febbraio 03, 2011

La questione sionista ed il Vicino Oriente – Da “L’Osservatore Romano” cronache dell’anno 1921. § 5e: La situazione vista da un americano

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Sionismo e Palestina:
la situazione vista da un americano.

da: L’Osservatore Romano,
Anno LXI, Nr. 103, p. 1
1° maggio 1921, Domenica

Può darsi che l’Europa – per la sua vicinanza, per la immediatezza de’ suoi interessi, per l’accalorarsi delle questioni d’Oriente in genere e dei Luoghi Santi in ispecie – non sia sempre obiettiva nelle cronache e nei commenti della sua stampa, per ciò che riguarda appunto i problemi orientali. Il Sionismo, per esempio, non ha nel continente soverchie simpatie; anzi molte e cospicue addirittura contrarie ed avverse. Oltre l’Oceano, le cose del vecchio mondo, sogliono vedersi e studiarsi, ordinariamente con maggiore serenità. Senonchè, a proposito del Sionismo, i giudizi americani non si differenziano nelle loro critiche e riserve, da quelli Europei. Il «N. C. W. News Service» ha, per esempio da Gerusalemme, una corrispondenza che vale la pena di conoscere.

La situazione vista da un americano

La fase del sionismo che – secondo il corrispondente – più riguarda i cattolici è la possibilità di soggiogare i cristiani al governo ebreo, qualora si attuasse completamente il desiderio dei sionisti di fare della Palestina il focolaio nazionale ebreo. Mentre è anche troppo presto per poter giudicare con relativa precisione circa i successi di tale tentativo sionista e dal momento che la lega delle nazioni non ha ancora ratificato il mandato concesso all’Inghilterra di trattare colla Turchia non ancora rifatta, si può pero ritenere certa la impossibilità di istituire uno stato indipendente per gli ebrei in Palestina. La famosa dichiarazione di Balfour diceva:
«Il governo di S. Maestà vede con favore lo stabilimento in Palestina di una terra nazionale per il popolo ebreo e farà di tutto per facilitare il raggiungimento di tale scopo, essendo però bene notare che niente si deve fare a pregiudizio dei diritti civili e religiosi delle comunità non ebree esistenti in Palestina e dei diritti e dello stato politico concesso ai giudei in ogni altro paese. I giudei lessero in tutto il mondo in questa dichiarazione la promessa di adempiere alle loro aspirazioni politiche nel senso completo della parola. Non si sa però quello che il sig. Balfour e il suo governo volesse precisamente dire con tali parole. Se si deve giudicare dai presenti avvenimenti il programma britannico consiste nel dare ai giudei una terra nazionale dove essi potranno essere sicuri da ogni persecuzione che possa sorgere specialmente nelle parti orientali d’Europa. Eguaglianza dei diritti e di concorso dei varii ufficiali, riconoscimento pieno della lingua ebraica accanto all’inglese e all’arabo quale lingua ufficiale del paese sarà certamente concesso. Questo è troppo poco per i sionisti e si legge chiaramente sui loro giornali un sentimento di insoddisfazione e di disillusione. La ricca e potente commissione sionista non tralascerà niente di intentato per restituire veramente il regno d’Israele. Tale elemento aggressivo dei sionisti ha ricevuto finora ben scarso incoraggiamento da sir Robert Samuel, accusato di essere giudeo di religione, ma britannico di nazionalità. In merito alla questione dei rapporti tra religione e nazionalità è importante rilevare che vi è una forte divisione tra i giudei, divisione che ha quasi provocato uno scisma. Gli ortodossi o ebrei vecchi, quelli che hanno vissuto per molti anni in Palestina non hanno a lor volta molta confidenza con l’elemento sionista».
Fin qui la corrispondenza che rispecchia le impressioni americane di un americano in Palestina. Ed ora alcuni rilievi.

Non è a meravigliarsi che il corrispondenti rilevi dei disaccordi fra le sfere puramente sioniste e quelle anglo-sioniste. Le prime non vedono che i propri fini cosiddetti nazionalistici; le seconde non possono dimenticare i rispetti e i riguardi politici soprattutto pel fatto che l’Inghilterra sperisce in Palestina un mandato, non un potere esclusivo, irresponsabile e sovrano.

Statistiche di immigrazione

Tuttavia il movimento sionista ha facile sopravvento, e ampi mezzi per pesare specialmente nelle istituzioni cristiane cattoliche. In seguito infatti all’abolizione dei privilegi riguardanti i forestieri in Palestina sotto il dominio turco, ne vennero più direttamente colpiti gli enti religiosi, le opere di beneficenza, ospedali ecc. in prevalenza francesi, ma tutti cattolici; giacchè i forestieri in Palestina, godenti le immunità soppresse, si identificavano in ecclesiastici regolari e secolari di Francia e d’Italia, e ad alcuni pure tedeschi.

La Croix nota anzi un simbolo doloroso di tutto ciò:
«I soldati francesi ed italiani, la cui presenza dopo il dicembre 1917 ricordava il diritto di queste due nazioni cattoliche»
hanno lasciato Gerusalemme il 25 e 26 febbraio u. s. dopo di aver ricevuta la S. Comunione Generale da Mons. Hellinger rappresentante del Patriarca, che celebrò, espressamente per essi, la S. Messa nella Basilica del Santo Sepolcro la vigilia della loro partenza. Tuttavia i sionisti criticano le clausole del mandato britannico, come non abbastanza favorevoli alle loro mire, con ingordigia veramente inaudita. Perché infatti è all’ombra di quelle clausole e dello… «scarso incoraggiamento» di Sir Samuel che la loro attività ha potuto divenire, da un anno a questa parte, intensissima. Ecco dei dati.

Oltre ai 1200 ebrei espulsi durante la guerra e quindi rimpatriati, si contano, nel 1920, circa altri 10.000, immigrati dalla Galizia, Russia ecc. Il movimento si è poi intensificato durante l’estate – 600 immigrati in luglio, 750 in agosto – e durante l’autunno – 1400 in settembre –. Un ufficio centrale di immigrazione è stabilito in Giaffa con due succursali a Gerusalemme e a Caiffa. La maggior parte dei nuovi venuti conta l’età fra i 18 e i 40 anni, formanti con dei gruppi di pionieri: gruppo agricolo (700), gruppo di ricostruzione e riparazione (1000) ecc. Il Comitato sionista li provvede largamente pel viaggio, il vitto, i risparmi, medicinali, alloggi.

Un grande sforzo è pure stato compiuto nel campo dell’istruzione pubblica sionista, il cui bilancio toccò nel 1920 le 90.000 lire egiziane, circa mezzo milione di franchi. Furono così creati in seno alle colonie ebree, una dozzina di asili infantili, due scuole elementari, una scuola normale per fanciulle a Giaffa che fornirà pel 1922 un primo contingente di maestre per la erigenda scuola normale di Gerusalemme. Di più una scuola di agricoltura della grande colonia Petoh-Tikwa, a nord di Giaffa venne pure ristabilita.

Difficoltà e ostacoli

Non ci sarebbe dunque di che essere insoddisfatti malgrado ogni più prepotente incontentabilità. Ma la verità si è, malgrado tutti questi sforzi, il sionismo come movimento nazionale non alligna fra gli ebrei, così come lo vorrebbero i suoi promotori più fanatici. E non alligna per due ragioni: Perché la Palestina non può offrire all’attività ebraica i vantaggi che essa incontra ovunque si applichi in seno a nazioni e a popoli fiorenti, in terre ricche, in mercati avviatissimi. Coloro che attratti dalle promesse e dalle facilitazioni del Comitato sionista, si mossero verso l’antica terra – e specialmente da regioni devastate dalla guerra o minacciate da reazioni antiseniste [sic] – s’accorsero ben presto che si è ben lungi dall’offrire gli agi della terra promessa; che bisogna invece creare laggiù con nuovi sforzi, ciò che altrove è a portata di mano senza ulteriori fatiche.

In secondo luogo, come nota la stessa corrispondenza americana, gli ebrei indigeni poco si mostrano entusiasti della immigrazione dei loro fratelli, nè invocata nè desiderata; la quale, in attesa di un avvenire di là da venire e da maturare, spartisce e suddivide, i frutti attuali; sufficienti agli indigeni, scarsi se distribuiti a tutti. Ora è chiaro che l’israelita, per quanto abituato a non soverchie simpatie, le sopporti ove esista in compenso qualche altro vantaggio; le abbia in uggia ove bisogna contendere un pezzo di pane e rifare faticosamente la propria fortuna.

Così è che circa 2.500 immigrati dei 10.000 giunti nel 1920, siano già ripartiti, dopo essersi fermati sulle rive del Giordano, poche settimane appena; così è che il malcontento continui e si diffonda. Viceversa i sionisti confidano di determinare una più larga immigrazione ed arrestare quest’esodo fatale, accrescendo i favori ai connazionali, sia pure approvando la condizione degli abitanti mussulmani e cristiani: e battono alle porte del governatorato e del gabinetto di Sir Samuel. Ma la Potenza mandataria non può spingere, nemmeno essa, le cose oltre l’estremo limite, chè sarebbe troppo pericoloso. Di qui lo stato d’animo di tensione e di sorda ostilità fra Comitato e Governo.

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