli era venuto in Siria per riorganizzarvi, su nuove basi e con quadri nuovi, l’azione massonica; e che oggetto di questa azione doveva essere l’introduzione del laicismo nelle scuole e nelle istituzioni. Non risparmiò gli attacchi al clero e ai Missionari, e finì col promettere una pressione efficace sul Governo di Parigi, perché sia completamente laicizzata la Facoltà francese di Medicina esistente da una quarantina di anni in questa città di Beirut. Questa Facoltà, malgrado la concorrenza della rivale Facoltà americana, divenne, per indiscutibile merito dei Gesuiti che la dirigono, una delle più belle glorie della Francia e un meraviglioso strumento di penetrazione in questi paesi. Ma appunto perciò è un pruno negli occhi della Massoneria locale, in gran parte alimentata dalla Università americana, e, strano ma vero, anche dalla Massoneria parigina.

La quale Massoneria parigina potrà forse, riuscendo nei suoi intenti, far del male al Cattolicismo in queste regioni; ma certo è che ne farà molto di più alla Francia.



Top c. 4 Cap. 5 ↓ c. 6 → § 5e

Sionismo e Palestina:
la situazione vista da un americano.
da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 103, p. 1
1° maggio 1921, Domenica

Può darsi che l’Europa – per la sua vicinanza, per la immediatezza de’ suoi interessi, per l’accalorarsi delle questioni d’Oriente in genere e dei Luoghi Santi in ispecie – non sia sempre obiettiva nelle cronache e nei commenti della sua stampa, per ciò che riguarda appunto i problemi orientali. Il Sionismo, per esempio, non ha nel continente soverchie simpatie; anzi molte e cospicue addirittura contrarie ed avverse. Oltre l’Oceano, le cose del vecchio mondo, sogliono vedersi e studiarsi, ordinariamente con maggiore serenità. Senonchè, a proposito del Sionismo, i giudizi americani non si differenziano nelle loro critiche e riserve, da quelli Europei. Il «N. C. W. News Service» ha, per esempio da Gerusalemme, una corrispondenza che vale la pena di conoscere.

La situazione vista da un americano

La fase del sionismo che – secondo il corrispondente – più riguarda i cattolici è la possibilità di soggiogare i cristiani al governo ebreo, qualora si attuasse completamente il desiderio dei sionisti di fare della Palestina il focolaio nazionale ebreo. Mentre è anche troppo presto per poter giudicare con relativa precisione circa i successi di tale tentativo sionista e dal momento che la lega delle nazioni non ha ancora ratificato il mandato concesso all’Inghilterra di trattare colla Turchia non ancora rifatta, si può pero ritenere certa la impossibilità di istituire uno stato indipendente per gli ebrei in Palestina. La famosa dichiarazione di Balfour diceva:
«Il governo di S. Maestà vede con favore lo stabilimento in Palestina di una terra nazionale per il popolo ebreo e farà di tutto per facilitare il raggiungimento di tale scopo, essendo però bene notare che niente si deve fare a pregiudizio dei diritti civili e religiosi delle comunità non ebree esistenti in Palestina e dei diritti e dello stato politico concesso ai giudei in ogni altro paese. I giudei lessero in tutto il mondo in questa dichiarazione la promessa di adempiere alle loro aspirazioni politiche nel senso completo della parola. Non si sa però quello che il sig. Balfour e il suo governo volesse precisamente dire con tali parole. Se si deve giudicare dai presenti avvenimenti il programma britannico consiste nel dare ai giudei una terra nazionale dove essi potranno essere sicuri da ogni persecuzione che possa sorgere specialmente nelle parti orientali d’Europa. Eguaglianza dei diritti e di concorso dei varii ufficiali, riconoscimento pieno della lingua ebraica accanto all’inglese e all’arabo quale lingua ufficiale del paese sarà certamente concesso. Questo è troppo poco per i sionisti e si legge chiaramente sui loro giornali un sentimento di insoddisfazione e di disillusione. La ricca e potente commissione sionista non tralascerà niente di intentato per restituire veramente il regno d’Israele. Tale elemento aggressivo dei sionisti ha ricevuto finora ben scarso incoraggiamento da sir Robert Samuel, accusato di essere giudeo di religione, ma britannico di nazionalità. In merito alla questione dei rapporti tra religione e nazionalità è importante rilevare che vi è una forte divisione tra i giudei, divisione che ha quasi provocato uno scisma. Gli ortodossi o ebrei vecchi, quelli che hanno vissuto per molti anni in Palestina non hanno a lor volta molta confidenza con l’elemento sionista».
Fin qui la corrispondenza che rispecchia le impressioni americane di un americano in Palestina. Ed ora alcuni rilievi.

Non è a meravigliarsi che il corrispondenti rilevi dei disaccordi fra le sfere puramente sioniste e quelle anglo-sioniste. Le prime non vedono che i propri fini cosiddetti nazionalistici; le seconde non possono dimenticare i rispetti e i riguardi politici soprattutto pel fatto che l’Inghilterra sperisce in Palestina un mandato, non un potere esclusivo, irresponsabile e sovrano.

Statistiche di immigrazione

Tuttavia il movimento sionista ha facile sopravvento, e ampi mezzi per pesare specialmente nelle istituzioni cristiane cattoliche. In seguito infatti all’abolizione dei privilegi riguardanti i forestieri in Palestina sotto il dominio turco, ne vennero più direttamente colpiti gli enti religiosi, le opere di beneficenza, ospedali ecc. in prevalenza francesi, ma tutti cattolici; giacchè i forestieri in Palestina, godenti le immunità soppresse, si identificavano in ecclesiastici regolari e secolari di Francia e d’Italia, e ad alcuni pure tedeschi.

La Croix nota anzi un simbolo doloroso di tutto ciò:
«I soldati francesi ed italiani, la cui presenza dopo il dicembre 1917 ricordava il diritto di queste due nazioni cattoliche»
hanno lasciato Gerusalemme il 25 e 26 febbraio u. s. dopo di aver ricevuta la S. Comunione Generale da Mons. Hellinger rappresentante del Patriarca, che celebrò, espressamente per essi, la S. Messa nella Basilica del Santo Sepolcro la vigilia della loro partenza. Tuttavia i sionisti criticano le clausole del mandato britannico, come non abbastanza favorevoli alle loro mire, con ingordigia veramente inaudita. Perché infatti è all’ombra di quelle clausole e dello… «scarso incoraggiamento» di Sir Samuel che la loro attività ha potuto divenire, da un anno a questa parte, intensissima. Ecco dei dati.

Oltre ai 1200 ebrei espulsi durante la guerra e quindi rimpatriati, si contano, nel 1920, circa altri 10.000, immigrati dalla Galizia, Russia ecc. Il movimento si è poi intensificato durante l’estate – 600 immigrati in luglio, 750 in agosto – e durante l’autunno – 1400 in settembre –. Un ufficio centrale di immigrazione è stabilito in Giaffa con due succursali a Gerusalemme e a Caiffa. La maggior parte dei nuovi venuti conta l’età fra i 18 e i 40 anni, formanti con dei gruppi di pionieri: gruppo agricolo (700), gruppo di ricostruzione e riparazione (1000) ecc. Il Comitato sionista li provvede largamente pel viaggio, il vitto, i risparmi, medicinali, alloggi.

Un grande sforzo è pure stato compiuto nel campo dell’istruzione pubblica sionista, il cui bilancio toccò nel 1920 le 90.000 lire egiziane, circa mezzo milione di franchi. Furono così creati in seno alle colonie ebree, una dozzina di asili infantili, due scuole elementari, una scuola normale per fanciulle a Giaffa che fornirà pel 1922 un primo contingente di maestre per la erigenda scuola normale di Gerusalemme. Di più una scuola di agricoltura della grande colonia Petoh-Tikwa, a nord di Giaffa venne pure ristabilita.

Difficoltà e ostacoli

Non ci sarebbe dunque di che essere insoddisfatti malgrado ogni più prepotente incontentabilità. Ma la verità si è, malgrado tutti questi sforzi, il sionismo come movimento nazionale non alligna fra gli ebrei, così come lo vorrebbero i suoi promotori più fanatici. E non alligna per due ragioni: Perché la Palestina non può offrire all’attività ebraica i vantaggi che essa incontra ovunque si applichi in seno a nazioni e a popoli fiorenti, in terre ricche, in mercati avviatissimi. Coloro che attratti dalle promesse e dalle facilitazioni del Comitato sionista, si mossero verso l’antica terra – e specialmente da regioni devastate dalla guerra o minacciate da reazioni antiseniste [sic] – s’accorsero ben presto che si è ben lungi dall’offrire gli agi della terra promessa; che bisogna invece creare laggiù con nuovi sforzi, ciò che altrove è a portata di mano senza ulteriori fatiche.

In secondo luogo, come nota la stessa corrispondenza americana, gli ebrei indigeni poco si mostrano entusiasti della immigrazione dei loro fratelli, nè invocata nè desiderata; la quale, in attesa di un avvenire di là da venire e da maturare, spartisce e suddivide, i frutti attuali; sufficienti agli indigeni, scarsi se distribuiti a tutti. Ora è chiaro che l’israelita, per quanto abituato a non soverchie simpatie, le sopporti ove esista in compenso qualche altro vantaggio; le abbia in uggia ove bisogna contendere un pezzo di pane e rifare faticosamente la propria fortuna.

Così è che circa 2.500 immigrati dei 10.000 giunti nel 1920, siano già ripartiti, dopo essersi fermati sulle rive del Giordano, poche settimane appena; così è che il malcontento continui e si diffonda. Viceversa i sionisti confidano di determinare una più larga immigrazione ed arrestare quest’esodo fatale, accrescendo i favori ai connazionali, sia pure approvando la condizione degli abitanti mussulmani e cristiani: e battono alle porte del governatorato e del gabinetto di Sir Samuel. Ma la Potenza mandataria non può spingere, nemmeno essa, le cose oltre l’estremo limite, chè sarebbe troppo pericoloso. Di qui lo stato d’animo di tensione e di sorda ostilità fra Comitato e Governo.

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Sionismo e Palestina:
La genesi dei gravi disordini.
da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 109, p. 1
Domenica, 8 maggio 1921

(Nostra corrispondenza). PARIGI, 4 maggio. – Della recente visita di Sir Churchill in Palestina abbiamo già parlato. Ma, per sempre meglio comprendere la situazione e valutarla rettamente, è d’uopo aggiungere qualche notizia la cui natura non era evidentemente tale, da affrettarne la pubblicazione. Il 19 aprile, Sir Herbert Samuel, alto commissario britannico, che s’era recato in Egitto ad incontrarvi l’ospite cospicuo, rientrava in Gerusalemme insieme al ministro inglese. Il loro viaggio si era segnalato per alcuni particolari significanti.

A Gaza, per esempio, circa ventimila manifestanti, avevano preparata una manifestazione di protesta contro la dichiarazione inglese, circa l’istituzione del foyer israelite in Palestina, offrendo al Ministro una prova eloquente dello stato d’animo della popolazione indigena.

A Majdal e a Battir la dimostrazione si ripeté, e siccome precorse la notizia che a Gerusalemme si preparava qualche cosa di simile e forse di più grave, si fece a tempo di prendervi misure rigorosissime, le quali se evitarono l’esplodere di incidenti rumorosi, non ne diminuirono per questo il valore e l’importanza.

Tuttavia giunsero a Gerusalemme, sì al Governatorato che al Ministro notizie preoccupanti dalle provincie.

A Giaffa si erano chiusi tutti i magazzini e i fondachi in segno di protesta, e dispacci interpretanti l’esasperato animo della cittadinanza giunsero in buon numero. Persino le donne della città manifestarono in tal guisa il loro pensiero alla signora Churchill che accompagnava il marito nel viaggio.

A Caiffa ebbero anche luogo sanguinosi conflitti con due morti e numerosi feriti.

Fu in seguito a questi fatti che il Ministro inglese ricevette le rappresentanze indigene e spiegò loro, come a suo parere, la dichiarazione di Balfour, era male interpretata, poiché essa non era contraria agli interessi della popolazione, di cui salvaguardava i diritti per la felicità e la prosperità del Paese. (Vedi Osservatore del 1° maggio).

Naturalmente la parola pacificatrice trovò gli animi prevenuti. Le intenzioni del Governo inglese, così interpretate da Sir Churchill contrastavano con i fatti svoltisi da un anno a questa parte, sotto la invadenza sionistica, non abbastanza infrenata e costretta ad attenersi almeno ai termini della dichiarazione.

Il malcontento quindi rimase; rimase sotto l’impressione che gli scopi perseguiti dai capi dell’opposizione sionistica, durante la permanenza di Churchill, fossero in realtà falliti.

Si susseguirono riunioni, proteste, dimostrazioni, in una diffusa agitazione, da cui presero pretesto alcuni elementi bolscevivi per tentare più gravi sommosse e disordini. Qui è tutta la genesi dei disordini di Giaffa avveratisi il 2 maggio.

In occasione infatti di una manifestazione bolscevica, capitanata dai sionisti russi, è scoppiata una vera battaglia fra mussulmani, cristiani ed israeliti. La polizia non ha potuto infrenarla in tempo e quindi impedirne le conseguenze sanguinose. Fu una giornata spaventevole, durante la quale l’ira popolare si abbandonò alle rappresaglie più gravi. Quaranta morti e moltissimi feriti si contano nella popolazione e soprattutto fra gli ebrei.

Anche a Gerusalemme, provocati egualmente da comunisti ebrei sarebbero scoppiati tumulti cruenti.

L’agitazione antisionista culmina adunque in manifestazioni che, prevedute dai più, non erano evidentemente attese dall’ottimismo delle autorità, che interpretarono la crescente opposizione indigena come un ingiustificato e vano lavorio di alcuni agitatori.

Ma devesi ancora notare che il conflitto assume ora un aspetto tutto nuovo. Per quanto le giornate di sangue si siano chiuse a danno degli ebrei, esse furono provocate dai semiti immigrati, per fanatismo bolscevico. È questo veleno di violenza e follia che si insinua adunque, fra il malcontento generale, e produce i più funesti effetti.

Abbiamo infatti già notato (vedi Osservatore del 1° maggio) come dalla Galizia e dalla Russia meridionale, immigrarono la massima parte di quei diecimila ebrei, che posero piede in Palestina, auspice il foyer israelita, in questo ultimo anno. È chiaro che numerosi elementi rivoluzionari, emissari di quel comunismo russo, che si identifica con l’ebraismo, riuscirono così a penetrare in Terra Santa, profittando di tutti i vantaggi dell’organizzazione sionistica, all’ombra della quale, preparano la sommossa.

Di questa preparazione ebbe una prova irrefutabile l’autorità, nelle numerose perquisizioni eseguite. Centinaia di manifesti rivoluzionari furono sequestrati, destinati ad un appello alle tribù arabe di Palestina in occasione del 1° maggio. Essi tendevano a provocare fra la popolazione un movimento comunista vero e proprio, affermando che gli immigrati ebrei erano «i campioni della rivoluzione contro i capitalisti».

Sia che la popolazione abbia in ciò veduto un pretesto ad un colpo di mano ebraico, per impadronirsi comunque del potere, sia che vi abbia scorto soltanto un altro e più grave lato del pericolo sionista, fatto è che insorse a sua volta prendendo pretesto della provocazione semitico-bolscevica per sfogare le sue vendette.

Giacchè resta appunto a sapersi, di fronte agli avvenimenti luttuosi, se la mossa rivoluzionaria fosse d’intesa coi capi sionisti come già vedemmo ormai sospettosi della stessa Inghilterra e dello stesso correligionario, Sir Samuel, giudicato troppo guardingo e prudente, o se il sionismo, nella sua manìa d’invadenza, siasi solo covata la serpe in seno.

Comunque sia nessun più fiero colpo poteva esser dato al movimento sionista, così di fronte alla situazione interna, come dinnanzi all’opinione pubblica mondiale e allo stesso programma del Governo inglese.

La versione ufficiale

(Nostra corrispondenza). LONDRA, 4 maggio. – Il Governo pubblica la seguente versione ufficiale degli avvenimenti:
«Un gruppo di comunisti israeliti è venuto a turbare una riunione di lavoratori che si teneva il 1° corr. nel quartiere ebreo di Giaffa. I comunisti furono respinti in un’altro quartiere di Giaffa ove con la popolazione mussulmana coabitano gli ebrei.

Si ignora esattamente ciò che sia avvenuto in quel momento; ma ha avuto luogo un grave conflitto fra ebrei e mussulmani.

Molti israeliti e qualche mussulmano furono uccisi. Si dovette far intervenire delle truppe di fanteria e di artiglieria staccate da Lydda, insieme a due auto-blindate richieste a Gerusalemme. I disordini cessarono al loro arrivo e la calma regnò durante la notte.

Alle 2 del mattino i disordini ripresero. Vari ebrei e mussulmani rimasero morti. Furono chiamati nuovi rinforzi.

Le autorità inglesi di Palestina hanno ristabilito l’ordine con il concorso dei notabili ebrei e mussulmani, che riuscirono a pacificare la folla.

Una quarantina di persone sono rimaste uccise di cui 30 ebrei e 10 arabi. Vi sono 142 feriti ebrei e 37 arabi ricoverati all’ospitale. Qualche bottega fu devastata. Le truppe non subirono perdita alcuna. Settanta arresti sono stati operati.

L’Alto Commissario britannico per la Palestina, comunica che la calma regna nel resto del Paese».
La legge marziale a Gerusalemme

Ed ecco un comunicato ufficiale da Gerusalemme in data di ieri:
«Certi indizi facendo prevedere l’avverarsi dei disordini di Giaffa, la legge marziale è stata proclamata nella mattina del 3 maggio per misura di precauzione. Non si è segnalato che qualche isolato incidente.

A mezzodì del 3 maggio tutto era calmo a Nazareth, Caiffa, Gaza e Naplouse».

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A proposito d’una “politique Judaïque”
e d’un “reveil d’Israël”
da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 128, p. 1
30-31 maggio 1921,
Lunedi-Martedi


(Nostra corrispondenza). PARIGI 27. La stampa francese – interprete dell’opinione prevalente nei nostri più autorevoli Circoli politici – si preoccupa da qualche tempo e denuncia un “péril juif” che non manca di documentare, non solo nella sua evidente esistenza per i destini d’Oriente e della Palestina, ma anche per la politica europea.

Il pericolo appare qui, così preciso e così vasto che si parla di “politique judaïque” cui l’Inghilterra darebbe forma e sostanza sotto la pressione di influentissimi elementi ebraici. Non siamo in condizioni ancora di commentare esprimendo, comunque, un pensiero, un giudizio esatto; ma sarebbe trascuratezza imperdonabile non segnalare una corrente di idee, la quale non appare affatto nè infondata nè arbitraria.

La «Revue Hebdomarie», per esempio, cita dei fatti, fa della storia, raccoglie voci incontrastate di cronaca controllabile da chiunque segua da vicino il fenomeno indicato e non si disenteressi di questo complesso periodo di vita internazionale.

«Con l’entrata di Disraeli al Ministero – scrive infatti Roger Lambelin – si può dire senza esagerazione che fu l’“idée juive” che arrivò al potere». Il regno di Edoardo VII ne affretterà il trionfo divenuto incontestabile dopo qualche anno. Noi vediamo realizzarsi l’assioma non ha guari pronunciato dal professore israelita Lombart: «les guerres sont les missions des Juifs et les revolutions aussi».

«Conservatori in Inghilterra – continua testualmente la Revue, – bolscevichi in Russia, repubblicani di tinte diverse in Francia, socialisti in Germania e in Austria, gli ebrei hanno meravigliosamente profittato delle circostanze, delle correnti di opinione, del mutar dei venti.

«Un ufficiale francese desiderava di servire presso i nostri alleati come interprete o come ufficiale di collegamento; si assicurava ch’egli parlasse un po’ l’inglese, ma egli era certo di essere ammesso se la sua domanda fosse stata appoggiata da un Rothschild o da un ebreo “de marque”; M. Joseph Reinach ebbe passo libero al G. Q. G. Britannico».

E dopo questa, veramente non troppo «éclatante éprouve» della potenza ebraica presso i nostri alleati, la Revue cita altri casi e sintomi. Sir John Douglas Haig aveva, per esempio, come segretario particolare sir Philip Sassoon, nipote del barone Gustavo de Rothschild, intimo del Governo, quanto i Rotschilds stessi e sir Rufus Isaacs, divenuto poi Lord Reading.

Alla Camera dei Lords, gli ebrei sono tuttavia una piccola falange e siccome essi cambian di nome nel divenire Pari del Regno, così è difficile scoprirli. Alla Camera dei Comuni essi sono una dozzina e due sono membri del Governo: sir Edwin Mantagu, Segretario di Stato per l’India e sir Alfred Mond, Ministro dei lavori pubblici. Il Governatore del Queensland si chiama sir Mathew Nathan; sir Herbert Samuel è alto Commissario di Palestina e Lord Reading è vice-re delle Indie.

Dal 1919, ventitrè ebrei sono «baronetti» e quindi sono «Knights». Il più diffuso dei grandi quotidiani di Londra, il Daily Telegraph appartiene al visconte Burnaham, che si chiama Levi Lawson come nome di origine il cui padre venne di Germania sulle rive del Tamigi. Sir Alfred Mond è arcipotente alla Westminster Gazette; il Daily Express ha per direttore il signor Blemenfeld. La politica estera del Daily News è affidata a Teodoro Rothstein; quella del Graphic e del Daily Graphic a Luciano Wolf. Nella stampa di Lord Northeliff, possente trust riunente il Times, il Daily Mail, il Sunday Pictorial, l’Evening News, ed una cinquantina di pubblicazioni diverse, si conta un considerevole numero di collaboratori ebrei.

Gli ebrei del Regno Unito dispongono pure di una stampa anglo-ebraica che non comprende meno di sedici giornali e riviste. Sei sono quotidiani: sette sono redatti in inglese, una in ebraico, e le altre in «yiddisch», un dialetto ebreo-tedesco, parlato dai semiti di Russia e dell’Europa centrale. Così pure si segnala l’attività «tanto più efficace quanto più discreta» degli ebrei nelle logge massoniche, alle quali la Allenza Universale, incita i suoi membri ad affigliarsi.

Ora, taluno che ha seguito l’attività sionistica nei grandi Stati moderni sotto lo influsso del razionalismo, sotto la pressione dei grandi interessi industriali e commerciali, e del movimento antireligioso ed anticattolico, non scorgerà forse in questa fioritura semitica inglese un sintomo straordinario, caratteristico, e sintomatico in modo eccessivo. La Germania, l’Austria, l’Italia, la Francia stessa, potrebbero mettere insieme delle statistiche eloquenti, nella politica e nella stampa di affermazioni ebraiche, non inferiori a queste d’Inghilterra.

Tuttavia, qui, si insiste per scorgervi un vero e proprio orientamento politico che avrebbe nei dati sopradescritti soltanto dei punti di partenza. «Uomini di tutte le parti – continua la nostra citazione – si accordano per assecondare la potenza ebraica: radicali come David Lloyd George; liberali come Asquith, socialisti come Smillie, conservatori come  Arthur James Balfour e Lord Robert Cecil».

«Et ainsi – commenta la Libre parole, s’expliquent bien des choses!» E a spiegarle porta il suo contributo Georges Retault nell’Eclair, il quale non esita di sintetizzare la sua critica alla politica del Governo inglese, in queste parole: «est essentiellement une politique judaïque». Per venire a tale conclusione, Retault, sale ad una visione complessa della politica inglese del dopoguerra, e ad una disamina ancor più diligente delle influenze dirette od indirette che agiscono sul Governo di Londra: «È la finanza ebrea internazionale che ha posto il suo quartier generale alla Borsa Londinese – egli osserva – e che ispira il pensiero governativo. Sì da chiamarla responsabile della politica inglese in Irlanda, in Polonia, a Mosca, in Germania, in Palestina».

E i giornali sottolineano queste critiche gravissime notando che l’autore e tutt’altro che un antisemita. Mauro Privat, si fa eco di di queste ormai prevalenti opinioni, nel Matin; la sua tesi ha del catastrofico: «finis Britanniae» addirittura, tanto poco, secondo lui, avrebbe ormai di nazionale di nazionale la politica inglese, per essersi trasformata in politica ebrea. Eppure Albert Monniot gli rimprovera ancora di non aver visto come i sintomi anglo-ebraici, non sono che episodi dell’esecuzione di un piano di insieme». – Il n’a lu ni Drumont ni les Protocoles des Sages de Sion» – ribatte Monniot – «e se li ha letti, li ha scordati».

Ed ecco come tornano in campo i famosi Protocoles des Sages, che avrebbero tracciate al popolo ebreo la via da seguirsi per divenire padrone del mondo, e la cui pubblicazione destò tutta la collera e le proteste d’Israele. Furono dichiarati un falso, furono ritenuti veri; rimasero fra le questioni insolute della storia letteraria. La Documentation Catholique il 14 corr. pubblicò imparzialmente i documenti contradditorii, tanto ridivenne appassionante e di attualità, la questione per le discussioni di cui abbiam fatto cenno.

Ora i Posliednia Novoki, il quotidiano russo diretto a Parigi da Milioukoff ha pubblicato un interessante studio su Nilus, l’autore presunto dei Protocolli, per la penna di du Chayla, cosacco del Don. Fra i suoi ricordi, questo du Chayla, afferma di aver conosciuto il Nilus nella biblioteca di un monastero ortodosso in Russia, e gli parve un uomo sincero, ingenuo, fanatico. Il Nilus, gli avrebbe detto come il manoscritto dei Protocolli appartenesse al giornale Ratchkosky, da cui l’ebbe a mezzo di una donna Natalia Athanassierna K. Il generale, venti anni fa, era capo della polizia segreta russa, e il manoscritto dei Protocolli, sarebbe stato scoperto da lui stesso, in archivi massonici.

Dunque non ne sarebbe Nilus l’autore; ma potrebbe ben esser Nilus l’autore di questa nuova versione, che riporta la questione della autenticità dei Protocolli in alto mare. Ma mentre la discussione storico-letteraria si raiccende e minaccia una volta ancora di procedere all’infinito, lasciando i contradittori ciascuno alla propria opinione, la Croix, fa un’osservazione molto pratica: «Le predizioni dei Protocolli di quaranta anni fa non comincian forse a realizzarsi?» Autentici o no i Protocolli, è autentico il piano israelitico, cioè l’intenzione, lo scopo, la riscossa sionistica.

La cronaca nostra, potrebbe arrestarsi qui; ma non ci sembra giusto saltar a piè pari un avvenimento che, manifesta fra tante discussioni, donde non esula certo, la passione politica, la carità che domina sempre il pensiero e l’attività cattolica. Si è parlato di «réveil d’Israël» anche nella Cappella delle religiose di Notre Dame de Sion; ma di un risveglio che non è minaccia o pericolo, ma vuol essere pia e fiduciosa speranza.

Su questo tema, presente l’Arcivescovo di Parigi, parlò mercoledi l’eloquente P. Barret. Dopo aver detto che non si può negare la gravità del pericolo ebreo, delle ambizioni e deigli odi dei settarii potenti, l’oratore ha rilevata d’altra parte i segni precursori forse di un risveglio d’Israele di cui parlano le Scritture. I prodromi risalgono al patto di Turkenstein del 1797 ed alla conversione di due Ratisbonne: i segni più caratteristici, l’istituzione dei Preti di Sion, la petizione di 510 Vescovi al Concilio Vaticano, implorante la carità della Chiesa verso Israele, il sorgere dell’Arciconfraternita delle preghiere per gli Ebrei, che conta 50.000 membri; la posa della prima pietra della Chiesa delle Nazioni, fatta per mano del Card. Dubois, sul monte Oliveto; e finalmente il notevole movimento di conversione che conduce tanti ebrei in seno alla Chiesa. Di fronte al «piano ebraico» è così un «piano del Signore». Denunciare il pericolo ebraico, è senza dubbio necessario; ma non lo è meno assecondare l’opera delle conversioni che sta tanto a cuore a Benedetto XV.

E i convenuti pregarono infine tutti insieme per la conversione degli ebrei. Dall’anima generosa della Francia non parte così soltanto un grido d’allarme; bensì anche un grido di carità cristiana.


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Sionismo e Palestina:
nuovi torbidi.
da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 144, p. 1
18 giugno 1921,
Sabato

(Nostra corrispondenza particolare). PARIGI, 15. – Si ha dal Cairo che la Stampa egiziana reca notizie di nuovi torbidi in Palestina, provocate dallo stato d’animo creatosi nella popolazione indigena cristiana e musulmana contro il sionismo, ed inasprotosi dopo gli ultimi avvenimenti che alla palese simpatia della suprema autorità civile per gli ebrei, aggiunsero i moti bolscevico-israeliti del maggio scorso.

È noto che la risposta data da Sir Churchill quando passò di Gerusalemme, ai notabili cristiani e mussulmani costituì una grave delusione per i Comitati nazionali, i quali si dovean poco dopo veder negata l’udienza chiesta al Principe di Galles a cui intendevano presentare un loro memoriale circostanziato di fatti e di proteste. Il Governatore, avea semplicisticamente risposto, che il Principe era un ufficiale inglese e non un funzionario del governo.

A far passare dalla protesta all’azione, questo movimento antisionista, – su cui le autorità autorità competenti, s’illusero al punto da smentirlo a sè, al governo metropolitano, alle Potenze, – intervennero le violenze degli ebrei russi, non si sa ancora se nate da una congiura postuma alla loro immigrazione o per mandato bolscevico.

I torbidi, pertanto che si annunziano, assumerebbero l’aspetto, secondo i Comitati nazionali, di una difesa diretta di fronte all’inerzia se non al favoreggiamento avversario dell’autorità. Il centro ne’ è Giaffa, ove si è organizzato addirittura un boicottaggio contro gli ebrei, a cui si chiudono mercati, cantieri, alloggi, nel modo più intransigente. Da Giaffa il boicottaggio si espande nei centri maggiori.

Ad aggravre la situazione intervenne la notizia dell’arrivo di mezzo migliaio di ebrei, per via di mare, ciò che ha confermato i cristiani e i mussulmani, che la deprecata immigrazione ebraica, considerata ormai come uno sfruttamento ed una sfida, continua secondo i piani sionistici tutelati dal governatorato. Gli animi eccitatissimi portarono già a delle vittime: in un tumulto un ebreo ferito offrì il pretesto per un più vasto conflitto in cui perdettero la vita tre ebrei e rimasero feriti otto ebrei e un mussulmano.

Ma al Cairo si pensa che questo non sia che un episodio di più vasto disegno; forse un’inatteso e intempestivo inizio di cose peggiori, provocato dai nuovi immigranti. E se ne hanno seri indizi. Il fatto per esempio che le persone più influenti, i più noti dirigenti del movimento nazionale anti-semita, fanno lasciare le città alle proprie famiglie e che i Comitati vigilano perché con queste non ne escano gli uomini capaci di combattere, offre una ragionevole induzione che qualche cosa di grave si prepari.

L’esodo delle famiglie, specialmente delle donne, dei bambini e dei vecchi, è impressionante e si indirizza prevalentemente verso Damasco. C’è da augurarsi che l’Inghilterra intervenga a tempo, che l’Intesa prenda a questa dolorosa e grave questione l’interesse che si merita per la stessa tranquillità in Oriente, già troppo profondamente turbata. La parola Pontificia in proposito appare un monito alla vigilia di pericoli minacciosi.

Una buona occasione, per dimostrare ed attuare tutte le possibili buone volontà sta per presentarsi. Si annuncia che i Comitati nazionali, hanno deciso, di interessare direttamente le Potenze della questione, convinti come sono che i loro memoriali e le loro proteste presentate a mezzo del Governatorato della Potenza Mandataria non arrivino nemmeno a Londra. A tal uopo fu nominata una Commissione di tre notabili: Mons. Gregorio Haggiar, basiliano, vescovo greco-cattolico-melchita di Tolemaide o San Giovanni d’Acri, pei cristiani; di Kuhi Abdul Hadi pei mussulmani; e Negib Nassar uno dei più attivi capi del movimento. La pace e l’avvenire della Palestina, richiedono, che non si commetta l’irreparabile errore di render vano comunque il viaggio di questi Commissari in Europa.



Top c. 8 Cap. 9 ↓ c. 10 → § 9e

Sionismo e Palestina:
il pericolo della “Nazione ebraica” in Palestina.
da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 148, p. 1-2
23 giugno 1921, Giovedi

A continuare la diligente documentazione che il nostro giornale si studia di fare, del più interessante e, per molti aspetti, del più grave avvenimento politico attuale, e cioè dell’opera sionistica in Terra Santa, non ci sembra di dover trascurare, una lucida e sintetica nota di Crispolto Crispolti, pubblicata nel vol. VII, fascicolo XXXVI della Rassegna Italiana, sotto il titolo: «Il pericolo della “Nazione ebraica” in Palestina». Soltanto, osserviamo subito, che alcune premesse alla nota, meritano una precisa rettifica.

Essa prende infatti le mosse dalla Circolare che nell’ottobre 1920 Mons. Barlassina, Patriarca latino di Gerusalemme, inviò a quelle Comunità Cattoliche, e in cui, secondo il Crsipolti, si peccava di soverchio ottimismo. Perché il Patriarca, in seguito ad un colloquio con Sir Samuel, si sarebbe appagato di vaghe parole cortesi, per dedurne senz’altro e credere «di aver ridato tranquillità non pure ai Cattolici di Terra Santa ma a tutti i Cattolici del mondo». Ottimismo questo – il cui esempio – sempre secondo il Crispolti «veniva del resto dall’alto»: cioè dal Papa dopo la udienza accordata allo stesso Samuel durante il suo passaggio per Roma, quand’era diretto laggiù ad assumervi l’alto Commissariato Britannico. «Dissero allora i giornali che rispecchiano il pensiero della Curia che il Pontefice era rimasto assai confortato – scrive la nota – dalle dichiarazioni» del funzionario Inglese. E conchiude che «la facilità» con cui il Patriarca ed il Pontefice si dichiararono «soddisfatti ed ormai tranquilli, sulla sorte della Palestina, fu ben lungi dal farsi strada nell’animo» di quegli indigeni.

Ora è da rilevare che Mons. Barlassina, rendendo conto della sua visita – doverosa e opportuna di fronte allo stato degli animi eccitati e per la prudente speranza di servire alla causa della pacificazione e dell’ordine – scriveva nella sua citata circolare come ricevendolo «col dovuto rispetto e cortesia» il Governatore, lo avesse «assicurato che tutti gli interessi religiosi saranno tutelati»; ed aggiungeva: «Questa dichiarazione, che senza dubbio sarà confermata dai fatti dovrebbe rassicurare».

È chiaro che qui d’è soltanto l’ottimismo del galantuomo che non ha ragioni preconcette di dubitare della parola di un’alta autorità, la quale dovrebbe almeno indurre all’attesa della conferma dei fatti. Nessuna illusione, nessuna facilità: solo quell’onesta fiducia, che si manifesta tuttavia prudentemente… con il verbo condizionale.

In quanto all’altro ottimismo che il Crispolti attribuisce al Papa non sappiamo esattamente quali giornali «rispecchianti il pensiero della Curia e del Pontefice» ne abbiano parlato: certo il nostro, no; e non ci sembra questo un particolare trascurabile.

* * *

Ed ora ecco, che cosa scrive, dopo di ciò, l’interessante nota: «Non crediamo di errare se affermiamo che, quando i governi italiano e francese, per bocca del Barone Sonnino e del signor Pichon, diedero la loro adesione alla dichiarazione fatta da Lord Balfour, il 2 novembre 1917, a Lord Rotschild, circa il National Home che gli ebrei avrebbero ottenuto in Palestina, ben pochi nel nostro paese e in Francia compresero il pericolo che dietro quella dichiarazione si conteneva.

Il Sionismo se rappresentava da anni un movimento reale era, però, ritenuto generalmente un sogno di esigui gruppi ebraici, che avrebbe trovato si o no lo appoggio di un’elemosina da parte di qualche banchiere frequentatore di Sinagoghe, non un forte finanziamento da parte del più grande organismo internazionale. Quanto all’Italia, le ansie della guerra in Europa di cui non si scorgeva la fine e molto meno la conclusione vittoriosa, e che volgeva in quel tempo avversa alle nostre armi, distraevano l’opinione pubblica dall’assetto di territori che soltanto per l’Inghilterra sembravano rientrare nel giuoco della mal certa vicenda militare.

Giova aggiungere che il proposito di creare in Palestina una National home per gli ebrei, non fu inteso allora nel suo reale e concreto significato, nè pure dai governi; forse nè meno nel programma primitivo di Lord Balfour era sorta la idea di gettare le basi di una vera e propria nazione giudaica.

L’accordo franco-inglese del 9-16 maggio 1916 – comunicato anche al governo russo – stabiliva di porre la Palestina sotto il controllo internazionale; e l’accordo anglo-franco-russo del 6 marzo 1917, dichiarava che, per garantire gli interessi religiosi dei Paesi Alleati «la Palestina, con i Luoghi Santi, saranno separati dal territorio dell’Impero turco e sottomessi ad un regime particolare conforme ad un accordo fra Russia, Francia e Inghilterra».

A tali accordi pareva dovessero ispirarsi i successivi patti fra le Potenze; ed il regime del mandato per la Palestina, deciso a San Remo nell’aprile 1920 e fissato il 10 agosto nell’art. 95 del trattato di Sèvres, nel quale veniva pure inserita la dichiarazione di Lord Balfour, sembrava sanzionare tali decisioni, tenuto conto del carattere del regime del mandato, quale risulta dall’art. 22 del Covenant della Società delle Nazioni e dei vincoli che a tale regime vengono imposti.

Senonchè, nei fatti, tale regime doveva subire profonde trasformazioni, quali risultano dalla politica che il governo britannico sta seguendo in Palestina e dal progetto di Statuto per il mandato su di essa presentato il 22 febbraio di quest’anno dal Foreign Office al Consiglio della Società delle Nazioni, cui ne spetta l’approvazione.

Il Governo britannico non ha aspettato troppo tempo per dimostrare che considerava la Palestina, come terra di conquista. Ed esso – il quale, più di ogni altro governo europeo, svolge la sua azione politica, sotto un rigoroso controllo dell’Internazionale ebraica, ha denaturato il concetto di National home enunciato da Balfour e dal foyer national del signor Pichon, accettando, piuttosto, il criterio di formare in Palestina un Centro nazionale ebraico; traducendo, così, in realtà quella che era stata solamente una infelice espressione del nostro ministro degli esteri.

Ed oggi, il Centro nazionale ebraico, è effettivamente il nucleo della futura «Nazione ebraica», cui lavorano per uno scopo comune i finanzieri israeliti del mondo. Per intendere quale prevalenza sia intanto per assumere l’elemento ebraico in Palestina, basta leggere la parte fondamentale del progetto di statuto presentato dall’Inghilterra.

Secondo tale progetto (articolo 4), una «Agenzia ebraica sarà riconosciuta come corpo pubblico, allo scopo di cooperare l’amministrazione della Palestina in quelle materie economiche, sociali ed altre che possono essere in relazione con la creazione del Centro nazionale ebraico, e con gl’interessi della popolazione ebraica della Palestina, e, sempre sotto il controllo dell’amministrazione, di aiutare e di collaborare allo sviluppo del paese». «L’amministrazione della Palestina (art. 6) pur vigilando a che non sia recato pregiudizio ai diritti e alla posizione delle altre parti della popolazione, faciliterà l’immigrazione ebraica, creandole condizioni favorevoli ed incoraggerà, d’accordo con l’agenzia ebraica, gli ebrei a stabilirsi in Palestina, anche in quelle terre del demanio e nelle zone incoltivate che non siano state requisite dal governo per scopi di utilità pubblica». «L’amministrazione della Palestina (art. 7) dovrà promulgare una legge di nazionalità. Questa legge comprenderà varie disposizioni destinate a facilitare l’acquisto della nazionalità palestinese agli ebrei che fissino il loro domicilio in Palestina». «L’amministrazione potrà accordarsi (art. 11) con l’Agenzia ebraica per costruire o intraprendere, a condizioni normali e convenienti, tutti i lavori e i servizi di pubblica utilità e per sviluppare le risorse nazionali del paese per quanto questi non siano intrapresi direttamente dall’ amministrazione».

Gli articoli di tale progetto esprimono ben chiaramente quale dovrebbe essere – nel programma del governo inglese – l’avvenire della Palestina. Ce lo dimostra ancor meglio – e non ce n’era bisogno – uno degli organi del sionismo – l’Israel, nel numero del 24 febbraio, quando afferma: «È inutile sottolizzare sul contenuto della formula giuridica che siamo riusciti ad ottenere; se anche tutte le potenze concordi oggi ci avessero detto di volerci dare «lo Stato», noi non lo avremmo voluto perché non siamo ancora in grado di averlo. Domani, quando con il nostro lavoro ci saremo messi in grado di averlo, lo Stato ebraico sarà, quale che sia l’ampiezza della formula…», e poi ancora: «il mandato britannico è la base, lo jesod vero e proprio sul quale l’edificio di tutto il futuro Israele potrà appoggiarsi». Ed il proposito britannico di dare appunto. «lo stato agli ebrei» ha avuto la sua prima affermazione nella scelta di un israelita ad Alto Commissario.

Ora non v’ha dubbio che, non ostante la dichiarazione circa il National home inserita nel trattato di Sèvres, non rsiponde allo spirito del regime del mandato un assetto territoriale il qaule affidi a una minoranza il governo di una maggioranza. E ciò ha formato la base della agitazione che l’elemento arabo-musulmano ha iniziato contro il progetto di statuto britannico e contro l’elemento ebraico. Tale agitazione – malgrado i tentativi compiuti ed ancora non abbandonati da Winston Churchill – non è più contenibile nelle forme legali di platoniche proteste, ma già si concreta in una azione popolare che risponde ad una vasta organizzazione e già arrossa di sangue la terra della Palestina. Non siamo che al principio; ma ciò è già sufficiente a dimostrare che il mandato britannico in Palestina, anzichè apportare finalmente la pace nella vasta regione, apre il campo ad una serie di torbidi le cui conseguenze non possono essere calcolate, ma non appariscono certo liete nè pure per quell’elemento ebraico sionista, il quale non esita a proclamare oggi il proprio trionfo.

Ma se il diritto degli arabi è sul punto di affermarsi vigorosamente con i fatti, e già trascende nell’azione diretta per evitare un dominio repugnante all’elemento musulmano, sia sotto il rispetto religioso, sia sotto quello politico, il Consiglio della Società delle Nazioni non può dimenticare anche i diritti dei cristiani in genere e dei cattolici in specie. I quali se per essere meno numerosi e forti dell’elemento arabo, contengono la loro protesta contro la minaccia ebraica nei limiti della legalità, legittimamente, tuttavia, pretendono che i loro diritti morali e materiali non vengano minacciati e vulnerati.

La violazione che d’ogni principio di libertà e di ogni storica tradizione si sta tentando in Palestina, non può essere tollerata dal Consiglio della Società delle Nazioni, se non si vuole che il suo atteggiamento rappresenti la esplicita confessione che la Società stessa non è che un organo britannico al servizio dell’ebraismo.

Le nazioni latine non possono – senza rinnegare i loro diritti secolari, consacrati con il sangue e con il martirio, – non chiedere ed ottenere che il progetto di statuto presentato dalla Inghilterra subisca profonde modificazioni e che il governo britannico limiti il programma nel quale si è ingigantita la primitiva formula di Lord Balfour.

Se ciò non dovesse avvenire, non solo la Terra Santa dei Cristiani sarebbe perduta per la cristianità, non solo sarebbero conculcati i diritti della maggioranza non ebra, ma ciò vorrebbe dire che con la complicità di tutte le Potenze alleate si è cercato di cancellare duemila anni di storia proprio là dove essa ha preso inizio, dove sono eretti i suoi più antichi monumenti, dove sono contenute le sue più sacre reliquie. Ma vorrebbe dire, altresì, che, sostituita, in apparenza, al dominio ottomano la libertà delle nazioni cristiane, queste hanno, in realtà, decretato la nuova più dura oppressione del Paese di Gesù. Non curando se la terra che sembrava finalmente dovesse essere riconsacrata alla pace si prepara – pel riaccendersi violento delle lotte di religione e di razza – a tingersi nuovamente di sangue».

* * *

Non si potrebbe neglio riassumere una situazione, che troppi i quali non sanno e non vedono, e molti che non vogliono sapere ne’ vedere, si ostinarono e si ostineranno a misconoscere nella sua gravità. Solo, dal canto nostro, accenniamo qui, al pensiero già chiaramente espresso, in varie nostre corrispondenze.

L’incendio sanguinoso che minaccia di tormentare la Palestina, e i cui eccessi, pur ricadenso a maggior danno dei provocatori, saranno sempre deplorevolissimi, quanto sono deprecabili, non sarà contenuto certamente tra i confini della Terra Santa, ma divamperà in tutta quella agitata parte dell’Oriente, dove da molto tempo si attende una pacificazione non meno ipotetica, purtroppo di quella d’Europa.

Con questa differenza: che qui, i freni di molteplici interessi, non mancano a contenere il malcontento: mentre laggiù non esistomo, soprattutto fra popolazioni meno disciplinate, più impetuose e di civiltà diverse e contrastanti.



Top c. 9 Cap. 10 ↓ c. 11 → § 10e

Sionismo e Palestina:
misteriose trattative fra Sir Samuel e il suo Governo.
da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 153, p. 1
29 giugno 1921, Mercoledi

(Nostra corrispondenza). PARIGI, 25. - L’alta parola del Santo Padre sulle condizioni della Palestina, ha potuto aggiungere al carattere prevalentemente politico del grave problema orientale, quello religioso e morale che allarga ed innalza – interessandovi tutto il mondo cristiano – la penosa questione.

Il Governo Palestinese, sotto il cui nome ormai meglio che non quello dell’Alto Commissario Britannico, si ama parlare dei destini di Terra Santa, ha dovuto per forza convincersi che il conflitto antisionistico, non poteva essere considerato in Europa, come frutto di soli antagonismi religiosi, nè come semplice reazione contro la infiltrazione bolscevica: e soprattutto non lo era, in realtà, in Palestina.

Quivi è una fra le più ardenti e vive questioni del diritto dei popoli, a vivere, a lavorare, nella terra patria, e provvedere alle sue sorti, senza il prepotente intervento di sogni archeologici-sentimentali, e politico-commerciali d’altrui. Non quindi una questione interna, ma internazionale; non specifica e particolare ma pregiudiziale, dinnanzi a cui la Potenza mandataria non può prescindere dal pensiero e dalle decisioni delle Potenze mandanti.

Tale indicazione viene da una duplice fonte, da due differenti indicazioni ma concordi: dal popolo palestinese, che ha durante le ultime tumultuose dimostrazioni, inneggiato alle Potenze dell’Intesa, alla Francia, soprattutto e all’Italia, dinanzi ai cui Consolati in Giaffa, si acclamò al loro intervento e dalla parola del Sommo Pontefice intesa a richiamare l’interessamento delle Potenze stesse, su fatti e problemi, i quali non rientrano nel campo dell’ordinaria amministrazione di un Paese.

Il Governo Palestinese, pertanto, muove prudentemente ai ripari. Nell’ultima corrispondenza (v. Osservatore del 23 corr.) rilevavamo il fermento minaccioso in tutto il Paese, o le proteste gravissime sorte per l’annunciato sbarco di nuovi immigrati ebrei, che le popolazioni si apprestavano di impedire persino con la forza. Ne è chiaro il riflesso in questa nota, diramata, secondo l’Alif Ba Damasco, fino dal 14 Maggio alla stampa palestinese, da quel Governo, e più tardi resa nota ai quotidiani di tutti i paesi:
«Si fa noto a tutti gli abitanti che S. E. l’Alto Commissario è attualmente in trattative ininterrotte con il Governo della Gran Bretagna a Londra per la risoluzione di alcune questioni di rilievo che concernono l’attuale momento sociale della Palestina e la sua prosperità.

Il Governo Palestinese nutre fiducia che tra non molto le circostanze gli permetteranno di rendere di pubblica ragione l’andamento delle trattative stesse e l’esito che avranno sortito. Esso poi comunica alla popolazione che l’immigrazione sionista nel paese resta da questo momento sospesa».
Dette trattative misteriose fra Sir Samuel e il suo Governo, e del loro eventuale risultato il popolo non si preoccupa soverchiamente, perché si fa sempre più vasta e profonda nelle masse la persuasione, che, a risolvere il problema palestinese, Londra non basti e non possa farlo da sola, e perché, l’esperienza ormai avverte dopo la visita di Churchill, che nella metropoli non vivano e non agiscano minori simpatie e influenze sionistiche che a Gerusalemme.

Ciò che invece ha provocato le più aperte e significative dimostrazioni di giubilo, come pe run autentica e concreta vittoria, si fu l’annunzio dela sia pur temporanea sospensione della immigrazione ebraica. Non mancarono è vero le proteste sionistiche e alte e forti come per il sacrosanto diritto leso ed un patto ben chiaro improvvisamente vulnerato. Ma tutto ciò parve inopportuno ed inabile allo stesso Governo Palestinese ed all’Alto Commissario, siccome manifestazione pericolosa, in momento delicato, di una intransigenza irriducibile e di un proposito ostinato da parte dei Sionisti e di impegni tassativi e difficilmente modificabili da parte dell’Inghilterra.

Comunque sia le popolazioni palestinesi non disarmano; e si ingannerebbe chi potesse illudersi di addormentarne i vigili sospetti, con questi temporanei provvedimenti, e con sì superficiali mitigazioni di un programma che pende, malgrado tutto sulla Palestina, come una fatale spada di Damocle. Il popolo attende e i Comitati lavorano, traendo dalla breve tregua, maggior forza per organizzare la loro resistenza. Frattanto – fatto notevole – secondo le prime notizie che se ne hanno la parola pontificia è sopraggiunta ben eloquente e confortatrice.

Non eran mancate insinuazioni secondo cui, il Patriarca di Gerusalemme e il Papa, si sarebbero troppo facilmente accontentati delle assicurazioni di Sir Samuel; e la voce non incontrò fiducia nel Paese, ebbe, almeno diffusione interessata all’estero. L’Allocuzione concistoriale sfata simile asserzione – intesa a far credere che i Comitati indigeni restavano abbandonati a sè stessi, persino dalla più alta autorità religiosa della terra – e il Patriarca riafferma agli occhi di tutti il suo prestigio, non solo di fronte ai cattolici ed ai cristiani, ma ai mussulmani stessi, già da tempo insospettiti che l’ortodossia greca, non ostacoli il sionismo, per i suoi disegni di espansione in oriente. Fatto è che la portata dell’intervento del Papa è così significativa, che non manca chi corra ai ripari e tenta di falsarne il contenuto. Secondo La Bourse – bel nome ebraico – del Cairo, per esempio, l’accenno del Papa alla profanazione dei Luoghi Santi è accolto con ironia poiché ci assicura che quando parla di ritrovi mondani il Pontefice intende evidentemente riferirsi al fatto che Gerusalemme comincia ad essere una città moderna e civile, comoda e sicura. E si aggiunge: «Il fatto è che – se non come la Mecca – per lo meno come la Città Santa di Roma, Gerusalemme comincia a avere oggi strade illuminate e praticabili, buoni alberghi, caffè e persino cinematografi».

La Bourse confida persino che il signor Jonnart persuaderà il Papa che la sua buona fede è stata sopresa. Ora i circoli sionistici fingono di dimenticare, sol perché fa loro comodo, come essi medesimi, ebbero troppa fretta, di annunciare, sin dall’inverno scorso, i loro disegni sfruttatori del bel suolo di Terra Santa, e noi stessi, documentammo (v. Osservatore Romano, 25 Febbraio).

Un giornale sionistico di Palestina recava che una grande società si era costituita colà con lo scopo di preparare in alcune parti del paese, e nominatamente sul Carmelo luoghi di villeggiatura, largamente provveduti dei più raffinati mezzi di comodità e di lusso. Con questo mezzo la società contava di attirare gli Egiziani i quali fino adesso villeggiavano parte nel Libano, parte in Europa. Secondo alcuni, – notava il giornale – questi soggiorni estivi faranno concorrenza al Libano sia per la maggiore vicinanza che hanno con l’Egitto, sia perché i promotori sono disposti ad adoperarsi con ogni impegno per arricchirli di comodi e di mezzi di divertimento. I gravi disagi che l’estate scorsa incontrarono i villeggianti affluiti dal Libano, disagi dovuti principalmente alle difficoltà di trasporto e di comunicazione, fanno sperare agli imprenditori della suddetta opera un lusinghiero successo.

Non si tratta adunque precisamente di tramvie, di buone strade, e di buoni alberghi, piuttosto di case da giuoco, con tutto ciò che suole interessarle, nei maggiori centri di piacere del mondo: sicchè se fosse vero che il Papa fu sorpreso nella sua buona fede, lo sarebbe stato dagli annunzi degli stessi ebrei non usi – in fatto di sfruttamento commerciale – ad ingannarsi. Ma senza attenersi alle testimonianze ebraiche, da questo lato piuttosto guardinghe e circospette, è ormai noto che non solo sul Carmelo, ma in Galilea, nei luoghi della maggior poesia evangelica, l’Israele commerciale intende piantare i suoi lussuosi padiglioni ed ospitarvi i gaudenti internazionali.

Siamo così al più delicato e forse più decisivo volto della questione; poiché è ormai la coscienza cristiana che si desta accanto a quella indigena di Palestina.


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Sionismo e Palestina:
l’introduzione del bolscevismo.
da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 157, p. 1
4-5 luglio 1921,
Lunedì-Martedi

(Nostra corrispondenza). PARIGI, 2 luglio. - Mentre la Commissione dei Comitati indigeni, muove verso l’Europa per esporre direttamente ai Governi, quanto cristiani e mussulmani affermano che non fu mai loro riferito, nè da Gerusalemme, nè da Londra, sulla reale situazione della Palestina, ne continua la documentazione attraverso qualche giornale cui giunge qualche rara corrispondenza recapitata senza censure.

Il Tablet per esempio, rievocando aneddoti impressionanti delle giornate sanguinose di maggio, riferisce una constatazione del capo o sindaco di una delle principali colonie «Rothskild», centri esclusivamente ebrei. Sono trenta e più anni – diceva questo maire, al corrispondente stesso del Tablet – che vivo in questa colonia ebrea: mai ebbi noia alcuna dagli Arabi fino all’inizio dell’attuale movimento sionista che rovina tutta l’opera nostra. Un ebreo di Giaffa dichiarava a Gerusalemme il 2 maggio: «Non sono gli Arabi, no, non sono gli Arabi; ma i nostri correligionari che spinsero gli Arabi ad attaccarci».

Come ho avuto occasione di accennare in altra corrispondenza (v. Osservatore del 1 maggio) l’elemento ebreo indigeno non si avvicina più dei mussulmani e dei cristiani, agli immigrati sionistici, nè meno nè ne temono il movimento invasore e sopraffattore. Per tutti i Palestinesi, gli ebrei compresi, il sionismo non appare ormai che come un’arma politica inglese a cui si accoppia, tacitamente, nella speranza di tranquillizzare i cristiani almeno, il movimento nazionalista greco in Oriente per la lunga mano della Chiesa Greco-ortodossa.

Per reazione, sempre più manifesta, le simpatie verso la Francia ed il Patriarcato latino di Gerusalemme si accentuano; verso l’una pe’ suoi interessi contrastanti a quelli inglesi, verso l’altro per la sua indipendenza d’ogni politica perturbatrice in Palestina. Per le stesse ragioni l’Italia non manca di popolarità. Autorevoli ed esperti indigeni ritengono che una consultazione popolare assegnerebbe il 99 per cento dei voti alla Francia. A tutto questo si aggiunga la minaccia sempre più grave del bolscevismo che gli indigeni giudicano una epidemia importata dagli immigrati sionistici; epidemia che proprio in questi giorni un fiero movimento antisemita americano, denunciava in America, provocando provvedimenti ben diversi.

Moussa Kazaiur Hosainy, presidente del Comitato esecutivo antisionistico ha avuto occasione in questi giorni di dire:
«Abbiamo continuamente avvertito i governi alleati del fatto che gli immigrati ebrei introducono e divulgano in Palestina i principii del bolscevismo: ma non fummo ascoltati, sebbene il Governatorato stesso non ammettesse che i disordini del maggio scorso siano stati provocati dagli Ebrei e da essi iniziati. Noi chiediamo quindi che l’immigrazione cessi».
Non si tratta quindi solo di sospenderla, si tratta di provi termine definitivo: il che vorrebbe dire il fallimento del Sionismo. Non sarà facile che a Londra si ceda su questo punto: ma in Palestina nessuno dubita che ci si arriverà. L’accoglienza che la Commissione antisionista avrà in Europa, pende come spada di Damocle, sullo stato attuale delle cose. Dalla risposta che essa recherà, dipende infatti o la pace rifatta dalla sconfitta sionistica o una lotta senza quartiere.

Giunge pertanto in buon punto il Congresso Sionista di Praga indettovi per 18 luglio con carattere addirittura mondiale. Il Sionismo sente di aver troppo osato e che gli manca terreno ogni giorno di più: ha bisogno quindi di rialzare, se gli riescirà, le sue azioni riesponendo il suo programma e tentando di renderlo più accetto che ormai non lo sia all’opinione pubblica mondiale. Sarà il tuo uno sforzo notevole. Circa un centinaio di notabilità ebree, hanno inviato la loro adesione preventiva e la promessa del loro intervento. I più grandi nomi della finanza internazionale e degli affari figurano così fin d’ora tra i congressisti. Tuttavia non sarà facile, nemmeno a quest’ultra potente manipolo di oligarchi della plutocrazia d’ogni gente, superare i molti scogli di un mare ormai infido: poiché come le regole anche i proverbi, hanno le loro eccezioni. Non è sempre detto che l’oro possa veramente tutto.


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Il Congresso Sionistico
da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 205, p. 1
31 agosto 1921, Mercoledi

L’Agenzia Stefani comunica da Carlsbad 30 che il 1. settembre si inaugureranno colà le sedute del XII Congresso sionistico mondiale. Data l’importanza assunta – continua il comunicato – dalla questione sionistica, e dalle rivalità tra ebrei e arabi da un lato, e tra le Potenze dall’altro sull’assetto della Terra Santa, i deliberati del Congresso avranno notevole influenza oltrechè sugli ebrei di tutto il mondo per un maggiore impulso al loro movimento, anche sui buoni rapporti tra le Potenze. In settembre infatti sarà discusso dinnanzi alla Lega delle Nazioni il progetto del mandato inglese sulla Palestina.



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Sionismo e Palestina:
le promesse contradditorie di Balfour.

da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 216, p. 1
12-13 Settembre 1921, Lunedi-Martedi

(Nostra corrispondenza). PARIGI, 9 settembre. – Alle discussioni ed ai voti che si vanno pubblicando del Congresso Sionista, fa riscontro una pubblicazione dell’Alif Ba di Damasco circa le dichiarazioni di Mosè Kazem Pascià, Capo della Delegazione Araba di Palestina in Europa, fatte alla stampa durante il suo passaggio per Alessandria d’Egitto.
«Siamo stati eletti e mandati a Londra per reclamare a nome del nostro paese l’abolizione della promessa di Balfour e la soddisfazione di tante altre aspirazioni di un popolo che lotta per non lasciarsi strappare dalle mani ciò che ha di più caro, cioè la patria. Durante la guerra l’Inghilterra impegnò gli Arabi nella lotta contro i Turchi che pure erano loro correligionarii e in compenso prometteva al Re Hussein la costituzione di un regno arabo bene organizzato. In appresso fece anche agli ebrei la celebre promessa di Balfour. Di queste due promesse, la prima è giusta ed attuale, la seconda però non punto conforme al diritto ed è quindi irrealizzabile.

La Palestina è terra nostra; l’abbiamo ereditata dagli avi e la dobbiamo tramandare ai posteri. Non è di competenza di nessuna potenza intromettersi nelle faccende di questo nostro possesso ereditato da secoli. E se i Giudei avessero sulla Palestina qualche diritto, lo avrebbero dovuto far valere da parecchie centinaia di anni.

Kazem Jascià disse ancora: Abbiamo subìto un’amara delusione. Ci ribellammo alla Turchia ma cademmo in mano agli ebrei immigrati dalla Russia, dalla Polonia e da altri paesi e imbevuti dello spirito bolscevico. Costoro hanno occupato le più importanti cariche e imposto leggi e imposizioni al popolo. Anzi nuovi uffici sono stati istituiti con stipendi esorbitanti e affidati ad Israeliti, senza che ve ne fosse bisogno. Onde si ha che il paese versa in deplorevoli condizioni economiche e morali, mentre i nazionali, sono tenuti lungi dalle cariche pubbliche. Abbiamo sentito il dovere di gridare alto sulla stampa, ma la censura ci ha sempre chiuso la bocca.

Per questo il popolo ha riposto in noi la fiducia e ci ha affidato la missione di compiere i più grandi sforzi per revocare la promessa di Balfour, abolire l’idea di un centro nazionale ebraico e sospendere l’immigrazione sionista fin tanto che non sarà eletto un Parlamento nazionale. La nostra forza poggia sul diritto che il mondo ci riconosce e ci aiuta perciò a conseguire. Anche in Inghilterra, il pubblico è a giorno dei pericoli che attendono la Palestina.

È inutile poi ricordare che tutto il popolo Palestinese è compatto dietro di noi, e sempre ci accompagna coi suoi voti. La dimostrazione con cui ci ha salutato il giorno della partenza è di ciò una garanzia sicura. Anche le signore riempivano le vie e ci gettavano fiori, e, non paghe ancora, spargevano sopra di noi nelle carrozze oro e gioielli, invocando lo spezzamento del giogo sionista. Un popolo che con sì nobili segni afferma il suo amor di patria, è evidentemente maturo per il Governo di sè stesso. Che se l’Inghilterra non volesse ciò ammettere, ci faccia essa stessa da guida, ma non affidi tale compito al Sionismo. Poiché gli ebrei mentre dichiarano di voler rinnovare i fasti della loro storia in una terra che portava il loro nome, in realtà mirano solo ad avere una valvola di sicurezza per sfuggire alla reazione che irromperà contro di loro dall’Europa Orientale, dove i loro principii bolscevichi e i tentativi di dominare il mondo ha gettato la Russia e la Polonia nella più nera desolazione.

Abbiamo gridato a perdifiato contro le funeste conseguenze del Sionismo. Ecco perché ora abbiamo deciso di andare a Londra per esporre colà i guai che ci ha arrecato questo fenomeno, lasciando poi al mondo civile di giudicare la nostra causa».
Tali dichiarazioni non sono che il riassunto di un dettagliato memoriale presentato a W. Churchill Ministro delle Colonie dell’Impero Britannico allorché recatosi in Palestina alla fine del 1920 vi ricevette una Delegazione del Comitato esecutivo del Congresso Arabo di Caïffa.



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Il Congresso Sionistico e il governo inglese

da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 216, p. 1
12-13 Settembre 1921, Lunedi-Martedi

CARLSBAD, 11 (S.). – Il Governo inglese ha inviato al Presidente del Congresso Sionistico il seguente telegramma:
«Vi piaccia trasmettere al Congresso Sionistico il cordiale augurio del Governo di Sua Maestà che confida che il successo coroni i vostri sforzi per ricostruire la Palestina rendendola un Paese florido e prospero ove gli ebrei e gli arabi possano collaborare per assicurare il bene comune».


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Dopo il Congresso Sionistico
da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 230, p. 1
29 Settembre 1921, Giovedi

Il Congresso Sionistico di Carslbad si volse precipuamente ad uno scopo esteriore e politico. Si propose cioè di combattere, con i discorsi dei suoi più autorevoli, con i voti presentati all’assemblea, la diffidenza innegabile con cui è accolta dall’opinione pubblica europea e americana l’attività sionistica in Palestina, e dar valore di legittimità e quasi di irredentismo, all’odierno movimento ebraico verso la Terra Santa.

Il Congresso tuttavia non mancò di preoccuparsi della vita interna, dell’organizzazione, della propaganda del Sionismo, convinto che ad attuarne i vasti disegni, occorra tenace fermezza di volontà e mezzi cospicui. Ed anche qui non gli si piò negare un certo ottimismo, ma destinato probabilmente a miglior fortuna che non abbia conseguito per la parte politica accolta dalla stampa con prudenti riserve.

Ciò che avviene infatti in Palestina, è troppo grave nella realtà quotidiana e nelle ben prevedibili conseguenze, sì per mondo cristiano, come per quello mussulmano, perché savie parole di moderazione, di rispetto ai diritti religiosi, politici, economici degli indigeni, di armonia, di pacificazione, pronunciate a Carlsbad, da chi forse non vive, nè vivrà mai all’ombra del «Foyer nazionale ebraico» possan essere considerate, senz’altro, fiduciosamente, indice di tempi e di metodi nuovi.

Nulla di diverso, di men saggio e prudente fu mai detto laggiù. ripetutamente, a cristiani e ad arabi. I propositi di ragionevolezza e di scrupolosa deferenza verso i Palestinesi, prima che al Congresso sionistico, si formularono a Gerusalemme, non appena le popolazioni di Terra Santa mostrarono di diffidare dei nuovi ospiti, e dei loro disegni; eppure gli avvenimenti furono ben lungi dal rispecchiare il programma tante volte annunciato; e garanzie, ed eguaglianze e diritti rimasero sulla carta, mentre gli indigeni dopo le inutili proteste, passarono alle minaccie, alle insurrezioni, all’appello, finalmente, diretto per mezzo di proprii rappresentanti, alle Potenze europee.

Si potrà quindi prender atto una volta ancora dei solenni impegni che il Sionismo ha voluto riassumere dinnanzi al mondo civile, ma non si può, ormai, per troppo recenti esperienze, non attenderli ai fatti, e pensare che se saranno rose a Gerico, fioriranno. Tanto più che se dalle cronache di Carlsbad si andasse proprio cogliendo fior da fiore, ci imbatteremmo in qualcuno che non odora davvero dei puri profumi di Ebron.

L’adesione. per esempio, di Sir Samuel, Governatore di Palestina, inviata al Congresso sionistico. in termini sionistici, contraddice abbastanza eloquentemente ai doveri di imparziale riserbo, proprii dell’alta Magistratura ch’egli ricopre e dei quali si dichiarava conscio e compreso fino allo scrupolo. Così pure alcuni giornali riferirono che delle intenzioni equanimi del Sionismo circa l’assetto di Terra Santa. era stato riverentemente informato il «venerabile Capo della Chiesa Cattolica» che non aveva taciuto il proprio compiacimento; mentre questo, che vorrebbe essere un idiliaco episodio cristiano-sionistico, a quanto ci consta, non è affatto esistito, se pure costituisca un pio desiderio più avveduti.

Ma, in verità, si illuderebbe il Sionismo, se opinasse che le molte spine che ancora cospargono la sua lunga via, spuntassero dalla particolare questione riflettente il modo con cui i suoi emissari e rappresentanti ne attuano il programma e ne perseguono gli scopi in Palestina, piuttostochè dalla pregiudiziale legittimità e possibilità di questo programma e di questi scopi.

Sembra infatti un po’ troppo ingenua, l’ostentata persuasione, che intorno alle nuove aspirazioni ebraiche, sulla terra degli antichi avi, sia unanime ormai e pacifico il consenso mondiale; mentre anche al lucignolo dei principii wilsoniani o di Versaglia – tavola di salvezza e punto di partenza dell’odierno Sionismo, – le rivendicazioni giudaiche non reggono di fronte alle ragioni di conservazione dei propri diritti e possessi che i Palestinesi propugnano vigorosamente, senza attenuazioni e transigenze, in una lotta dichiarata a qualunque costo.

I principii storico-etnici, che han fatto il giuoco di tante laboriose discussioni, di tante speranze non sempre fortunate, ci riportano nella fattispecie a circa venti secoli or sono, sì che autorizzerebbero la più colossale rivoluzione politica che mente umana possa immaginare. Giacché se essi valessero davvero per gli ebrei, dovrebbero valere per altri, per moltissimi altri, e potremmo chiederci quale territorio, quale nazione in Europa non dovrebbe subire variazioni e spostamenti radicali, senza dire che il movimento pan-negro in Africa e gli stessi Pelli-rosse e Pelli-bronzo nelle due Americhe, potrebbero avanzare a Ginevra chissà quali pretese catastrofiche.

Non per nulla un memoriale del Comitato esecutivo del Congresso Arabo di Caiffa, osserva: «Per tal guisa gli Arabi dovrebbero esigere la Spagna; i Turchi, i Paesi Balcanici fino alle porte di Vienna». Nè con minore validità di argomentazione il Ministro Sforza rispondeva ad un sostenitore dei diritti greci in Asia, che con la sua logica di memorie millenarie, gli Elleni potrebbero reclamare dall’Italia, nientemeno che la Magna Grecia!

Che se pure, compiacenti ed immprovvise simpatie per le aspirazioni ebraiche, concedessero la sanatoria alle insostenibili pretese storico-etniche, continuerebbero a zoppicare assai le ragioni giuridico-politiche.

Occorre infatti chiederci: che cosa sono gli ebrei? Un popolo? Un popolo, intendiamo, nel senso politico della parola, oppure una razza ed una chiesa? Non v’ha dubbio che si tratta di una unità etnico-religiosa, ma non già di un popolo; poiché i dodici milioni di israeliti sparsi sulla faccia della terra, si distribuiscono da secoli in cittadinanze ben distinte, a cui, in varie occasioni, per differenti e spesso contrastanti doveri, non mancarono di dichiarare la più indettibile fedeltà. La stessa guerra mondiale li trovò divisi sulle varie trincee, a combattere una lotta, che non pensarono mai fosse per essi fratricida; – mentre, tra parentesi, sono oggi i soli che alla vittoriosa potenza dell’Intesa chiedono un aiuto, una protezione, un premio, come se gli ebrei non appartenessero in buon numero, fors’anco in maggioranza, ai popoli ieri nemici e vinti.

Ed è tanto vero tutto ciò, che di fronte ai varii milioni di israeliti, inglesi, francesi, italiani, spagnuoli, tedeschi, russi ed americani, solo circa ottomila – se i conti non fallano – sono ora immigrati in Palestina sotto l’impulso sionistico a tentare riscosse egemoniche su mezzo milione di Arabi e varie decine di migliaia di cristiani. Gli altri, – la maggioranza, la quasi totalità – non pensano affatto, nè lo nascondono, di staccarsi dai paesi natii, dai centri delle loro aderenze, dei loro affari, delle loro fortune.

E allora, su quale unità giuridico-politica, presente e futura, si fondano le nuove aspirazioni; questa subita nostalgia, questo impaziente irredentismo della terra dei padri, scambiata già con tante altre, più cospicue, più ospitali, più utili? Quali diritti si possono mai reclamare, a costo di turbare il secolare e incontrastato possesso degli indigeni palestinesi, per la sostituzione di uno «Stato di riserva…», di uno «Stato villeggiatura»? per una «doppia cittadinanza» da far valere la scelta, a seconda delle eventuali circostanze?

Si tratta di un caso sì straordinario ed anormale, che difficilmente potranno bastare, come dicemmo, le accademiche dichiarazioni dei Congressi, per tranquillizzare e persuadere la coscienza del mondo. Quella coscienza cristiana, cioè, che non può dimenticare, e in realtà non oblìa affatto, come la Palestina, sia la sua Terra Santa; Gerusalemme la sua Patria spirituale, e ben più sacra per vincoli di fede e di civiltà, di pensiero e di memorie, che non lo siano le singole terre natie. Dove il sacrificio di Cristo, voluto da un popolo che, se ne proclamò responsabile per sè e per i suoi figli, nei secoli, dinnanzi al giudice umano come a Quello divino, costituisce di fronte alla storia ed alla civiltà mondiale una tale prescrizione di qualsiasi diritto, da non aver certo bisogno di invocare venti secoli ormai trascorsi a suo favore, per essere ratificata da un qualsiasi Trinunale politico. - T.


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La questione israelita e i cattolici francesi

da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 239, p. 1
9 Ottobre 1921, Domenica

(Nostra corrispondenza). PARIGI, ottobre. – Si attribuisce alla Francia, soprattutto pei suoi interessi d’Oriente, la maggiore attività antisemita e antisionistica. Ora è giusto rilevare, che se da un lato questa opinione ha un fondamento di verità, non lo ha certamente circa la natura e gli scopi di questa sua azione morale e politica, e tanto meno per quello che ne può essere il contributo dei cattolici francesi. Della questione – è noto – si preoccupò l’ultima Settimana dei nostri scrittori cattolici su una limpida relazione di Jean Guirand le cui conclusioni meritano applausi unanimi.

Per darsi una idea precisa dei principii a cui fan capo in proposito con i pubblicisti i cattolici tutti di Francia, conviene conoscere tale relazione in cui prevale un perfetto senso di equilibrio. Essa ci ha fatto distinguere la religione giudaica dalla potenza politica e sociale degli ebrei nel mondo moderno.

La religione ebrea merita certamente i nostri riguardi. Noi non dobbiamo dimenticare che essa fu sotto l’Antico Testamento la vera religione e la preparazione della nostra. I patriarchi ed i profeti sono onorati dalla Sinagoga e dalla Chiesa; la maggior parte dei canti della nostra liturgia sono comuni ai cattolici ed agli israeliti, e sarebbe davvero dimenticare le origini e le fondamenta stesse della nostra religione rigettare la Bibbia ed i Santi dell’Antica Legge. E lo comprese tutta la tradizione cristiana: l’Inquisizione non pereguitò mai gli ebrei a ragione della loro fede religiosa, ed i Papi, alla loro assunzione al Soglio, ricevendo l’omaggio degli ebrei di Roma, non mancarono di ricordare loro le relazioni strette che vi sono tra la Fede cristiana e la Fede giudaica.

I cristiani si guarderanno quindi dallo imitare gli antisemiti che, per una strana confusione, attentano di un colpo alla Bibbia ed al Talmud, ai Santi dell’Antico Patto ed agli ebrei che fanno pesare sul mondo la tirannide della loro potenza cosmopolita. Gli scopi di questa potenza ed i mezzi coi quali essa si esplica, meritano tutta la nostra attenzione. Se come adoratore di séhorah l’ebreo ha diritto alla tolleranza ed al rispetto, esso non ne ha più di quello che spinto dall’odio di razza e dalla sete di dominio, nutre verso il Cristianesimo quella ostilità e quell’avversione che spiccano in tante pagine del Talmud.

Distinguiamo adunque ben bene l’aspetto religioso da quello politico e sociale nella questione ebraica. Per molto tempo fu di moda in certi ambienti negare la potenza della Massoneria; coloro che la denunziavano quale una cospirazione permanente contro il Cristianesimo erano considerati come fanatici, allucinati, anche in certi ambienti cattolici; e quelli che contrariavano una tale cecità si credevano spiriti larghi e passavano come amici della luce.

È la stessa cosa per la potenza politica degli ebrei. Prima del gran colpo di Drumont, denunziare la cosa sembrava una monomania; nonostante la luce che il fatto ha proiettato su questo punto, la Francia giudaica fu considerata per molto tempo e da molti cattolici come il sogno di un uomo alterato che vede dovunque nemici immaginarii. Per non compromettersi con i bizzarri spiriti antisemiti, certi liberali e certi cattolici, facevano comunella con ebrei e credevano così di dare prova d’intelligenza e di illuminato spirito.

Questa cecità permise alla Massoneria ed al giudaismo di estendere senza grandi opposizioni la loro potenza in ogni Stato e pel mondo intiero. Ma più si sentì la loro azione più si fu portati a studiare la loro organizzazione ed a constatare in tutto il mondo l’influenza della Massoneria e del giudaismo: così gli spiriti illuminati dovettero riconoscere che queste potenze sono in funzione e che ambedue si aiutano vicendevolmente.

Vi è dunque ormai una questione ebraica ed una questione massonica che potrebb’essere facessero una questione sola che si può conoscere col metodo delle scienze storiche e sociali. Soggiungiamo la cosa tenta le ricerche dei sociologi, giacché quanto più questa questione massonico-giudaica sarà illuminata, tanto più delineerà la sua potenza; ciò che sin oggi costituì la forza sua principale fu il mistero, dietro il quale essa progredì senza destare le diffidenze né provocare reazioni o difese.

Ciò che temevano i cristiani dell’età di mezzo non erano i giudei dichiarati e che facevano alla luce del giorno le loro operazioni commerciali o finanziarie: quelli erano ben soventi sotto la protezione dei Vescovi e del Papa e sotto il controllo dei governanti. I nemici veramente temibili della società cristiana, erano i giudei organizzati in mezzo ad ogni popolo in società segrete, e che si celavano talvolta con finte conversioni tra le file dei cristiani. E questi furono quelli ricercati e colpiti come un pericolo sociale permanente dalla Inquisizione spagnuola.

Non è oggi questione di ricorrere a mezzi violenti e nessuno lo sogna. Ma occorre mettere alla luce l‘azione giudaica, onde gli Stati e la società possano difendersi con [refusi illegibili]. Fra coloro che recentemente ci misero in guardia contro il pericolo mercè studi profondi giova ricordare particolarmente Lambelin con «Regno d’Israele fra gli anglo-sassoni», ed i fratelli Thoraud, col «Quando Israele comanda», studi questi che meritano di essere conosciuti.



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Sionismo e Palestina:
il vero scopo dei Sionisti.
da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 239, p. 1-2
9 Ottobre 1921, Domenica

La Syria di Beiruth, raccoglie alcune note di cronaca sull’attività sionistica in Palestina. Essa narra come l’Alto Commissario abbia «di recente invitato ad un Consiglio che in appresso intenderebbe convocare ogni due settimane, quarantasei notabili Islamo-Cristiani tra i quali si annoverano i membri del Consiglio dei dieci e molti Sindaci, allo scopo di accordarsi con loro circa questioni che concernono la Palestina e di appianare la via allo Statuto Costituzionale che si ha intenzione di mettere in pratica.

«Ma questa – continua il giornale – è semplicemente una manovra preparata a bella posta per sconvolgere i piani della Delegazione palestinese e rendere vani i suoi sforzi. Si guardino perciò gli indigeni dal rispondere all’appello e aspettino il ritorno della loro Delegazione, perché solo ai suoi membri spetta il diritto di trattare le questioni a nome del popolo palestinese.

«Nè questa è la sola nuova manifestazione dell’attività sionista che si debba segnalare ai lettori.

Un noto sensale giudeo fece dei passi presso lo Sceicco Maometto Bedas per indurlo ad accettare il progetto così detto di Sosenberg che consiste nella cessione a compagnie sioniste della maggior parte dei terreni appartenenti al Comune Sceic Muannes che si trova a nord di Giaffa, affinché esse possano utizzare le acque del fiume Augia che passa attaverso quei terreni.

«Tra le promesse più attraenti che il sensale faceva per raggiungere il suo scopo, vi era quella di ottenere l’amnistia a favore dello Sceicco Abu Kishk, nobile palestinese che gode stima e popolarità e il quale, come implicato nei fatti di Giaffa, è stato da poco tempo condannato a dieci anni di reclusione. Maometto Bedas però, ricusò assolutamente di intavolare trattative di qualsiasi genere sopra una simile base.

«Ma in altri modi ancora, i Sionisti affermano la tenacia nei loro principii pur dando ad intendere che di politica non ne vogliono sapere. Così essi stanno organizzando una marina commerciale propria, mediante l’acquisto di buoni piroscafi dei quali già posseggono dieci mentre una Società Ebrea costituita da poco tempo, è oramai intenta al suo lavoro industraindosi a estrarre i profumi dalle erbe della Palestina. Inoltre il Barone Rotschild con un capitale di cinque milioni di franchi si appresta a fondare a Caifa una società commerciale che avrà per obbiettivo la creazione di un vasto movimento per il commercio della farina onde possa provvedere a tutti i bisogni della Palestina. Finalmente riportiamo da un giornale ebraico che una famiglia israelita tedesca elargì la somma di duecentomila franchi per l’istituzione di una colonia tedesca giudaica in Palestina. Sicchè, a questo paese che ne ha già visti di tutti i colori sionisti, mancava proprio che anche la Germania giudaica avesse un posto sul suo suolo!»

A queste note, che si potrebbero pensare non immuni di passione politica, P. Sfair, diligente studioso del fenomeno sionistico, fa seguire in Echi e Commenti, alcune notizie e considerazioni, le quali per quanto obbiettive, confermano la anormalità della situazione. Egli nota infatti che all’attività sempre crescente dei sionisti «corrisponde l’interessamento compiacente dei dirigenti della cosa pubblica in Palestina, i quali con aria di non tener conto affatto della Delegazione che interpreta ora a Londra le aspirazioni di tutto il popolo, chiamano a un consiglio i notabili per sentire il loro parere circa lo Stato costituzionale che si vuole adottare».

E narra: «dei 46 invitati a intervenire come membri, al consiglio in parola, che avrebbe dovuto essere bimensile, parecchi declinarono l’invito, ma poi gli intervenuti rivolsero a nome di tutti all’alto Commissario la seguente risposta scritta che riassumiamo dall’Alif Ba del 7 settembre:

«Considerando che l’elezione della rappresentanza parlamentare rientra nella materia dello Statuto costituzionale; che d’altronde la sistemazione del paese non ha ancora avuto una forma definitiva, ciò che rende impossibile la compilazione dello statuto stesso, la quale non può aver luogo se non dopo l’assetto definitivo della Palestina e per opera di un’assemblea rappresentativa, eletta con il suffragio popolare; che finalmente la nazione ha mandato una Delegazione a Londra perché esponesse le sue richieste al Governo inglese, circa l’avvenire politico della propria patria, noi sottoscritti preghiamo l’Eccellenza Vostra di soprassedere per ora a qualsiasi discussione in materia di legislazione e dichiariamo in pari tempo fin da ora di non poter mai accettare uno statuto che abbia come base la promessa Balfour. Preghiamo inoltre l’E. V. di voler applicare in fatto di amministrazione il regolamento e le leggi ottomane. Se poi l’Alto Commissario vorrà consultarci sopra questioni di ordinaria amministrazione, siamo pronti ad entrare in discussione purché le materie che dovranno essere sottoposte al dibattito ci vengano comunicate una settimana prima della seduta».

In seguito a questa risposta è stato stabilito che si tenga un consiglio mensile per affari di ordinaria amministrazione. Gli arabi addebitano ancora all’Alto Commissario altri due atti con i quali esso avrebbe troppo parzialmente favoreggiato gli Ebrei, cioè a dire l’impresa di Rosenberg e la questione delle terre chiamate Ramlie. Nella città di Giaffa che è la più direttamente interessata in materia, i rappresentanti di tutte le classi cittadine in un’apposita riunione deliberarono di indirizzare a Lord H. Samuel la seguente protesta che la stampa araba riportò il 7 settembre.

«Noi sottoscritti notabili, scienziati, commercianti, artigiani, studenti e operai di Giaffa protestiamo vivamente contro la cessione agli Ebrei di una parte così notevole delle terre di Ramlie e contro il brevetto rilasciato senza il consenso della cittadinanza a una società sionista per l’impresa di Rosenberg che consiste nell’utilizzazione del fiume Augia.

Siffatti procedimenti ci confermano nell’opinione che il vero scopo dei Sionisti è di prevalere su di noi e, una volta padroni dei prodotti e dei tesori del paese, vi prendano il nostro posto. Il favore con cui le autorità non cessano di assistere il movimento sionista potrebbe pure scuotere la nostra fiducia nella giustizia della Gran Bretagna. Perciò abbiamo formulato questa protesta che l’E. V. vorrà revocare la cessione della terra di Ramlie e annullare il brevetto dell’impresa Rosenberg, che non potrebbe essere considerato come legale. Anzi preghiamo Vostra Eccellenza di non dar più approvazione a qualsiasi progetto industriale fin tanto che non sarà determinato l‘assetto della Palestina e non sarà possibile ottenere in simili casi, il voto dei legittimi rappresentanti del popolo».

L’impresa di Rosenberg si propone – continua lo Sfair – di fornire la forza elettrica a tutta la Palestina con le acque dell’Augia e del Giordano. Quanto alle terre di Ramlie che si estendono a sud di Giaffa, è la terza volta che i Giudei ne entrano in possesso. La prima volta fu Gemal Pascià che permise loro di piantarvi delle macchie, ma non tardò a ritirare il suo permesso in seguito alle proteste degli indigeni che sostenevano di esserne i legittimi proprietari. Lo stesso fatto poi si ripetè con identiche circostanze sotto il governo militare inglese nel 1919. Ed ora siamo al terzo tentativo.

Gli Ebrei dunque fiduciosi nella dichiarazione di Balfour e nell’appoggio delle autorità continuano a spiegare in ogni campo una somma attività come tutti sanno. Gli indigeni invece volgono le loro speranze a Londra e a Ginevra per ottenere una sistemazione per il loro paese che sia conforme il più possibile ai loro desideri. In questo aspro cimento mentre la Delegazione a Londra raccoglie consensi e favori, gli emigrati palestinesi da ogni terra convergono le loro premure verso la patria diletta. Così dall’America, dalla Siria e dall’Egitto inviano vibrate proteste a Gerusalemme contro il divisamento dell’Alto Commissario il quale, durante l’assenza della delegazione popolare aveva tentato di formare un consiglio direttivo ed elaborare lo statuto costituzionale. E quindi anche il convegno Siro-palestinese di Ginevra avanza richieste alla Società delle Nazioni e al Presidente Harding, pregando che non si prescinda nell’attribuzione dei mandati dai voti del popolo palestinese, il quale non accetterebbe punto il mandato britannico se la Gran Bretagna continuasse a dargli come base la dichiarazione Balfour».

E conclude: «Nella Terrasanta insomma ancora si protrae il paradosso di una situazione ove si vuol adottare e imporre una politica che solo l’8 per cento della popolazione approva e vi si sottomette».


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La preghiera pei giudei

da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 240, p. 1
13 Ottobre 1921, Giovedi

(Nostra informazione). PARIGI, 6. – Insistiamo un momento – anche data la occasione che ci passa tra le mani una statistica – insistiamo per quanto riguarda gli ebrei, sulla distinzione citata ieri della questione religiosa da quella politica. E la distinzione non soltanto è logica ma è pure cristiana. Infatti noi la troviamo appoggiata come accennava Einard, da tutta la storia ecclesiastica, e si può aggiungere anche dalla liturgia cattolica. È sempre commovente la voce che la Chiesa innalza a Dio nelle epoche solenni del suo anno liturgico anche per la conversione dei giudei. E ciò prova quindi che la prima a volere la distinzione di questioni in argomento di sionismo è proprio la Chiesa, il Papa.

Come accennai ho tra mani qualche dato in merito appunto al pregare che il Papa vuole facciano i cattolici per la conversione di Israele. Quasi non bastasse la preghiera ufficiale per eccellenza, che a nome della Chiesa fa il sacerdote quando alza le mani al cielo ed implora anche per le smarrite pecorelle di Israele, e come a rendere più viva la partecipazione del popolo col permesso e con la benedizione della Santa Sede, si istituì anche una apposita pia organizzazione a scopo di pregare per la conversione degli ebrei, la quale organizza ogni anno un periodo costante di preghiere. La predetta pia Associazione pubblicò in merito qualche cifra.

Nella sola annata scorsa e soltanto in Francia si celebrarono 49 novene, e si dissero 69 Messe. Per l’Inghilterra i dati sono più abbondanti. Quest’anno le Messe celebrate all’occasione della grande novena che precedette la solennità dei SS. Apostoli, si celebrarono ben 1500 Messe: anche il Santo Padre Benedetto XV volle parteciparvi. I risultati che gli uomini possono constatare sono soddisfacenti, giacchè secondo i dati pervenuti all’Associazione in merito alle conversioni ebraiche nel decennio 1905-15, la crifra sale a 6.406. Dal 1915 al 1921 non s’è ancora fatta statistica regolare, ma è accertato che il numero dei convertiti è più grande che quello del decennio citato.


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Sionismo e Palestina:
il discorso del cardinale Bourne.


da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 244, p. 1
15 Ottobre 1921, Sabato

(Nostra corrispondenza). LONDRA, ottobre. – Sua Em.za il Cardinale Bourne ha avuto testè occasione di esprimere il suo autorevole pensiero sulla questione sionistica. Egli ha esposto infatti in un discorso, che val bene riprodurre testualmente, le proprie idee su fatti e avvenimenti i quali dimostrano quanto saggi ed opportuni fossero stati all’uopo i suoi consigli e le sue opinioni manifestate per l‘addietro.

«Non ho avuto l’occasione, durante quest’anno, di parlare ad una assemblea di Cattolici come la presente; permettemi quindi che io passi ad un importante argomento. Quelli tra voi che presero parte al grande Congresso Cattolico che con meraviglioso successo fu tenuto, l’anno scorso, a Liverpool sotto la presidenza del defunto Arcivescovo di quella Sede di s. m. ricorderanno che in una parte del mio discorso parlai della questione dei Luoghi Santi di Palestina. Io posi ogni cura per limitare il mio discorso; e non dissi tutto ciò che sapeva. Cercai, e credo di esserci riuscito, di attenermi ai puri fatti accertati; e accennai ai timori che questi fatti suscitavano, non solo in Inghilterra, ma in tutto il mondo cristiano.

Dopo un anno, io ritorno col pensiero a quel discorso, e credo di avere pieno diritto di affermare che, ciò che io dissi allora, è stato dimostrato perfettamente vero. Io dico ciò, non già perché io desideri agitare in qualsiasi modo l’opinione pubblica su questa materia; ma perché io sono d’avviso che questa questione dovrebbe restare costantemente e chiaramente presente dinnanzi al pensiero di tutti i cattolici, anzi di tutti gli inglesi.

Durante la guerra, in un momento assai critico Mr. Balfour fece una promessa, di cui io non credo che egli si rendesse perfettamente conto. Per questa promessa egli ebbe l’approvazione del Gabinetto. Ma io non posso arrivare a credere che il Gabinetto abbia considerato attentamente questa promessa, cioè le sue conseguenze – non solo possibili – ma probabili. Questa promessa era che il popolo giudeo, condotto da coloro che chiamavano sionisti, avrebbe avuto «una» o «la» patria in Palestina.

Questa promessa può avere un senso molto differente; e in base ad essa i sionisti hanno sempre reclamato di avere in Palestina la loro patria, nel senso di uno Stato giudaico. La portata di questa promessa fu assai diminuita da Mr. Winston Churchill, il quale, in occasione del suo viaggio a Gerusalemme, assicurò che tutto ciò che era stato detto aveva questo senso, che i nativi di Terra Santa avrebbero avuto «una» patria in Palestina.

Ma sia che il senso fosse di dare loro in Palestina la loro vera dimora,, sia che si intendesse di concedere loro semplicemente una piccola colonia, è perfettamente certo che quella promessa esiste realmente e che, anche se ristretta nel suo scopo, dovrà essere ritirata, se pure non sarà prima lavata nel sangue.

L’altro giorno ricevetti la visita della Delegazione di Palestina (Mussulmana), la quale mi parlò in termini molto moderati; mentre essa tenne un linguaggio molto più forte, quando io fui a Gerusalemme, due anni fa. Voi dovete tener presente che la popolazione in Terra Santa, cioè la popolazione di razza ebraica, è molto minore della popolazione araba che è in maggioranza mussulmana e in parte cristiana.

Io prego voi tutti di considerare molto attentamente questa questione; perché essa potrebbe recare un male incalcolabile al buon nome dell’Inghilterra in tutti gli altri paesi; e perché esigerebbe e – e su questa questione politica io non intendo dare alcuna opinione – il mantenimento in Palestina di una guarnigione inglese e imposte enormi ai contribuenti di quel paese.

Io non credo che il popolo inglese sia disposto a gettar via il proprio denaro per costituire in Palestina uno Stato giudaico. Occorre che voi esaminiate diligententemente questa questione; però senza lasciarvi trascinare da alcuna esagerazione; giacché intorno all’attuale Governo di Palestina, presieduto dal signor Herbert Samuel, uomo veramente retto, sono state dette cose grossolanamente esagerate; e sfortunatamente alcuni dei nostri amici dell’estero, specialmente in Italia e in Francia – tra i quali molti cattolici – non si sono tenuti sufficientemente in guardia, secondo il mio parere, contro la manovra di uno sfruttamento a scopo politico delle difficoltà del momento presente. Perciò voi dovete accettare con molto discernimento tutto ciò che leggete.

Per parte mia, io desidero di riaffermare nuovamente quanto io dissi lo scorso anno. Ciò che io allora conobbi – o piuttosto ciò che io allora manifestai – si è verificato in tutta la sua verità. Noi incontreremo difficoltà terribili in Palestina, e l’Inghilterra avrà gravissime difficoltà con tutti i paesi cristiani, se questa questione non sarà decisa con comune soddisfazione. Sarebbe un grave oltraggio alla coscienza dell’intera cristianità, se la Terra Santa, strappata un giorno dalle mani degli infedeli per opera dei soldati inglesi, fosse ora posta sotto il dominio di coloro che hanno rinnegato il nome di Cristo.

Tutti sanno bene che io non nutro alcun sentimento antisemita: io non dissi mai una sola parola contro i giudei in quanto tali. Anzi io li ho pubblicamente difesi, ed ho chiesto per loro un trattamento di giustizia e di uguaglianza. Ma io tengo per certo che se questa questione del Sionismo non sarà risolta in modo giusto e uguale per tutta la popolazione di Palestina, che nella sua grande maggioranza non è giudaica, noi avremo in seguito terribili disordini».

Questi concetti, l’E.mo Arcivescovo di Westminster, ebbe occasione di ripetere ricevendo la Delegazione palestinese a Londra, venuta per difendere di fronte al Governo ed all’opinione pubblica, la propria causa. Infatti secondo il relativo comunicato, dopo che la Delegazione spiegò le ragioni che aveva avuto per trattare col Governo di S. M. riguardo alla politica Sionista in Palestina, S. Em. ricordò alla Delegazione il discorso da lui fatto a Liverpool, ritornando dalla Terra Santa, nel 1919, e manifestò la sua simpatia per gli arabi a proposito delle attuali difficoltà in Palestina ed espresse il suo rincrescimento nel vedere che la Commissione, nominata per un’inchiesta sulla questione dei Luoghi Santi, non abbia potuto ancora compiere il suo dovere.



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L’Università israelita

da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 256, p. 1
28 Ottobre 1921, Venerdì

(Nostra informazione). PARIGI, 25. – Il Foyer nazionale ebraico, questa indefinita frase della ormai famosa dichiarazione di Balfour, che può voler dire semplicemente un centro di propaganda e di coltura, come – se ci riuscirà – lo Stato israelita, ha sempre avuto tra i suoi capisaldi programmatici un istituto superiore di studi, una università che da Gerusalemme, proprio da Gerusalemme, divenisse il faro del pensiero e della sapienza dei più o meno diretti e legittimi discendenti di Salomone.

Anche qui, tuttavia, anche per questa iniziativa il Sionismo si disse subito preoccupato delle condizioni culturali della Palestina, e generosamente disposto a provvedervi, a vantaggio di tutte le razze coesistenti e senza pregiudizi di religione. Ma oggi, dopo tre anni, dacchè l’Università di Gerusalemme ha mosso i suoi primi passi, si può facilmente valutare, la nuova prova di questa altruistica equità sionistica, di cui si ammantano, almeno agli inizi, tutte le sue riforme e i suoi istituti. Citiamo il «Beyt-ul-Makdes» di Gerusalemme:

«L’Università israelitica di Gerusalemme fondata nel 1918, sarà messa con l’aiuto dei Sionisti Americani allo stesso livello delle grandi università europee e americane, adottando come farà i metodi più recenti che il progresso contemporaneo ha prodotto.

Le tre facoltà di scienze naturali, di medicina e di scienze ebraiche saranno istituite per prime. L’Università si propone in specie di essere utile alla popolazione palestinese, e in genere di dare un largo contributo al progresso della scienza e dell’arte. I più illustri professori del mondo sionista saranno chiamati a insegnarvi, e le lezioni verranno impartite in lingua ebraica. Tuttavia l’Università non assumerà nessun colore religioso.

Questi sono i propositi – scrive ancora il giornale – dell’autore stesso della grande istituzione e come sono stati comunicati alla rivista Nature». E aggiunge: «Per se sono degni di encomio, ma noi non sappiamo renderci ragione come mai parlando l’ebraico, i professori potranno essere utili ai palestinesi in genere e alla scienza in genere, stante che gli ebrei non solo raggiungono a mala pena il 10 per cento della popolazione, ma di più essi parlano la lingua indigena che è l’arabo e non l’ebraico.

Se dunque si vuole che la nascente università arrechi vantaggio a tutti i palestinesi o almeno alla maggior parte di loro, è d’uopo che vi sia adottato l’arabo, ovvero una delle lingue europee più diffuse come il francese o l’inglese».


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Sionismo e Palestina:
«Gerusalemme, tomba delle ambizioni sioniste».

da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 285, p. 1
2 Dicembre 1921, Venerdì

(Nostra informazione). BRUXELLES, 27 novembre. – Sotto il titolo: «Gerusalemme, tomba delle ambizioni sioniste», la Libre Belgique raccoglie informazioni interessanti. La situazione laggiù si complica di giorno in giorno. Una Commissione inglese inviatavi per studiare le cause di alcuni «progroms» scoppiati in questi ultimi mesi a Gerusalemme e a Giaffa, ritornata a Londra, pubblica un rapporto non certo sospetto di parzialità politica.

Essa riconosce che prima del movimento sionista e delle sue speranze pe run «centro nazionale» in Palestina l’antisemitismo violento era assolutamente sconosciuto sulle rive del Giordano, ma poi tutta la popolazione non ebrea è invasa da un odio inestinguibile contro gli ebrei. La minima occasione è sufficiente a far scoppiare disordini e massacri che nessuno sa e può evitare. Infatti se scoppia un «progrom», la polizia è sollecitamente mobilitata, ma siccome essa si compone di mussulmani, di cristiani e di ebrei, non appena lo possono le sue squadre si disciolgono e disperdono per aumentare il numero delle opposte parti in conflitto, sicchè le armi poste a servizio dell’ordine non hanno altro effetto che di rendere i «progroms» più sanguinosi.

Tutte le notizie che arrivano da Gerusalemme – continua la Libre Belgique, anche sulla scorta del Figaro – confermano l’esattezza ed obiettività del rapporto inglese. Gli ebrei, intimoriti, preoccupati lasciano in massa il Paese che una volta di più torna per essi amaro ed inospitale. Molte opere di organizzazione e di beneficenza estere, languiscono nella incertezza della situazione o cessano, sicchè non restano che gruppi di immigrati, impoveriti, dubbiosi del domani, viventi sotto quotidiane minaccie, miserandi esponenti di quel sogno sionistico in cui svanisce il risveglio d’Israele.
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Quanto pubblicano i giornali, spiega e conferma due fatti già rilevati da nostre passate corrispondenze: le non liete accoglienze, che per ben fondato timore di perturbazioni, gli ebrei indigeni fecero sempre a quelli immigrati; e i non troppi entusiasmi di coloro che lasciarono i propri paesi, per una terra promessa, che non realizzava per loro se non agitazioni e pericoli. (n.d.r.)


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Sionismo e Palestina:
i sanguinosi disordini di novembre in Gerusalemme.


da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 306, p. 1-2
26-27 Dicembre 1921, Lunedi-Martedì

Il Byt-Ul-Makdes, giornale che si pubblica in Gerusalemme, reca una nota del 19 novembre che riproduciamo. Occorre però avvertire ciò che del resto balza agli occhi di tutti leggendola: anche in novembre in Palestina si sono avuti sanguinosi disordini e proprio nella Capitale. La lotta fra il sionismo e l’elemento indigeno si inasprisce nel modo più incivile e violento. Una corrispondenza da Bruxelles del 27 novembre, che ci segnalava alcuni giudizi pessimistici de La Libre Belgique sulla situazione, ha ora conferma nei tumulti sanguinosi di circa due mesi or sono, e soltanto adesso conosciuti; ciò non meraviglia affatto per altri precedenti i quali stanno a dimostrare come delle cose di Palestina, poco si sappia e comunque si sappia in ritardo.

La nota del Byt-Ul-Makdes rivela solo di scorcio i fatti occorsi, ma in modo sufficiente per farcene misurare la gravità; pone invece direttamente sul tappeto il palleggiarsi delle responsabilit fra le parti in lotta. «I circoli ufficiali ebraici – scrive dunque il giornale – di Gerusalemme hanno presentato all’Alto Commissario una istanza nella quale dopo aver affermato essere la seconda volta che sangue israelita scorre per le vie sotto il governo del signor Storrs e che costui avrebbe così violato le promesse fatte ai loro correligionari, i quali nella Città Santa sono in maggioranza, chiedono la sospensione di Storrs stesso dal suo ufficio sino a che la commissione d’inchiesta non avrà assolto il suo compito e non si saranno accertate le responsabilità.

Parimenti i die Rabbini Maggiori della città si sono recati presso l’Alto Commissario e gli hanno presentato un rapporto sulle insidie tese dagli Ebrei da due anni in qua. In esso anche domandavano che venissero severamente puniti glo assassini, i fautori del disordine e gli agenti di pubblica sicurezza che sono venuti meno al loro dovere.

Lord Samuel ha risposto che un tribunale speciale è stato istituito per giudicare coloro che eventualmente si trovassero implicati nelle agitazioni e che per il mantenimento dell’ordine sarebbero adottate le misure necessarie. Quanto alla stampa sionista, essa non si ferma a questo punto. Il giornale Ha Asetz inveisce contro l’Alto Commissario per aver costui riconosciuto che i tumulti del 2 novembre non furono il frutto di una premeditazione, e contro il signor Storrs perché non avrebbe saputo secondo lui, evitare i disordini che da tre anni in qua funestano Gerusalemmme. Non gli aggrada neppure la condotta dei suoi correligionari, poiché mentre essi si sono limitati a chiedere la sospensione di Storrs in attesa del risultato dell’inchiesta ufficiale, il confratello nostro invece ne invoca l’immediata destituzione. Per lui non c’è bisogno d’inchiesta. I fatti sono troppo chiari e le pietre stesse di Gerusalemme intinte oramai di sangue gridano vendetta contro il maggior responsabile che è Storrs e in seconda linea contro gli arabi.

Ma quali sono le prove per addebitare agli arabi i disordini avvenuti? Ebbe luogo il giorno 2 la riunione di alcuni giovani che il comunicato ufficiale riconosce come priva di importanza. Se i Sionisti non si fossero mossi ad incontrarli con le armi in mano, nulla sarebbe accaduto, poiché quei giovani erano completamente disarmati. Dal canto loro gli arabi non restano inoperosi. Il giorno 4 presentarono all’Alto Commissario un rapporto sulle varie questioni in cui erano lesi i loro diritti e tra l’altro reclamarono il diritto di appello dal tribunale che giudica gli imputati di perturbamento dell’ordine, la destituzione del segretario legale Bentwich che ha perduto interamente la fiducia popolare per la sua aperta parzialità con i sionisti, e finalmente l‘abolizione di un articolo del regolamento giudiziario che autorizza il Governo ad esigere a titolo di garanzia, il pagamento di una somma, da farsi da coloro che si presumessero disposti a suscitare fermento nel popolo». Ma le colpe e le responsabilità sionistiche sono ancor più sottolineate da P. Sfair, i cui giudizi sulle cose di Palestina ci parvero sempre di una obbiettività confortata da una particolare esperienza e diligente studio degli uomini e delle cose di laggiù.

«A proposito di questi fatti deplorevoli, scrive infatti negli «Echi e Commenti», è d’uopo ricordare l’epilogo degli avvenimenti dolorosi di Giaffa. Secondo i giornali palestinesi del 16 novembre, la commissione d’inchiesta incaricata di appurare la verità in merito, ha esteso un rapporto nel quale constata che tutto il popolo è contrario ai sionisti e che la frazione bolscevica tra questi ultimi ha fatto sì che tutti gli ebrei, per quanto non condividano le idee, fossero accomunati nell’odio e nella condanna per parte degli arabi.

Un altro fatto importantissimo ha quindi messo in rilievo la commissione stessa ed è che i capi del movimento sionista hanno dato diffusione a troppe voci dalle quali era permesso agli arabi di dedurre che gli ebrei interpretavano la dichiarazione di Balfour come una tattica adottata per appianare la via all’egemonia ebraica in Palestina. In fine ha espresso l’opinione che i capi sionisti devono adoperarsi con ogni premura per tranquillizzare gli animi e calmare l’ambiente.

Ma purtroppo un’altra piega avevano preso gli avvenimenti. Alla vigilia dell’eccidio di Gerusalemme, i giornali hanno sparso ai quattro venti la notizia che il sionista Jellin, nell’ultimo Congresso del suo partito aveva affermato la necessità per gli ebrei di prepararsi al cimento di una guerra sanguinosa per poter rientrare nel possesso della terra d’Israele.

Perché i sionisti non hanno smentito efficacemente siffatta notizia? Eravamo alla vigilia dell’anniversario della dichiarazione di Balfour che gli arabi si proponevano di commemorare con manifestazioni di lutto, e la tensione degli animi era giunta a un grado molto avanzato per modo che il silenzio sotto ogni riguardo diveniva ingiustificabile. Se poi la notizia fosse vera allora sui Capi sionisti ricadrebbe una parte non certo lieve di responsabilità in queste tristi vicende, poiché a loro incombeva il dovere di non permettere che si gettasse neppure una scintilla in un ambiente satura di elettricità».

Per quanto ve ne sia abbastanza per illuminare l’opinione pubblica sulla situazione, aggiungeremo sol questo: a qualsiasi parte spetti la responsabilità, almen diretta, degli ultimi avvenimenti, per quanto ci si sforzi di deporre ogni legittimo dubbio sul tentativo sionistico di passare per vittima, resta provato matematicamente un fatto che il nuovo regime palestinese ha contro di sè gli indigeni fino alla ribellione ed alla violenza sanguinaria.

Il che, dopo la vittoria della pacificazione dei popoli, ha, o almeno dovrebbe avere, il suo valore e significato. - (V.)


(Segue: 1922)

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