gennaio 04, 2013

La questione sionista ed il Vicino Oriente. – Documentazione tratta dal quotidiano torinese “La Stampa”: Cronache dell’anno 1930.

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Mentre valgono le considerazioni generali già fatte per le precedenti fonti documentarie, e cioè: Vedi Elenco Numerico, pare qui opportuno rilevare ogni volta la casualità e imparzialità con la quale le diverse fonti si aggiungono le une alle altre, animati da una pretesa di completezza, che sappiamo difficile da raggiungere. Il quotidiano “La Stampa”, fondato nel 1867, rende disponibile il suo archivio storico dal 1867 al 2006. Valgono i criteri generali enunciati in precedenza e adattati ogni volta alla specificità della nuova fonte. Assumendo come anno di partenza il 1921 seguiamo un metodo sincronico, raccordandolo con quello diacronico basato su alcuni anni di riferimento.

LA QUESTIONE SIONISTA
E IL VICINO ORIENTE
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tratta dall’archivio storico de “La Stampa


1930
1929   ↔ 1931
Anno inizio spoglio: 1921.
La Stampa: 1882 - 1883 - 1884 - 1885 - 1886 - 1887 - 1888- 1889 - 1890 - 1891- 1892 - 1893 - 1894 - 1895 - 1896 - 1897 - 1898 - 1899 - 1900 - 1901 - 1902 - 1903 - 1904 - 1905 - 1906 - 1907 - 1908 - 1909 - 1910 - 1911 - 1912 - 1913 - 1914 - 1915 - 1916 -1917 - 1918 - 1919 - 1920 - 1921 - 1922 - 1923 - 1924 - 1925 - 1926 - 1927 - 1928 - 1929 - 1930 - 1931 - 1932 - 1933 - 1934 - 1935 - 1936 - 1937 - 1938 - 1939 - 1940 - 1941 - 1942 - 1943 - 1944 - 1945 - 1946 - 1947 - 1948 - 1949 - 1950 - 1951 - 1952 - 1953 - 1954 - 1955 - 1956 - 1957 - 1958 - 1959 - 1960 - 1961 - 1962 - 1963 - 1964 - 1965 - 1966 - 1967 - 1968 - 1969 - 1970 - 1971 - 1972 - 1973 - 1974 - 1975 - 1976 - 1977 - 1978 - 1979 - 1980 - 1981 - 1982 - 1983 - 1984 - 1985 - 1986 - 1987 - 1988 - 1989 - 1990 - 1991 - 1992 - 1993 - 1994 - 1995 - 1996 - 1997 - 1998 - 1999 - 2000 - 2001 - 2002 - 2003 - 2004 - 2005 - 2006.


Indice Analitico: a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z. –  Eventi del 1930. – Altre fonti giornalistiche, periodiche o archivistiche del 1930.




Cap. 1

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Siria e Palestina: panorama economico
La Stampa,
Anno LXIV, n. 136
lunedì, p. 2
9 giugno 1930

GERUSALEMME, Giugno. – Fra gli Stati siriani, il Grande Libano con Beyrrouth ha un’economia più attiva, dipendente dalla varia natura del suo territorio: banca, agricoltura, commercio e soprattutto turismo, poiché vi sono circa trenta buoni centri di villeggiatura, dei quali alcuni anche eleganti, tutti molto frequentati nei mesi estivi. Invece lo Stato degli Ahaoniti è specialmente agricolo: lo caratterizzano fertili pianure, poste a ridosso di una aspra catena montuosa, le cui colture, già prospere e redditizie, sono suscettibili di miglioramento.

La Siria propriamente detta, cioè la regione cui appartengono le città di Damasco, Aleppo ed Antiochia, è rimasta la parte a tipo più prettamente orientale per la civiltà come per l’economia; il suo territorio ha caratteristiche svariatissime, dalla pianura della Beka alle roccie dell’Antilibano ed ai celebri «giardini» di Damasco; ma la sua popolazione, attivissima ma diffidente, resta chiusa in una psicologia difficile. È sempre pronta alla reazione violenta, e, fra tutte le genti locali, è quella che si fa rispettare di più. È nei costume popolare ripetere Chami chumi, cioè  «Damaschino brigante».

Il nucleo Druso vive quasi trincerato nel suo Gebel, senza leggi, senza capi, senza Stato, senza divisioni amministrative. Il suo sistema politico rassomiglia ancora al feudalesimo; ma di quel regime manca uno degli elementi costitutivi, il vassallaggio, ed è formato soltanto con raggruppamenti di clientela e con vincoli gentilizi attorno alle famiglie più potenti. È assai interessante, dal punto di vista etnografico, studiare questa organizzazione, che fa pensare alle antichissime forme originarie delle civiltà antiche.

Il traffico carovaniero è rappresentato dal transito dall’Irak e dalla Transgiordania, e contribuisce, in parte, all’economia generale siriana. In Palestina, invece, oltre al traffico marittimo di Caiffa e di Giaffa, oltre al cospicuo movimento turistico dei Luoghi Santi, l’agricoltura è l’unica risorsa; e questa ancora potrebbe prosperare se il dissidio arabo-sionista non venisse a turbare periodicamente le condizioni di lavoro della popolazione. Anche l’insurrezione del 1929 avrà potuto servire, come apparve dalla nota relazione della Commissione inglese d’inchiesta, a rendere più edotta la Potenza mandataria sulla realtà dell’ambiente. L’Inghilterra, infatti, malgrado la sua secolare pratica di ambienti mussulmani, si è trovata per la prima volta, nella sua storia coloniale, in un ambiente in malsicuro assetto, come quello palestinese, senza aver saputo comprendere che l’arabo sirio-palestinese è ben diverso da tutti gli altri popoli mussulmani sparsi nelle sue colonie primogenite, e diverso, anche, dall’arabo egiziano. Questi infatti è paziente, mansueto, atto al lavoro come le sue stesse bestie da soma e da tiro: è poco intelligente, privo d’istruzione, e conserva, come tutti gli altri mussulmani entrati nell’orbita o sotto il dominio inglese, il suo tradizionale fatalismo e la sua indifferenza, mentre l’arabo sirio-palestinese è vivace, furbo, attivo, pronto alle reazioni, orgogliosissimo.

La lentezza delle comunicazioni e quindi l’impossibilità di rapidi concentramenti e la difficile trasmissione di notizie, oggi sono sparite, per il moltiplicarsi delle linee telefoniche e telegrafiche e per il mirabile sviluppo della rete stradale, la quale, percorsa ormai da innumerevoli automobili, ha messo a contatto centri e villaggi che da secoli vivevano lontani da ogni rapporto col mondo civile ed anche fra loro stessi, cosicché lo scambio di idee, di cose e di persone ha mutato radicalmente, in pochi anni, l’aspetto del paese, rendendo molto più difficile il compito britannico. Da una parte gli arabi del Gebel druso, dall’altra quelli della Transgiordania, sono sempre pronti a fare causa comune con i loro correligionarii palestinesi, ed è prevedibile che l’Inghilterra non dimentichi che una scintilla partita dalla Palestina potrebbe avere conseguenze in tutto il mondo islamitico del vicino Oriente. E non è escluso che siffatte considerazioni non siano state estranee alla formulazione dei criteri con cui fu scritta la relazione della recente inchiesta.

Malgrado tutto quanto s’è detto, dato il grande frazionamento delle popolazioni locali, il compito inglese non deve essere difficile, purché esso non esca dalla sua funzione e riprenda il cammino perduto. Ma poi, quantunque il quadro che precede possa dare una impressione sfavorevole anche sullo sviluppo economico, bisogna rilevare che molti rami di commercio e di produzione sono in condizioni assai singolari. Mentre l’economia della Siria e della Palestina, fu com’è comprensibile, assai spesso danneggiata dalla situazione politica, e si devono guardare con diffidenza gli stessi progressi che ad ora ad ora si verificano, in alcune branche particolari, come, per esempio, nello sviluppo dei trasporti, il progresso è realmente impressionante, e potrà forse essere il primo vero fattore di risveglio del paese. Sotto questo punto di vista la mirabile politica francese di costruzioni stradali è veramente opera colossale e lungimirante e resterà monumento non perituro di civiltà.

Mentre, neppure in progetto, non si è dato sviluppo ai trasporti ferroviarii, una fitta rete di strade ultramoderne permette di traversare tutto il territorio in condizioni invidiabili di comfort; vi sono centinaia di chilometri di vere autostrade asfaltate, con curve sopraelevate, con rettifiche di tracciati e costruzione di ponti ovunque ciò sia necessario, con rifornimenti di carburanti e di lubrificanti in ogni luogo, spesso anche su strade semi-desertiche. Con questo si è ottenuto di dar ai trasporti con autoveicoli uno sviluppo quasi incredibile, e l’automobile è penetrato talmente nei bisogni della popolazione, che, ormai, essa ha percorsa la sua graduale educazione automobilistica con gli stessi svolgimenti che si sono verificati nei paesi occidentali.

Lungo le strade accade spesso che un viandante non si trattenga dal chiedervi un posto sulla vostra macchina, pronto sempre a pagarvi un ragionevole prezzo; ed accade che il materiale automobilistico è sottoposto ad uno sforzo gravissimo, perché troppo spesso si devono vedere macchine sovraccariche. Lo sviluppo, infatti, dell’impiego dei mezzi meccanici di locomozione è avvenuto a rovescio di quello che si è verificato nei nostri paesi; non è, infatti, che l’uso voluttuario si sia esteso e popolarizzato, ma, invece, dallo sbocciare improvviso di migliaia di servizi di pubblica utilità si è andato affermando anche l’uso dell’automobilismo di lusso.

Le comunicazioni avvengono in regioni montuose, aspre e tormentate, o su lunghi rettilinei piani che incoraggiano alle velocità eccessive; e, in quelle regioni, è curioso vedere come si chiede all’automobile lo stesso uso e lavoro continuo ed intenso che si pretende dal dromedario o dal bue da lavoro. Si vedono macchine magnifiche cariche di masserizie, di prodotti agricoli e talvolta persino con un vitellino lattante adagiato sui cuscini. Sui montatoi vi sono assai spesso due arabi con le galabie svolazzanti, e sul paraurti posteriore ve ne è un altro che viaggia ritto come uno staffiere. Tutti questi veicoli marciano a velocità paurose, veri grappoli umani lanciati senza le più elementari cautele lungo le strade di pianura o di montagna.

Si verifica, per un paradossale complesso di situazione economica, che in paesi ad economia agricola povera come questi, l’automobile diviene un genere di prima necessità. Come articolo di lusso poi appartiene agli usi del «bel mondo» locale. A Sofar, Souk-El-Gharb, Dou-El-Choner ed in altri luoghi di villeggiatura esistono innumerevoli alberghi, pensioni e casinos, ove un enorme pubblico, mesto e pittoresco, di egiziani, turchi, greci, europei d’ogni nazione, si dà sfrenatamente alla passion del gioco. In queste località si vedono permanentemente, nelle piazze, centinaia di vetture; lungo le bellissime strade che da questi centri di villeggiatura montana conducono a Beyrouth, ad ogni ora del giorno e della notte, può accadere di vedere vetture marciare in fila indiana, mentre frequenti agenti di polizia regolano inappuntabilmente il traffico. Dall’alto delle colline, di notte, tutte le strade serpeggianti verso Beyrouth sono permanentemente segnate dallo scintillare di fari, sì da dare una impressione di traffico automobilistico assai più intenso di notte fra le più rinomate stazioni climatiche europee.

Il traffico automobilistico Sirio-Palestinese è oggi paragonabile ad una rete di linee di navigazione: le linee di «lungo corso» che partono dai massimi centri per irradiarsi nei punti più estremi del territorio, come. Il servizio «Pullman» Beyrouth-Bagdad; il «gran cabotaggio», cioè i servizi fra i 100 ed i 200 chilometri, per lo più in coincidenza con altri servizi analoghi che procedono oltre; ed infine il «piccolo cabotaggio», cioè l’intenso ed attivo traffico locale. Le linee però sono rappresentate da percorsi stradali non sempre regolari, gestiti da piccole aziende private; ma tuttavia possono essere uno degli elementi più serii per l’avvenire economico del paese, ed una delle maggiori garanzie per la sua solidità commerciale e produttiva nell’avvenire.
A. J.

 


Cap. 2

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Viva agitazione in Palestina per l’impiccagione di tre arabi
La Stampa,
Anno LXIV, n. 144
Mercoledì, p. 1
18 giugno 1930

Titoli: Viva impiccagione in Palestina per l’impiccagione di tre arabi. Un ufficiale britannico ferito. Eccezionale spiegamento di forze. Mitragliatrici e autoblindo appostate per le vie. Ronde di aeroplani.

(Per telegrafo dal nostro corrispondente)

Gerusalemme, 17, notte.

L’impiccagione di tre arabi, rei dei massacri dello scorso agosto, è avvenuta questa mattina ad Acri provocando una minacciosa ripresa dell’agitazione anti-britannica. La massa degli arabi, fieramente indignata, ha aggredito i soldati inglesi di servizio, e un ufficiale è rimasto ferito da colpi di coltello. L’agitazione si è rapidamente estesa in tutta la Palestina: a Giaffa un altro ufficiale britannico è stato aggredito e percosso dalla folla.

Gli studenti di Gerusalemme hanno stabilito di proclamare giornata di lutto nazionale questa dell’esecuzione degli arabi condannati per i noti fatti, e di riprendere contemporaneamente la campagna di boicottaggio contro gli israeliti. Di fronte a questi avvenimenti del tutto inattesi, le autorità inglesi hanno adottalo provvedimenti d’urgenza; infatti nella giornata stessa hanno provveduto a isolare i punti nevralgici, a mezzo di un enorme spiegamento di truppe munite di mitragliatrici e di autoblindate. L’arma aerea, per suo conto, sorvola tutte il territorio per individuare eventuali raggruppamenti di ribelli.

Il conflitto arabo-ebreo e i suoi precedenti

Come sapete, nella estate dell’anno scorso, in tutta la Palestina si verificarono fatti di gravità estrema: nell’agosto tali fatti assursero a vera e propria rivolta armata e si ebbero giornate sanguinose ed eccidi divenuti memorabili. I conflitti fra arabi ed ebrei furono occasionati dalla ben nota questione del Muro del Pianto, sul quale arabi ed ebrei accampano rispettivamente diritti di proprietà. Ma naturalmente questo fu il motivo puramente occasionale; le ragioni del conflitto avendo origini ben più gravi e profonde.

Di tutti i problemi — e ve ne sono molti e tutti importanti — suscitali dalla guerra nell’Oriente, quello della Palestina è senza dubbio il più angoscioso. Con la caduta dell’Impero ottomano sembrava che tutti quei problemi dovessero avviarsi verso la loro soluzione; viceversa si complicarono, anzi in essi subentrò un nuovo elemento di conflitto, vale a dire subentrò l’elemento ebraico, o meglio sionista, che non è altro se non una forma di nazionalismo ebraico. Prima della guerra tale elemento era affatto imponderabile in Palestina, ma in breve tempo in esso è avvenuta una radicale trasformazione.

Allo scoppio della guerra europea, lo stato delle cose in Palestina era il seguente: l’Impero ottomano governava senza alcuna autorità il paese; la Francia aveva perduto una parte del suo prestigio come suprema protettrice degli interessi cattolici, che si polarizzavano verso i rispettivi Consolati e si frantumavano e neutralizzavano di fatto in una quantità di piccole lotte tra i diversi Ordini religiosi. Di questa depressione dell’elemento cattolico approfittavano da una parte i greci ortodossi e dall’altra i protestanti. I sionisti erano ancora fuori dell’agognato territorio, ma facevano in tutti i Paesi del mondo — e specialmente nei più ricchi (Inghilterra, America del Nord) — una incessante opera di propaganda e di proselitismo.

Scoppiata la guerra avvenne che i gruppi etnici, che allora, formavano l’enorme maggioranza del Paese, trovandosi, o intimamente disorganizzati e infiacchiti — come i musulmani — o, frantumati dagli antagonismi — greci ortodossi contro cattolici, e cattolici di varie nazionalità e Ordini religiosi gli uni contro gli altri — ben presto cominciarono a pesare molto meno sui destini del Paese, e, furono soverchiati da piccoli nuclei protestanti ed ebraici, ottimamente organizzati, tenaci, con un programma preciso, decisi a metterlo in atto e pronti ad allearsi. Si intrecciavano in quel tempo interessi vitali per l’Impero britannico. Questo, che aveva già proclamato il protettorato in Egitto, e bloccava i Dardanelli, non poteva non favorire una immigrazione ebraica in Palestina, che gli offriva un sicuro punto di appoggio durante la guerra e in avvenire.

Migliaia di ebrei si avviarono in quegli anni in Palestina, acquistando proprietà fondiarie, attivando commerci; altre migliaia sono affluite dopo che i Trattati di pace hanno dato in mano all’Inghilterra il mandato per la Palestina. Atto fondamentale della immigrazione sionista fu la famosa dichiarazione Balfour del 1917, confermata dal Trattato di Sèvres. Come è noto, la dichiarazione di Balfour premetteva che l’Inghilterra avrebbe impegnato la sua influenza per facilitare lo stabilimento in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico. Garantiva però il rispetto dei diritti civili e religiosi alle altre comunità e agli ebrei lo status politico goduto negli altri Paesi dai quali emigravano.

 Avvenne intanto che gli ebrei acquislarono posizioni di favore negli appalti per i lavori pubblici e in tutto il mondo commerciale. Il decadimento degli arabi, già inizialo da tempo, veniva ad accentuarsi oltre che dal lato morale anche da quello politico ed economico. E da qui è nata la lotta. Tutte le offerte fatte agli arabi sono state da questi respinte e quindi nessun accordo neanche di carattere temporaneo si è potuto concludere.

Le stragi dell’agosto

Scoppiato il primo incidente al Muro del Pianto, l’incendio sorse e si propagò ben presto in tutta la Palestina. Gli arabi, che covavano da anni il loro odio si organizzarono rapidamente in bande agguerrite e si diedero all’incendio e al saccheggio delle abitazioni degli ebrei. Qui si ricorda ancora con terrore la lugubre notte del 28 agosto dell’anno scorso, durante la quale furono massacrate alcune centinaia di israeliti e interi quartieri furono teatro di scene spaventevoli. Gli ebrei venivano inseguiti fin dentro le case, condotti sulle strade e sgozzati miseramente. Gli inglesi, presi alla sprovvista, non furono in grado di arginare prontamente la rivolta scatenatasi in modo così violento, ma in brevi giorni organizzarono la difesa e la repressione fu rapida e feroce.

Di fronte alla gravità degli avvenimenti la Società delle Nazioni, essendo la Palestina paese sotto mandato, intervenne. E allora il Governo inglese provvide a nominare una Commissione d’inchiesta, la quale venne qui, in Palestina, per studiare le cause della rivolta e per presentare al Governo le sue conclusioni.

Recentemente alla Commissione ginevrina dei mandati molto si è discusso del problema palestinese, senza, naturalmente, giungere a soluzioni tali da favorire il ritorno della tranquillità. Ora, questa ripresa dell’agitazione araba contro gli inglesi avrà sviluppi in senso anti-ebraico eguali a quelli dello scorso anno? È quello che si teme. Probabilmente la questione del Muro del Pianto, causa prima e occasionale dei tragici conflitti, verrà nuovamente in discussione. E allora si ricomincierà da capo.

Ebrei e arabi rivendicano entrambi quello storico Muro, che da secoli è teatro di sanguinosi conflitti. Per gli ebrei quel Muro non è tutta una questione religiosa; è massimamente tutto quello che a loro resta dell’antica grandezza. Ma il Muro è altrettanto sacro per gli arabi, perché è di là, secondo la credenza, che Maometto si innalzò verso il Paradiso. Il Muro fa parte anzi della Moschea di Omar, e è di proprietà della fondazione religiosa maomettana di Narlaf. Permettendo agli ebrei di andarvi a pregare, gli arabi non concedono loro che un semplice uso, senza per questo rinunziare al loro diritto di proprietà.

Certo gli inglesi questa volta sono fortemente preparati a fronteggiare qualsiasi avvenimento; e se gli arabi vorranno inoltrarsi nelle vie della lotta troveranno soldati e armi sufficienti a spegnere sul nascere qualsiasi tentativo di ritolta armata.

A. MOMBELLI




Cap. 3

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Il mandato sulla Palestina
La Stampa,
Anno LXIV, n. 218
Sabato, p. 1
13 settembre 1930

Lo storico territorio palestinese, dopo i disordini dell’agosto 1929, continua ad attrarre l’attenzione del mondo politico europeo ed è nuovamente stato oggetto di discussione a Ginevra. Questa volta la discussione era dovuta all’intervento della Commissione dei mandati, e se anche la vertenza non ha assunta l’importanza che pareva potesse attendersi, e non è giunta a nessuna conclusione tale da modificare profondamente la situazione esistente, tuttavia la questione resta, e resterà per molto tempo, una delle più delicate ed importanti fra quelle relative all’assetto dei paesi soggetti a mandato. Le ragioni storiche antiche e recenti che confortano diritti e pretese delle due parti in contrasto, sionisti ed arabi, e quelle altissime che giustificano la vigile attenzione del mondo cristiano e cattolico, costituiscono il motivo ideale di dissidii che possono apparire inconciliabili; aggiungendosi ad esse le ragioni economiche delle parti e della stessa Potenza mandataria, ben si può intendere con quale giustificato scetticismo si siano accolte le conclusioni della Commissione del mandati o gli articoli di quotidiani politici come il «Journal de Genève», i quali affermavano la possibilità di una seria conciliazione fra le opposte tendenze.

L’Inghilterra trova nella Palestina notevolissimi proprii Interessi relativi alla ubicazione geografica del paese ed alla natura delle sue coste. La vicinanza al Canale di Suez fa della regione un retroterra utile per quel vitale elemento del dominio britannico sulle vie d’Oriente, ed il sionismo, come fu giustamente osservato da un collaboratore del «Berliner Tageblatt», può essere un eccellente mezzo per semplificare la penetrazione economica inglese in Palestina; infatti a questo modo, si possono ridurre le somme, già considerevoli (sinora circa 9 milioni di sterline), che dovrebbero impiegarvisi dallo Stato britannico. D’altra parte l’ottimo porto di Haifa può assolvere la triplice funzione di base navale, di base aerea e di stazione di imbarco per il petrolio che l’Inghilterra trae dai pozzi di Mossul; la situazione e la configurazione dell’approdo di Haifa sono tali da consentirvi la creazione di uno dei più importanti scali del Mediterraneo Orientale.

Queste circostanze economiche sono sufficienti per far intendere quanto l’Inghilterra possa tenere al mandato palestinese, e quanto sia interessata al mantenimento della pace e dell’ordine, unica garanzia per lo sviluppo di quanto le importa veramente in quella regione, cioè lo svolgimento dei suoi traffici. L’Inghilterra va seguendo, nel tempo nostro, una politica di penetrazione economica sempre più completa ed intensa, politica le cui ultime conseguenze potrebbero essere il «libero scambio imperiale» sostenuto da lord Beaverbrook ed il graduale abbandono, già attualmente praticato, della diplomazia di «prestigio» e dell’imperialismo territoriale. La Palestina e la sua organizzazione politica sono, dunque, una delle pedine che il Governo britannico muove per la realizzazione di questo suo nuovo metodo di dominio.

Errori, naturalmente se ne fecero, e furono assai gravi: lo si ammette anche da parte inglese, e ne sono implicita prova i provvedimenti che seguirono ai fatti del settembre 1929. Malgrado l’evidente interesse inglese a sostenere l’elemento sionista, la relazione della Commissione Shaw rappresentava una chiara tendenza, largamente condivisa dalla più autorevole stampa inglese, a riprendere in esame le conseguenze della dichiarazione Balfour ed a correggere l’eccessivo ottimismo con cui fu applicata. Il 2 novembre 1917 il Foreign Office rendeva pubblico un voto del Consiglio dei Ministri: «Il Governo di Sua Maestà vede con favore lo stabilirsi in Palestina di una Sede Nazionale per il popolo ebraico, e userà i suoi migliori sforzi per il raggiungimento di questo fine, essendo chiaramente inteso che nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche, esistenti in Palestina, o i diritti e lo statuto politico goduti dagli Ebrei in ogni altro Paese».

La stessa relazione Shaw dimostrava come il principio fondamentale di questo documento, che forma il testo stesso della «dichiarazione Balfour», non sia stato appieno rispettato. D’altra parte quella stessa relazione illustrava come non abbiano corrisposto a realtà, almeno per un certo periodo, gli affidamenti dati da Lord Balfour stesso alla Camera dei Lords il 21 giugno 1922, quando, rispondendo ad una mozione diretta ad ottenere il rifiuto del Mandato inglese sulla Palestina, assicurava la sorveglianza più assoluta allo scopo di impedire alla organizzazione sionistica di usurpare comunque poteri politici e di tendere all’oppressione od al dominio sull’elemento arabo. Quella stessa immigrazione, che Lord Balfour, con la sua autorità di Premier britannico, garantiva «sottoposta nella sua totalità allo studio più accurato» allo scopo di mantenerla nei limiti delle possibilità del Paese e di controllare «carattere e qualifiche» degli immigranti, fu lasciata ben presto al beneplacito di organi esposti ad influenze politiche, cosicché non vi furono limiti alla immigrazione, e la tessera sindacale socialista fu, ben presto, preferita di gran lunga alle precise qualifiche di mestiere.

In un Paese, le cui possibilità economiche possono consentire un forte aumento demografico soltanto dopo un lento ed arduo progresso, si permise la concentrazione di forti gruppi immigrati, non sempre atti al lavoro per il quale venivano chiamati, ed in sproporzione vieppiù grave e preoccupante con le risorse della regione. Mentre non venivano presi nella dovuta considerazione i diritti e le necessità di vita della popolazione preesistente, non si evitavano cause di conflitti religiosi gravissimi, e, talvolta, si ignoravano le ragioni altissime che nello stesso Paese, nella stessa Gerusalemme, potevano avere altri popoli che vi erano legati dai vincoli più sacri. Gli episodi dello scorso anno, e le discussioni che tuttora fervono, indicano l’insuccesso di un metodo di troppa condiscendenza verso la parte che più rispondeva ai veri interessi della Potenza mandatala. È una dura lezione per gli uomini che avevano ed hanno la responsabilità del mandato e per il loro sistema: ma non può, tuttavia, giustificare il più assoluto pessimismo. La Agenzia Ebraica di Palestina non ha indubbiamente fatto il miglior uso della fiducia e dei poteri che le furono concessi dal Commissariato britannico locale; ed è per questo che, anche a Ginevra, si interpreta come uno scacco del suo programma la sua presente situazione.

L’opera moderatrice promessa da Lord Balfour è sostanzialmente mancata; ed è questo il punto debole della politica palestinese. In un territorio come quello, ristretto geograficamente, onusto di tradizioni e di ricordi che costituiscono altrettanti diritti indiscutibili, punto di contrasto fra opposti interessi, non si deve credere di poter liberamente trovare sfogo per imponenti ed improvvisate correnti migratorie. Fra il secolo XVII ed il secolo XVIII l’America del Nord poté ospitare amplissime masse di immigranti britannici, francesi, svedesi ed olandesi; e, non senza contrasti lunghi e sanguinosi, da quel complesso di genti d’origini e di religioni diverse e contrastanti si poté formare una unità statale. Ma la Palestina non ha né l’estensione né le risorse delle sconfinate terre in cui si formarono gli Stati Uniti del Nord America, e non deve quindi credersi che in pochi decenni sia possibile, in condizioni infinitamente meno favorevoli, quello che in due secoli si ottenne faticosamente in un nuovo mondo.

La terra ove sorge Gerusalemme, per tutte queste ragioni, è uno dei Paesi che richiedono la maggior prudenza e saviezza di amministrazione; ma, soprattutto, la Potenza mandataria, qualunque essa sia, ha il dovere di considerare, oltre al proprii interessi, anche le situazioni morali, economiche e demografiche di tutti gli elementi etnici e religiosi, la cui vita converge sulla stessa ristretta striscia di territorio.

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