gennaio 18, 2013

La questione sionista ed il Vicino Oriente – Documentazione tratta da “L’Osservatore Romano”: Cronache dell’anno 1948.

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Mentre valgono le considerazioni generali già fatte per le precedenti fonti documentarie, e cioè: Vedi Elenco Numerico, pare qui opportuno rilevare ogni volta la casualità e imparzialità con la quale le diverse fonti si aggiungono le une alle altre, animati da una pretesa di completezza, che sappiamo difficile da raggiungere. “La Stampa”, fondato nel 1867, rende disponibile il suo archivio storico dal 1867 al 2006. Valgono i criteri generali enunciati in precedenza e adattati ogni volta alla specificità della nuova fonte. Assumendo come anno di partenza il 1921 seguiamo un metodo sincronico, raccordandolo con quello diacronico basato su alcuni anni di riferimento.

LA QUESTIONE SIONISTA
E IL VICINO ORIENTE
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tratta dall’archivio storico de “La Stampa


1948
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Cap. 1

Top supra   31.3.1948 ↓ infra ⤇ plus

Mitra sotto le sottane

La Nuova Stampa,
Anno IV, Nr. 69, p. 3
Mercoledì, 31 Marzo 1948



Titoli: Armi ed armati in Palestina. Mitra sotto le sottane. Gli inglesi non perquisiscono le donne. Mitra sotto le sottane
(Dal nostro Inviato speciale)

GERUSALEMME, marzo. – Tutte le volte che quelli dello Stern fanno un attentato, ci mettono la firma. Cosi non ci sono dubbi. Anche oggi il Palestine Post, l’organo ebreo di Gerusalemme, reca la notizia che ci sono stati quattordici morti a Caifa per lo scoppio di un carro colmo di esplosivo; ed in fondo c’è la solita formula: «Il gruppo Stern si è proclamato autore del fatto, the Stern Group claimed responsibility».

 Sottigliezza talmudica

Così ha fatto lo Stern per le tre bombe sotto un treno che uccisero, oltre a un undetermined number of Arabs ventotto soldati britannici e ventitre ebrei; perché non vanno tanto per il sottile, muoia Sansone e tutti i Filistei. Cosi hanno fatto per quei due piloti britannici degenti in un ospedale che ammazzarono a pugnalate profittando della indignazione popolare per lo scoppio alla via ben Yahuda, dopo che si era diffusa la voce (e magari l’avevano messa in giro loro) che l’attentato era stato commesso da poliziotti britannici. Vi ho già raccontato come sono andate le cose; e passato il primo sdegno, quelli dell’Agenzia Ebraica e il loro giornale, il Palestine Post, e tutti gli ebrei con cui ho parlato hanno deplorato con vive parole l’assassinio dei piloti e le altre malefatte del gruppo Stern; «Danneggiano la nostra causa, — hanno detto; — ci mettono in cattiva luce presso gli americani». «Perché non cercate di fargli intendere ragione?» ho chiesto ad uno dell’Agenzia. «Che volete? Contro quei pazzi ci vorrebbe la forza; e non possiamo mica fare una guerra su tre fronti». «Su tre fronti?». «Si, contro gli arabi, contro i britannici, contro i terroristi». «Ma se ammettete di essere in guerra contro i britannici, siete alleati di quelli dello Stern che dicono che il loro principale nemico non è l’arabo ma il britanno». «No, — rispose seriamente il mio interlocutore; — noi siamo in guerra con gli inglesi perché ci attaccano; quelli dello Stern perché li attaccano». Davanti a questa sottigliezza talmudica ho dovuto tacere, mormorando fra me: tu non credevi che io loico fossi.

 Il gruppo prende nome da un certo studente universitario Stern, che aveva radunato intorno a sé giovani vigorosi e risoluti al tempo della cosiddetta ribellione degli arabi. (Anni 1935-1939; gli arabi chiedevano: 1) un governo proprio in Palestina; 2) la proibizione di ulteriori vendite di terra agli ebrei; 3) l’immediata sospensione dell’immigrazione ebraica; la ribellione terminò, come è noto, quando il governo britannico con il cosiddetto Libro Bianco del 1939 accettò i punti due e tre delle richieste arabe e dette vaghe promesse per il primo punto. È stato detto che l’atteggiamento britannico in Palestina dal 1919 al 1939 rappresentò i tentativi dei successivi governi di Londra d’imporre la politica conseguente alla dichiarazione Balfour ad una maggioranza araba che non ne voleva sapere; dal 1939 in poi, dopo la pubblicazione del Libro Stanco, rappresentò l’intenzione di sostituire questa politica con quella opposta, d’imporre la volontà della maggioranza araba ad una minoranza ebraica che non ne vuole sapere. Il lettore che terrà presente questa definizione non avrà bisogno di altri lumi per capire l’attuale stato delle cose). Poiché in quegli anni gli arabi attaccavano spesso le colonie ebraiche, s’erano costituiti gruppi di coloni e di cittadini per difenderle, con armi e munizioni segretamente raccolte; e di quelle formazioni la più nota e diffusa divenne la Haganah. Lo Stern rimproverava alla Haganah di tenersi sulla difensiva, di agire solo se provocata, di cercare un crisma di legalità presso l’Agenzia Ebraica e le stesse autorità inglesi; lui era per un’azione rapida, immediata, terrorista; sempre presente, sempre minacciosa.

 I «fascisti»

Un giorno Stern cadde in un’imboscata con la maggior parte dei suoi seguaci; lui fu ucciso, gli altri imprigionati; ma un bei giorno gli arrestati si ritrovarono misteriosamente liberi — fu detto che le stesse autorità britanniche ne avevano facilitato la fuga, — e decisero di sciogliere il gruppo. Dopo qualche anno si sparse la notizia che il gruppo era stato ricostituito «perché gli inglesi avevano manifestato chiaro il loro pensiero, di non volere più andarsene dalla Palestina»; e se ne ebbe clamorosa conferma con l’assassinio al Cairo, il novembre del 1944, di lord Moyne, ministro di stato britannico per il Medio Oriente; di cui si diceva che fosse assai più benevolmente disposto verso il Sionismo di tutti gii alti funzionari britannici nel Medio Oriente. Oggi il gruppo è composto, chi dice di trecento, chi di ottocento membri; sono studenti, laureati, tecnici in gran parte; ammiratori della Russia; ma, mi spiegano, non tanto della Russia patria del comunismo quanto della .Russia imperialista che ha una sua politica antibritannica e antiamericana, e dalla quale sperano un intervento decisivo in Palestina a favore dello stato ebraico.

L’altro gruppo terrorista, che si è fatto una grande celebrità con atti violenti anche fuori di Palestina, è l’Irgun Zvai Leumi, letteralmente “Organizzazione militare nazionale”, che non va confuso con lo Stern; anzi i seguaci dell’uno e dell’altro si odiano; per quanto definiti “fascisti” senza discriminazione da quelli dell’Agenzia e dai benpensanti, timorosi che il terrorismo finisca con il danneggiare la causa dello Sionismo, lo Stern è definito gruppo di estrema sinistra; e l’Irgun Zvai Leumi gruppo di estrema destra, organo dell’I.Z.L. (Isedel), partito revisionista, ossia di estremo nazionalismo. Sono da tre a cinquemila, quelli dell’Irgun; partiti da una posizione di terrorismo indiscriminato, oggi che sono stati superati da quelli dello Stern inclinano a maggiore moderazione; da qualche tempo se ne parla meno, sui giornali; adesso si dice che abbiano concluso un accordo con l’Haganah per una collaborazione. Potrebbero essere, dell’Haganah, le pattuglie di punta, le squadre di azione, composte di volontari audaci; mentre l’Haganah diventa ogni giorno più una specie di esercito regolare.

Servizio a coppie 

Anche l’Haganah è cambiata per strada; sorta al tempo della “ribellione”, come ho narrato, come una forza per la difesa delle colonie, è oggi la forza ufficiale dell’Agenzia ebraica, destinata all’integrità delle regioni ebraiche e delle colonie, alla difesa delle strade percorse dalle colonne viveri, ed anche ad azioni di rappresaglia e ad imprese offensive contro le squadre arabe; conta dai 70.000 agli 80.000 iscritti, diremo meglio arruolati. Infatti ogni tanto si leggono ai muri e sui giornali veri e propri richiami alle armi dei giovani ebrei; il Palestine Post del 1° marzo recava un appello del Centro Nazionale di Censimento (Jewish National Census Service) che chiama alle armi “tutti i volontari con cartoline rosse e verdi”; ed un altro del Centro Nazionale di Servizio Militare (Jewish National Service Centre) che invita a presentarsi per essere iscritti in liste di arruolamento (registration) “tutti gli uomini di Tel Aviv dai 26 ai 35 anni”. Regolari reparti di frontiera dell’Haganah ho veduto a Tiberiade verso la frontiera siriana; bei ragazzi alti, robusti, eleganti nella solita uniforme all’americana; senza quell’aria spaurita e triste degli abitanti cittadini, ma con un piglio franco, aperto, sereno; e benché di ognuno si riconoscesse l’origine, la patria lituana, polacca o tedesca o africana o balcanica dei genitori, tutti con un non so che di comune nell’espressione, nei gesti, nello sguardo. E una sera in una piccola trattoria di Gerusalemme vidi entrare alcuni ragazzi, maschi e femmine, che rientravano dall’essere stati di scorta ai convogli di viveri che vengono da Tel Aviv, e che sono quasi sempre attaccati da squadre arabe. Giovanissimi, i ragazzi con giubboni di cuoio, le ragazze con grossi farsetti e gonne fin sotto al ginocchio. Mi meravigliai di quelle sottane; le ragazze ebree hanno un debole per i pantaloni. «Non sa? — mi dissero. — Fanno servizio a coppie, un ragazzo e una ragazza su ogni autocarro. Quando gli arabi attaccano, sparano con i mitra, lanciano le bombe. Cessato l’attacco, la ragazza si siede e si mette a sferruzzare, con le bombe nel petto e i mitra sotto la sottana. Se gli inglesi fermano la colonna per cercare le armi, perché hanno l’ordine di sequestrarle, non trovano nulla. Sono educati, gli inglesi, e si sa che le donne non le perquisiscono».

Paolo Monelli

Cap. 2

Top supra   27.4.1948 ↓ infra ⤇ plus

L’attacco su tre fronti sta per essere sferrato

Nuova Stampa Sera, ult. ed-
Anno II, Nr. 93, p.1
Mar-Mer, 27-28 Aprile 1948

Titoli: Guerra dichiarata in Palestina. L’attacco su tre fronti sta per essere sferrato. Abdullah di Transgiordania, che sarebbe stato riconosciuto “Re della Palestina meridionale” al comando degli eserciti arabi. Mentre i combattimenti infuriano, gli Ebrei preparano una conferenza per risparmiare al Paese sangue e distruzioni.
 
Gerusalemme, martedì sera. –

Mentre gli Inglesi stanno rapidamente ritirando le loro truppe e sgomberando i campi dove queste si erano negli ultimi mesi raccolte, la guerriglia si è tramutata in vera e propria guerra che va estendendosi di ora in ora a tutta la Palestina. E la svolta ufficiale è stata segnata dalla dichiarazione dell’inizio delle ostilità belliche contro il sionismo fatta da re Abdullah di Transgiordania, le cui truppe hanno già occupato Gerico, 8 chilometri oltre il confine.

Re Abdullah — che secondo l’Agenzia Ebraica è già stato solennemente proclamato «Re della Palestina meridionale» assumerebbe personalmente il comando delle truppe unite di Transgiordania, Libano e Siria che marcerebbero assieme a quelle dell’Iraq e a reparti dell’esercito egiziano. La campagna verrà sferrata su tre fronti prima della fine del mese in corso, Re Abdullah di Transgiordania le cui truppe sono entrate in Palestina, seguendo così in grande stile alle operazioni preliminari in corso da questa notte. La grave decisione è stata presa al termine di una riunione segreta tenuta dalla Lega Araba, per conto della quale Abdul Azzam Pascià ha reso pubblica la seguente dichiarazione: «Il Sionismo ha sfidato gli Arabi e questi hanno accettato la sfida. Noi faremo tutto quanto è nelle nostre possibilità per sconfiggere gli Ebrei e restituire la Palestina agli Arabi».

Questo mentre l’artiglieria pesante del Re di Transgiordania apriva il fuoco su Acri e contro le posizioni tenute dalla Haganah a Caifa. Acri è stata investita da terra, da tutti i lati, da truppe ebraiche che si sono impadronite delle alture circostanti e hanno iniziato contro l’abitato un violento fuoco di mortai. Dal mare, velieri e motobarche hanno completato l’investimento col tamburamento di cannoncini. Un contingente di paracadutisti inglesi che si trovava nella zona chiedeva alle unità ebraiche di passare. Al rifiuto opposto gli inglesi aprivano il fuoco con le loro armi automatiche e passavano con tale protezione attraverso un varco creato in un settore ebraico.

A Giaffa da dodici ore sono in corso combattimenti di strada. Le forze dell’Haganah avanzano dalla Posta Centrale, sopraffacendo tutte le linee di difesa arabe. Violente esplosioni si sono verificate nei pressi della King George Avenue, la principale via della città. Le ultime informazioni dicono che i combattimenti stanno prendendo uno sviluppo eccezionale e che reparti della Legione araba di Transgiordania sono riusciti a penetrare nell’abitato prima che Giaffa venisse investita dagli ebrei.

Anche presso Tel Aviv e in molte altre località i combattimenti infuriano. In una nota trasmessa all’Alto Commissario britannico per la Palestina, Sir Alan Gunnlngham, che a sua volta l’ha inoltrata al Governo di Londra, re Abdullah di Transgiordania ha chiesto che agli arabi venga concessa la sovranità sulla Palestina, dopo che la Gran Bretagna avrà deposto il mandato su di essa. Inoltre Abdullah ha chiesto il controllo su Gerusalemme, Nazareth e Bethlemme in quanto luoghi santi per arabi, cristiani e mussulmani. Nella nota si precisa che agli ebrei verrà concesso un focolare nazionale.

A sua volta l’Agenzia ebraica, venuta a conoscenza della nota in questione, ha inviato un telegramma a re Abdullah nel quale si afferma che la pace in Palestina non potrà essere raggiunta con le minacce e le intimidazioni, ma unicamente con la tolleranza e la comprensione reciproca e propone una conferenza alla quale dovranno partecipare entrambe le parti, senza però la presenza degli estremisti «I quali mirano unicamente alle distruzioni ed agli spargimenti di sangue».

A Gerusalemme una violenta esplosione nei magazzini Silberstein, a quattro isolati di distanza dalla sede del consolato degli Stati Uniti, ha causato danni gravissimi all’edificio. Il console d’Italia a Gerusalemme avrebbe chiesto urgentemente al nostro Governo d’inviare una compagnia di marinai per proteggere il consolato. Si crede che la richiesta di protezione possa esser accolta.

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Cap. 3

Top supra   28.4.1948 ↓ infra ⤇ plus

Truppe della Lega Araba cominciano ad affluire in Palestina

La Stampa,
Anno IV, Nr. 9, p. 1
Mercoledì, 28 Aprile 1948

Titoli: Truppe della Lega Araba cominciano ad affluire in Palestina. Gli ebrei uniscono le loro forze. Si attende una vasta azione su Gerusalemme.  Battaglia a Giaffa e a S. Giovanni d’Acri.

Londra, 27 aprile. – 

Una colonna di circa 10 mila uomini della Legione araba, in pieno assetto di guerra, è entrata in Palestina dalla Transgiordania per rinforzare il distaccamento accampato presso Gerico. Pare che l’obiettivo delle forze arabe sia Gerusalemme. La città santa è intanto premuta dalle forze ebraiche, che attaccano accanitamente i capisaldi della periferia. Un’offensiva araba è prevista lungo le rive del lago di Tiberiade, tra la città omonima e Nazareth. Nelle regioni settentrionali della Palestina, forze irachene e siriane sarebbero in procinto di iniziare azioni simultanee per una avanzata su Haifa. Dal Cairo sono partiti stamani treni carichi di truppa per ignota destinazione. In tutti i paesi arabi fervono preparativi di guerra e gli stati maggiori discutono piani comuni. Comandante in capo di tutti gli eserciti arabi è stato nominato Dwgi el Kaukgi.

Anche gli ebrei si organizzano e, dopo il dissidio sorto tra l’Irgun e l’Haganah a proposito dell’attacco a Giaffa, oggi il consiglio sionista ha ratificato la fusione delle due organizzazioni. Tutta la popolazione ebraica palestinese di ambo i sessi, dai 17 ai 25 anni, è stata mobilitata; nel bando, è previsto il richiamo di altri contingenti fino al trentacinquesimo anno di età. I capi militari starebbero preparando un’azione per far saltare il ponte di Allenby, sul Giordano, principale mezzo di collegamento fra la Transgiordania e la Palestina.

I combattimenti a S. Giovanni d’Acri ed a Giaffa sono continuati oggi con maggior accanimento dalle due parti, ma gli arabi oppongono, nei due centri, un’accanita resistenza. Elementi d’assalto sionisti sono riusciti a penetrare in due quartieri di Giaffa, superando la seconda linea difensiva. La popolazione araba continua l’esodo dalla città contesa a bordo di automezzi britannici, dirigendosi verso il Libano, ove sono già giunti oltre duemila profughi in condizioni miserevoli. A S. Giovanni d’Acri, una compagnia di paracadutisti inglesi, «diavoli rossi», che aveva chiesto invano alle forze ebraiche via libera, si è aperto un passaggio con l’uso delle armi.

Tutta la Palestina vive ormai in stato d’allarme e tutti si preoccupano di procurarsi scorte di viveri. L’autorità costituita non è più in grado di mantenere le comunicazioni e lo stesso ordine pubblico nei centri urbani è alla mercé dei più forti. A Tel Aviv un gruppo di ebrei armati, appartenenti probabilmente alla banda Btern, ha svaligiato la sede della Barklay’s Bank, impadronendosi di oltre 250 mila sterline.

La situazione in Terra Santa è seguita con particolare interesse a Londra. Re Abdallah, della Transgiordania, ha fatto pervenire al governo britannico, tramite l’alto commissario Cunningham, una richiesta perché venga concessa agli arabi la sovranità sulla Palestina alla prossima scadenza del mandato inglese. Nella nota egli precisa che agli ebrei verrebbe concesso un «focolare nazionale».

 Il capo dell’agenzia ebraica Moshe Ihertok ha dichiarato a sua volta oggi a Lake Success che appena si ritireranno le truppe inglesi i sionisti proclameranno lo stato ebraico di Palestina. Gli ambienti diplomatici londinesi mantengono il massimo riserbo sulle eventuali decisioni ed ignorano «ufficialmente» la dichiarazione di guerra di Abdallah al Sionismo. Si ritiene tuttavia che l’intervento delle forze transgiordane in Palestina potrebbe determinare una crisi nelle relazioni fra la Gran Bretagna con i paesi arabi. I commentatori governativi ripetono che non sarebbe giustificato per l’Inghilterra l'inizio di operazioni militari sia contro gli arabi che contro gli ebrei, tenendo conto che il mandato in Palestina scade tra pochi giorni.

Molte preoccupazioni desta però l’atteggiamento di Abdallah, specie una sua allusione ad un probabile appello alla Russia ed ai paesi satelliti. Il ministro degli Esteri Bevin ha sollecitato l’invio di relazioni particolareggiate dai funzionari britannici in Palestina e dal ministro inglese in Transgiordania, per rendersi esatto conto della situazione. Anche la presa di posizione egiziana interessa da vicino il Foreign Office, ma ancora nessun commento è stato fatto alla notizia che il governo del Cairo ha vietata la navigazione nelle acque territoriali egiziane per una fascia costiera di circa 20 miglia. Il provvedimento è interpretato come un passo preliminare verso il blocco della costa palestinese tenuta dagli ebrei.

Dispaccida. New York parlano del crescente allarme americano per il taglio dei condotti di petrolio dell’Iraq che sboccano ad Haifa. Quasi tutto il prodotto era stato prenotato per essere distribuito in Europa, secondo il Piano Marshall. Anche il Dipartimento di Stato segue con vivo interesse lo svolgersi della situazione in Palestina.


Cap. 4

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Tel Aviv bombardata all’alba da “Spitfires”

Nuova Stampa Sera,
Anno II, Nr. 108, p. 1
Sabato-Domenica, 15-16 Maggio 1948

 Titoli: Tel Aviv bombardata all’alba da “Spitfires”. Stava parlando alla radio il primo ministro dello Stato d’Israele e i boati delle esplosioni sono stati uditi a Gerusalemme come a Nuova York. Poi la trasmittente ha taciuto. Primi scontri in terra fra le forze nemiche, mentre dall’Egitto sta per scatenarsi l’offensiva di una divisione corazzata. La corvetta “Baionetta,, a Caifa e Giaffa, per prendere a bordo i nostri connazionali.

Gerusalemme, sabato sera.

«Gerusalemme è degli ebrei!». Con questo grido fu iniziata ieri la cerimonia di proclamazione del nuovo Stato d’Israele. Undici minuti dopo la proclamazione gli Stati Uniti riconoscevano il nuovo Stato, seguiti a qualche ora dal Guatemala e più tardi dalla Russia. Nello stesso tempo le forze transgiordane e quelle egiziane procedevano al loro ammassamento e i rispettivi comandi militari emanavano gli ordini per l’invasione della Palestina e la guerra contro gli ebrei.

Avevano così inizio i primi scontri in Terrasanta. L’Haganah occupava posizioni chiave a nord di Acri e attorno a Caifa, e nella stessa Gerusalemme fra cui l’ospedale governativo, la sede della Barelay Bank e l’ospedale italiano. Combattimenti si ingaggiavano e sono tuttora in corso alla periferia del monastero francese di Latrun dove gli arabi si sono trincerati. In questo momento i monaci francesi stanno cercando di fare raggiungere una tregua per risparmiare l’edificio da sicura distruzione. A sud di Gerusalemme gli arabi hanno invece occupato Kfar Etzion.

Ma la notizia più grave si diffondeva stamane. Il primo ministro dello Stato d’Israele, Ben Gurion, stava parlando alla radio di Tel Aviv e rivolgeva un appello alla cooperazione fra arabi ed ebrei per la pace, il progresso e il benessere dei due popoli, chiedendo l’aiuto delle «persone dabbene di tutto il mondo», quando d’improvviso la trasmissione si interrompeva. Furono uditi dei boati e poi una voce annunciare «Tel Aviv è bombardata da apparecchi nemici». Poi l’emittente ebraica ha taciuto.

Più tardi si è appreso che sei «Spitfires» avevano bombardato il porto ebraico di Tel Aviv. Si sa che gli apparecchi sono stati fatti segno al fuoco di armi normali, in mancanza di artiglieria contraerea. Ogni aereoplano ha lasciato cadere due bombe. La nazionalità degli Spitfires è fino a questo momento sconosciuta. Gli apparecchi portavano sulle ali un distintivo circolare grigio e nero. Le bombe sono state sganciate in picchiata. L’attacco è stato diretto particolarmente contro il porto e l’aerodromo.

Alle 11 Tel Aviv è stata sorvolata da apparecchi egiziani, che hanno lanciato manifestini scritti in ebraico, in arabo e in inglese. I manifestini dicono: Desistete da una resistenza che sarebbe inutile. In nome della pace, invitiamo tutti gli abitanti ad arrendersi e a issare bandiera bianca. Le armi, le munizioni e ogni altro materiale bellico devono essere consegnati nello stato in cui si trovano. Se la resa non avverrà, sarete trattati da aggressori».

L’intimazione è stata respinta, non solo, ma dovunque l’Haganah è passata all'offensiva. La radio dello Stato d’Israele ha così annunciato a mezzogiorno l’occupazione di San Giovanni d’Acri, aggiungendo che le forze israelitiche controllano già virtualmente tutta la Galilea occidentale. Anche qui a Gerusalemme l’Haganah ha agito con decisione e abbondanza di mezzi. Alle 12,30 l’intera città era nelle mani degli ebrei.

Dai centri arabi le notizie arrivano confuse. Si guarda con ansia all’azione dell’esercito egiziano. Tutto l’Egitto ha assunto l’aspetto di un Paese in guerra. Al Cairo sono stati arrestati stamane seicento ebrei e molti stranieri sospetti che con autocarri sono stati immediatamente avviati ai campi di concentramento predisposti in questi giorni. Molti sperano che in caso di necessità, la Turchia, la Persia e il Pakistan intervengano a fianco dei popoli arabi in lotta contro il sionismo.

Dal Cairo notizie non ancora confermate annunciano che diecimila soldati egiziani e una divisione corazzata stanno ultimando i loro preparativi d’attacco alla frontiera meridionale della Palestina. Re Faruk ha diretto un proclama alle truppe egiziane avanzanti in Palestina nel quale sottolinea «la missione di gloria affidata alle forze armate dell’Egitto» e conclude con queste parole: «Dio è con noi e per volontà di Dio la vittoria sarà nostra!». Da Roma è giunta, attraverso fonti diplomatiche, la notizia che la corvetta italiana «Baionetta» è salpata questa mattina per Caifa e Giaffa dove prenderà a bordo gli italiani che desiderano lasciare la Palestina.

Il bombardamento udito in America.

New York, sabato sera.
La «Columbia Broadsasting System» annuncia che mentre si udivano le parole di Ben Gurion: «In questo momento bombardano Tel Aviv» era possibile sentire i boati delle esplosioni.

Uno «Spitfire» abbattuto a Tel Aviv.

Tel Aviv, sabato sera.
L’Haganah ha annunciato ufficialmente che stamani è stato abbattuto uno «Spitfire» nemico nella regione di Tel Aviv. Sembra che il pilota, un egiziano, sia stato catturato. L’aereo è stato fatto precipitare nella seconda incursione compiuta nella mattinata su Tel Aviv, a tre ore di distanza dalla prima. Gli aerei hanno sganciato bombe ed hanno mitragliato vari obiettivi.

Si prega a Bagdad per la vittoria araba.

Cairo, sabato sera.
Nelle moschee di Bagdad vengono elevate preghiere per il successo delle armi arabe. In città la vita sembra continuare normalmente: nei bazar e nei piccoli centri caffè sulle sponde del Tigri gli arabi svolgono la loro solita attività e non si vedono soldati né automezzi militari. I prezzi però hanno cominciato ad aumentare e fra la popolazione si manifesta la convinzione che la lotta sarà dura e forse lunga, sebbene tutti manifestino la certezza della vittoria finale.

In festa gli ebrei questa notte a New York.

New York, sabato sera.
L’annuncio del riconoscimento del nuovo stato d’Israele da parte del governo di Washington è stato accolto con gioia profonda da tutti gli ebrei degli Stati Uniti. Centinaia di giovani israeliti hanno inscenato manifestazioni entusiastiche nella «Times Square» dove hanno trascorso quasi tutta la notte cantando ed agitando bandiere.

Alzabandiera a Roma all’«Agenzia ebraica».

Roma, sabato sera.
Questa notte numerosi israeliti si sono riuniti nella sede della delegazione dell’«Agenzia ebraica» in Italia, in via Reno n. 2, per la cerimonia dell’alzabandiera, primo atto solenne nell’istante della proclamazione dello Stato ebraico.



Cap. 5

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Primo giorno di guerra in Palestina

La Nuova Stampa,
Anno IV, Nr. 108, p. 1
domenica, 16 maggio 1948

Titoli: Gli Arabi contro lo Stato d’Israele. Primo giorno di guerra in Palestina. Quattro incursioni su Tel Aviv. Popolazione di una colonia ebraica massacrata. Intrighi e interessi.
I fatti della Palestina rientrano nel quadro del dissolvimento dell’impero britannico. La Terra Santa, non colonia inglese, né dominio, era solo sottoposta a mandato; tuttavia il capitolo della storia d’Inghilterra in cui si parla di abbandono di territori sui quali aveva sventolato l’Union Jack si è incominciato a scriverlo appena dopo l’ultima guerra, quando l’esausto vecchio e grande impero, ha dovuto rinunciare alla difesa a tutti i costi delle antiche posizioni, cedendo lo scettro mondiale agli Stati Uniti. Dall’India si è ritirato l’anno scorso dopo circa due secoli e mezzo, e ieri si è ritirato dalla Palestina, dopo ventisette anni.

Stragi e lutti non ancora finiti successero in India al tramonto della dominazione britannica e in Palestina abbiamo guerra dichiarata fra ebrei e arabi: ci rattrista l’averlo profetizzato già nel dicembre e più tristi saremo se, non sopravvenendo una tregua o un accordo, il conflitto avesse per gli ebrei, oggi in preda a un meraviglioso entusiasmo, l’esito da noi temuto. Ma il conflitto non sarà facile limitarlo agli arabi e agli ebrei della regione, giacché Paesi arabi confinanti sono intervenuti e altri forse interverranno. C’è nello sfondo una rete di intrighi, di gelosie, di interessi che ostacola terribilmente la soluzione. Se re Faruk fa gli auguri al comandante delle sue truppe destinate ad agire oltre la frontiera, questo ad esempio vuol dire che il sovrano egiziano tiene nel mondo arabo al posto di primus Inter pares.

Faruk, in certo senso, sta alle calcagna di re Abdallah di Transgiordania troppo ligio agli inglesi, che lui non ama:. Faruk non può permettere che la crisi palestinese si risolva ai suoi danni con un ingrandimento della Transgiordania, base militare britannica del Levante, ed entra in guerra per accaparrarsi il diritto di dire la sua il giorno dell'epilogo. Sbagliano quanti pensano che Abdallah, occupata che abbia la parte araba della Palestina, si arresterà rispettoso ai confini del novello Stato ebraico: gli arabi di tutto il Levante non vogliono che con una passeggiata militare egli ingrandisca il suo reame, bensì si aspettano la libertà della Palestina intera.

II Muftì di Gerusalemme sta a Damasco assieme a Fauzi Kaugi, e alla corte di Ibn Saud gode di asilo quel Rashid el Gailani che nel 1941 osò scatenare nell’Irak una sommossa anti-inglese: e contro l’Inghilterra l’Irak ha osato ribellarsi di nuovo tre mesi addietro, rovesciando il Governo che aveva sottoscritto un trattato il quale riportava il Paese alle condizioni di sette anni fa. Abdallah di Transgiordania queste cose le conosce molto bene.

Le conosce oramai molto bene la stessa Inghilterra. Perciò oggi esita a imitare il gesto americano del sollecito riconoscimento de facto dello Stato di Israele. Il Presidente degli Stati Uniti non ha, purtroppo, trattato il problema palestinese colla fermezza che caratterizza altre sue azioni: un giorno l’ha preoccupato il voto degli influenti elettori ebraici in America e all’indomani si è tirato indietro a motivo degli interessi petroliferi americani del vicino Oriente; un giorno ha intimato all’Inghilterra di lasciare subito immigrare in Palestina centomila ebrei e quando l’Inghilterra ha deciso di cavarsi fuori dagli impicci restituendo il mandato alle Nazioni Unite, ha approvato un programma di spartizione che poi lo ha reso perplesso. Non si è voluto schierare né contro gli arabi né contro gli ebrei.

Per ultimo l’ha impaurito la visione dell’intervento russo in Palestina che senza dubbio sarebbe stato inevitabile se il Consiglio di sicurezza dell’U.N.O. avesse deciso un’azione collettiva di polizia: sarebbero passati i russi per i Dardanelli o per la Persia? E si sarebbero poi ritirati al termine del compito comune? Chi ponga mente alla politica svolta da Washington in Turchia, in Persia e in tutto il bacino del Mediterrano, riconoscerà che quel tipo di azione collettiva era impossibile. Ma ciò non vieta alla Russia di approfittare ugualmente della confusione palestinese, dato che forti gruppi ebraici, spinti dalla disperazione, volgono lo sguardo verso Mosca che non è per nulla propensa, ne siamo convinti, a compromettersi né per gli ebrei né per gli arabi. Tale e quale come l’America.

Oggi noi escludiamo che la guerra — una piccola guerra, ma sanguinosa e dolorosa lo stesso — possa essere soffocata sul nascere: occorreranno tempo, sacrifici e pazienza, né crediamo che dal conflitto possa scaturire un consolidamento della posizione degli Stati occidentali nel Levante. Altre tendenze ispirano le azioni dei popoli orientali, dal Mediterraneo al Mar Giallo e al Pacifico, e così quelle degli arabi dal Mediterraneo all’Atlantico. E il meglio è forse che ad un accordo in Palestina gli ebrei e gli arabi arrivino da soli, potendo interferenze straniere provocare maggiori sciagure.

 Italo Zingarelli


Cap. 6

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Una lotta aspra

La Nuova Stampa,
Anno IV, Nr. 108, p. 1
domenica, 16 maggio 1948

Titoli: Una lotta aspra. L’offensiva araba si delinea su tre direttrici. I sionisti decisi a battersi fino all’estremo.

(Nostro servizio particolare)
Tel Aviv, 15 maggio.

Lo Stato di Israele ha un giorno di vita. E un giorno di vita ha pure la «guerra» vera e propria. L’Haganah ha cessato di esistere, sotto tale nome, e si è trasformata in «esercito di Israele». La formazione ebraica ha quindi perso il carattere di «corpo di polizia» per acquistare quello di reparto combattente, agli ordini del nuovo governo.

Dopo l’entusiasmo e l’ottimismo di questa notte nella nuova capitale, è subentrato un sentimento di serietà e gravità. Gli ebrei sono perfettamente coscienti della situazione, e sanno che le forze arabe sono decise a tutto. Anche i primi successi ebraici contro posizioni locali arabe, sembra facciano parte di un piano prestabilito da parte dell’alto comando arabo. Infatti le formazioni della legione araba, allo scadere dell’ora zero, si sono tutte ritirate su isole di resistenza tenendo impegnate saldamente le forze ebraiche partite con decisione all’attacco. Lo scopo di questa manovra sembra chiaro: legare gli ebrei ad una guerra di posizione, per dar tempo agli eserciti di invasione, che urgono da tutte le frontiere, di coglierli alle spalle.

Le direttrici di marcia sono per il momento tre: dal Libano, dove colonne corazzate hanno investito il caposaldo di Dan, dalla Transgiordania che ha visto l’occupazione di Gerico, e dal sud, da parte egiziana, di dove però non si registrano azioni di movimento. Gli ebrei hanno sferrato la offensiva contro le posizioni della Galilea occidentale, che dichiarano ormai in loro possesso, e sulla rotabile Tel Aviv-Gerusalemme, che deve essere mantenuta libera, per permettere il flusso dei rifornimenti alla Città Santa.

L’azione aerea su Tel Aviv ha permesso di registrare fino a questo momento quattro attacchi: il primo contro il porto e l’aerodromo, terminato con l’incendio di un capannone e di un apparecchio al suolo, il secondo e il terzo respinti dalla caccia israelita. Probabilmente il terzo era diretto contro le due navi ebraiche provenienti da Cipro e da Marsiglia con a bordo un migliaio di profughi. Il quarto è avvenuto nelle tarde ore del pomeriggio sulla città.

Gli attacchi però non sono riusciti. La caccia ebraica si è levata tempestivamente, respingendo con pronta azione gli aerei cacciabombardieri egiziani, i quali hanno rotto immediatamente il contatto. Un aereo è stato abbattuto, ed il pilota si è salvato col paracadute, venendo immediatamente fatto prigioniero. Era un ufficiale egiziano proveniente da un corso di addestramento seguito l’inverno scorso negli Stati Uniti.

 Ma questo riferimento alla America, anche nel campo arabo, non ha sminuito la popolarità alla quale sono immediatamente assurti gli americani, dopo la dichiarazione di Truman, che ha riconosciuto lo Stato di Israele. Un portavoce del governo di Israele, interrogato in proposito allo svolgimento delle operazioni, affermava questa sera che la situazione, pur mantenendosi per il momento nettamente favorevole all’iniziativa sionista lascia adito a poche speranze. La disparità delle forze è troppo evidente. Tuttavia, ha aggiunto il portavoce, la decisione di proseguire è fermissima nell’animo di tutti. Anche se la vita ufficiale del nuovo Stato ebraico dovesse essere di breve durata, egli ha precisato, si tornerebbe alla lotta clandestina, in cui gli ebrei sono maestri, e si continuerebbe a combattere fino all’ultimo uomo e fino all’ultima cartuccia. Un fattore indiscutibilmente positivo anche nella probabilità di questa evenienza è rappresentato dall’apporto di forze nuove che giungono a migliaia da tutti i paesi europei. Oggi per la prima volta due navi sono entrate nel porto di Caifa ed una proveniva dall’Italia.

A Tel Aviv la situazione è calma. La città è rimasta oscurata nella notte, facendo vivo contrasto con la vicina Giaffa, illuminatissima. La linea di confine è guardata da reparti dell’esercito e della Irgun, che controllano la cosiddetta terra di nessuno, alla ricerca di mine. Ma oltre questa linea, come già prima, non si può circolare e chiunque viene sorpreso a oltrepassare la zona limite — dice un comunicato dell’esercito — verrà fatto segno a fuoco immediato senza preavviso. La intera popolazione della colonia ebraica di Kfar et Zion è stata massacrata dagli arabi.

In serata si è appreso che le truppe egiziane hanno occupato Gaza a 32 Km. oltre la frontiera palestinese. Dalle linee di combattimento dispacci dell’ultima ora rendono noto che da parte araba l’impiego di mezzi è eccezionalmente notevole e modernissimo. Si parla, e sono fatti sicuri, di rifornimenti aerei della migliore tecnica, alle colonne in marcia, e di truppe aerotrasportate, di reparti di guastatori. Guerra vera, quindi, e moderna, cioè micidiale.

Leo Turner 


Cap. 7

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Londra non riconosce il nuovo stato sionista

La Nuova Stampa,
Anno IV, Nr. 108, p. 1
domenica, 16 maggio 1948

Londra, 15 maggio. 

Sebbene non sia stata fatta finora alcuna dichiarazione ufficiale, si può ritenere per certo che per il momento il Governo britannico non riconoscerà lo Stato ebraico in Palestina. 



Cap. 8

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Truman abolirà l’embargo sulle armi?

La Nuova Stampa,
Anno IV, Nr. 108, p. 1
domenica, 16 maggio 1948

(Dal nostro corrispondente)
 Washington, 15 maggio.

L’attenzione del mondo è attratta dalla dichiarazione di Washington di riconoscere lo Stato di Israele. Regna in proposito una certa perplessità, in quanto questa mossa non era prevista. Il segretario della Casa Bianca, Charles Ross, ha tenuto a proposlto una conferenza stampa, precisando che le reazioni del paese erano per il momento pienamente favorevoli.

Dal canto suo il segretario di Stato Marshall ha dato disposizioni severissime ai funzionari del dipartimento di Stato, vietando loro, sotto minaccia di sanzioni immediate, di discutere con giornalisti la questione del riconoscimento del governo di Tel Aviv.

Un portavoce ha fatto sapere che il Presidente Truman starebbe considerando l’eventualità di intraprendere relazioni diplomatiche con il governo di Israele. Si è anche parlato di una reazione di Warren Austin,, che avrebbe dato le dimissioni dalla carica di capo della delegazione statunitense alle Nazioni Unite, voce non confermata negli ambienti ufficiali, perché non informato della decisione di Truman e quindi posto in una situazione di grande imbarazzo. Dalla Casa Bianca, infine giunge un’altra notizia secondo la quale il Presidente Truman starebbe studiando la proposta di togliere l’embargo agli invii di armi in Palestina.

 e. d. 



Cap. 9

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Esame a Mosca e negli S. U. delle possibilità di accordo

La Nuova Stampa,
Anno IV, Nr. 108, p. 1
domenica, 16 maggio 1948

Washington, 15 maggio.

Funzionari americani hanno cominciato ad esaminare le possibilità di pace che potrebbero derivare da eventuali conversazioni russo-americane e ciò nella speranza di mettere fine alla guerra fredda in atto, e si ritiene che altrettanto stiano facendo Stalin e i membri del Polit Bureau. È opinione generale che dopo il recente scambio di note fra Washington e Mosca la porta sia ancora aperta per la pace. Sembra pertanto probabile che, tra una o due settimane, partirà da una delle due capitali una nota per sondare quali possibilità di discussione esistano.

Cap. 10

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Un ministro d’Israele

La Nuova Stampa,
Anno IV, Nr. 134, p.3
giovedì, 17 giugno 1948
(Dal nostro inviato speciale)
TEL AVIV, giugno.

Tel Aviv venne fondata nel 1909 come un sobborgo ebraico di Giaffa; adesso Giaffa è un sobborgo arabo di Tel Aviv, ma la capitale non dispone di palazzi per i vari ministeri. È un fatto sorprendente se si tiene conto della rigorosa quanto occulta pianificazione che guida le mosse del sionismo. Né si deve pensare ad una furberia ebraica per non dar nell’occhio agli arabi e all’Inghilterra. Gli arabi quasi non si accorsero delle sessanta famiglie sbarcate sulla lista sabbiosa della costa e alloggiate in baracche di latta; gli inglesi pur seguendo attentamente quanto accadeva nel Medio Oriente non ritennero pericolosi, almeno pel momento, quei disperati pionieri. Gli ebrei nel giro di quarant’anni tirarono su una capitale di duecentocinquantamila abitanti, ma non i ministeri dello stato futuro. Oggi sono costretti ad improvvisarli. Il ministero degli esteri si trova, per esempio, in un villino in costruzione, alla periferia, tra molti altri fatti in serie e disseminati entro un bosco di pini. Vi lavorano manovali e falegnami, stuccatori ed elettricisti.

 Il ministro Moshe Shertok è un infaticabile parlatore: la fluidità delle sue otto lingue (ebraico, yiddisch, inglese, francese, tedesco, arabo, turco, spagnolo) non sopporta inopportune interruzioni. Egli riesce, parlando, a schematizzare su un blocchetto di carta piante e tracciati a commento di ciò che espone con cartesiana chiarezza. È un russo di Cherson, ove nacque cinquantanni fa; ma è turco come formazione universitaria e militare, essendosi laureato in diritto a Istanbul e avendo servito la Sublime Porta come ufficiale dell’esercito. Può anche considerarsi inglese come mentalità e studi economici, visto che ha preso la laurea in economia politica a Cambridge; ma il signor Shertok, se si tengono nel dovuto conto le relazioni da lui strette con le famiglie effendiali della Palestina, del Libano, della Transgiordania, si può considerare anche intimo del mondo arabo. Malgrado sembri incredibile, il ministro degli esteri d’Israele, è legato di gratitudine alla famiglia di uno dei più accaniti nemici degli ebrei, il re Feisal dell’Irak, nipote di Hussein effendi che protesse Shertok da bambino e ne curò l’educazione. A questi dati principali della complessa personalità del signor Shertok va aggiunto che stabilito il mandato inglese sopra la Palestina egli divenne sionista. Ma il giovane Shertok accettò il sionismo principalmente perché prometteva agli ebrei di farli vivere e non morire in Palestina. Entrò nella politica, divenne presto un notevole esponente del partito laburista ebraico. Oggi è il partito di Governo più numeroso; la sua sigla è MAPAI (Mifleghet Poatei Eretz Israel) ma la sezione alla quale appartennero i membri russi si chiamò Polè Zion. Al ritorno da Londra, dopo il conseguimento della laurea, Shertok entrò nella Agenzia Ebraica, come segretario del capo della sezione politica, un altro russo di nome Arleosorov. Avremo modo di chiarire quale rigorosa opposizione esercitino in seno all’Agenzia Ebraica le altre correnti politiche. Nel caso specifico del signor Arleosorov il partito revisionista, meglio noto come ZO (Zionist Organisation) non ne approvò la politica di compromesso. Per intenderci i revisionisti ebraici sono dei nazionalisti di estrema destra assai somiglianti ai nostri corradiniani di 40 anni fa. A costoro non repugnano certi metodi polemici. In breve: Arleosorov venne assassinato a Tel Aviv e Shertok gli succedette nel posto. Da questo momento in poi egli sarà l’esecutore della politica decisa a Washington e a Londra dai capi del sionismo mondiale. Siamo nell’anno 1933.

Le idee del signor Shertok, pel futuro immediato del suo paese sono queste che tento di riassumere. In primis: gli ebrei non hanno scelta; essi o saranno nazione riconosciuta o non saranno. Se il riconoscimento più o meno immediato da parte dell’Inghilterra e delle potenze mondiali non dovesse avvenire gli ebrei sarebbero destinati a perire. Ma è impossibile sopprimere dei popoli; Hitler stesso lo ha tentato senza riuscirvi, quindi gli ebrei la spunteranno. Inoltre: gli ebrei desiderano uno stato di parità con le nazioni arabe e con le altre nazioni. La questione di Gerusalemme è per gli ebrei di primaria importanza poiché la maggioranza della popolazione è israelitica. Tuttavia il governo di Tel Aviv accetta il progetto di internazionalizzazione dei Luoghi Santi, nella Città Vecchia; mentre la Città Nuova, può essere spartita con gli arabi. Infine: possibilità di creare una unione economica, sul tipo del Benelux, con gli stati arabi. Insomma il signor Shertok è un collaborazionista e crede di poter andare d’accordo con gli arabi allargando ai loro paesi il dinamismo, la potenza penetrante, la avanzatissima democrazia dello stato ebraico.

Non sono credibili, almeno per il momento, tali idilliache possibilità. L’Iniziativa ebraica e la modernità del suol metodi costituiscono agli occhi degli arabi un pericolo di cui lo sviluppo di Tel Aviv è la prova vivente. Allora? Gli ebrei sanno attendere, benché il Governo e il signor Shertok stesso si trovino sotto l’acuta sollecitazione di partiti d’opposizione che come quello revisionista, dispongono di argomenti polemici del tipo sperimentato dal signor Arleosorov, quindici anni fa. I revisionisti contano e contano molto, non soltanto pei loro metodi di terrore politico ma anche per l’influenza che cantano in seno all’Agenzia Ebraica. La loro lotta agli elementi moderati condusse all’eliminazione di Jabotinski, alla estromissione per un certo periodo dello stesso signor Chaim Weizmann, attuale presidente della repubblica. La lotta politica all’interno del paese, come si vede, è acuta. Se la Lega araba soffre delle rivalità tra i re che la compongono, lo stato d’Israele soffre di una lotta di tendenze in cui i «moderati», attuali detentori del potere, si devono giustificare continuamente davanti alla opinione pubblica. Certo: il partito Mapai, sul quale poggia il potere, è forte, numeroso, ricco di uomini eminenti come il presidente Ben Gurion, il ministro Shertok, il ministro delle finanze Kaplan, i ministri Breenbaum e Bernestein (che appartengono però alla frazione «sionisti generali»). Ma rischia di passare come un’accolta di traditori della patria nei confronti degli estremisti che pubblicano cartine geografiche in cui il futuro stato di Israele si espande su tutta le Siria e la Mesopotamia, raggiunge il golfo di Akaba e l’Egitto, e cancella dalla faccia della terra gli stati della Lega araba.

Lentamente, prudentemente, il Governo di Tel Aviv cerca di eliminare, in nome della unità delle forze armate, gli strumenti dell’opposizione, che sono le organizzazioni terroristiche. La «Irgun Zwei Leumi» e la banda Stern dovrebbero incorporarsi all’esercito d’Israele (Zawà Israel). Al fine di combattere i criminali annidati tra gli estremisti il governo ha nominato capo della polizia il brigadiere generale Yekorkel Sacharow animato — mi ha lui stesso detto — delle migliori e più energiche intenzioni.

Ma Sacharow non dispone di prigioni, per esempio. I coloni di Tel Aviv non ne costruirono e vennero adoperate quelle di Gerusalemme, adesso in mano degli arabi, e quelle di San Giovanni d’Acri, adesso piene. Sacharow ha richiesto al governo la disponibilità di un edificio adatto. Se ne sono gettate le fondamenta a dieci chilometri dalla città. Così, in questi giorni, a Tel Aviv, costruiscono i ministeri e le carceri: nasce lo Stato.
Giovanni Artieri



Cap. 11

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Felici e un po’ nostalgici gli ebrei italiani in Palestina

La Nuova Stampa,
Anno IV, Nr. 155, p. 3
Domenica, 11 Luglio 1948


Titoli: Felici e un po’ nostalgici gli ebrei italiani in Palestina. Riesce difficile imparare l’ebraico in età matura e il proprio dialetto non si dimentica. Le “quatro ciacole” di un ingegnere veneziano.

(Dal nostro inviato speciale)
Tel Aviv, 10 luglio. – In Palestina ho trovato anche degli ebrei italiani; pochi, disseminati nelle colonie agricole del sud, verso il deserto; nei luoghi più contesi e pericolosi. Un ingegner Fano di Venezia, settantenne, non seppe resistere all’attesa e partì dal suo Kibbutz di Ghivat Brenner incontro a noi. Effettivamente egli cercava il senatore Bastianetto di S. Dona di Piave, suo vecchio amico; forse anche un pretesto per parlar veneziano, per rifarsi la bocca, dopo anni e anni di ebraico. L’ebraico è il vero dramma degli ebrei. Per quanto semplificato da esperti grammatici, impararlo in età matura è torturante; figurarsi all’età dell’ing. Fano e per di più, gittandosi alle spalle il dialetto di Venezia. Corse a trovarci, perciò, e si mise a scambiar «quatro ciacole» con il senatore Bastianetto.

S’era mosso alle 3 del mattino, aspettando al margine della strada un autocarro di fortuna; aveva raggiunto Tel Aviv e di qui, di tappa in tappa, il suo amico. Nè il viaggio, faticoso alle sue vecchie ossa, gli pesava, poiché si trattava di parlare, parlare, parlare. Il tempo concessogli trascorse forse troppo presto ed egli lo disse col rammarico di un militare obbligato ad una remota guarnigione.

Lo rividi qualche tempo dopo a Ghivat Brenner, viaggiando verso il deserto meridionale. Ghivat Brenner si trova in prima linea; è percorso da trincee, interrotte da osservatori anti-aerei, da postazioni di mitragliatrici. È una colonia di quelle come ho raccontato altre volte, in cui pochi ebrei hanno fermato la invasione araba. L’edificio principale è dedicato ad un pioniere italiano del sionismo, Enzo Chajm Sereni, calatosi col paracadute sulla linea gotica, preso dai tedeschi e fucilato a Dakau. La forte e intelligente Ada Sereni Ascarelli, ha perpetuato il ricordo del marito, creando la casa della cultura di Givat Brenner, con una biblioteca di 30 mila volumi in sei lingue.

L’ing. Fano ci mostrò la biblioteca e le opere e anche una rara collezione di giornali ebraici usciti in Italia dal 1848 al 1934; poi dalla terrazza della casa Sereni, volle commentare il panorama formato dalle fattorie, dalle macchie verde metallico degli agrumeti e dai filari di cipressi; dalle stalle modello, dai dormitori, dalla casa dei bambini, dalla fabbrica delle marmellate, dalle officine per gli attrezzi agricoli e cosi via. Ma il suo dito un po’ distorto per l’età e l’uso della matita da disegno, cercava piuttosto altre sagome e profili, entro l’orizzonte; forse il campanile, forse la cupola della Basilica, bassa e lieve come una mongolfiera pronta a salire, forse la Salute a, laggiù, Burano e Murano. Non so; a me parve così, mentre seguivo con gli occhi il vasto paese chiazzato di prati troppo nuovi, distesi ad asciugare sulle fulgide dune.

La collettività agricola

Ci recammo poi ancora più a sud, correndo sovra piste nella sabbia, nel deserto di Neger, caldo e dorato come la crosta del pane. Vi trovammo la colonia di Yavne, con la sede dell’accademia di studi superiori talmudici costruita in memoria del rabbino Giovanni Ben Zakkai, dai membri di questa rara collettività agricola di operai osservanti e tradizionalisti. Entrammo nei recinti della fattoria come a casa nostra e ci salutarono senza sorpresa. Li erano gli altri italiani: il prof. Ito Artom di Torino, pronipote del segretario particolare di Camillo Cavour, la signora Silvia Malvano, sua moglie, nipote del Malvano segretario generale al ministero degli esteri prima di Salvatore Contarini; il prof. Bernardo Eckert di Gorizia, ex ordinario di letteratura italiana al liceo di Milano e la moglie, una bella e cortese donna di Livorno; un dottor Della Torre pur esso livornese. Alla medesima comunità (ma è ora assente) appartiene il prof. Umberto Cassuto, ex ordinarlo di lingua semitica all’Università di Roma, adesso cattedratico di Bibbia a quella di Gerusalemme. La figliola del Cassuto, Hanna, venne trucidata col prof. Enzo Bonaventura nella rappresaglia araba per l’eccidio di Deyr Yassin. Forse mi resta nella penna qualche altro nome; ma i nomi non contavano. Tutti si chiamavano Italia e gli altri ebrei del Kibbutz guardavano sorpresi la repentina metamorfosi di quel gruppetto di ebrei italiani, all’udire una lingua piena di vocali che essi non capivano. La signora Eckert, volle mostrarci la sua casa, che era poi la solita stanzetta nella baracca prefabbricata, concessa dalla collettività di Kibbutzim alle coppie di sposi. Ci dette da bere acqua dal vicino pozzo artesiano mista a sugo d’arancia e parlammo di Livorno. Artom e Eckert, tutti e due giovani, tutti e due ferventi sionisti, mi confermarono di essere felici, di avere trovato in quella loro vita cosi invidiabilmente morale, sorretta dal principio del bene della collettività, il luogo geometrico di ogni intima aspirazione dell’anima e della intelligenza. Artom, farmacologo, si occupa di concimi chimici e di coltivazioni; Eckert, letterato, di pollicultura e di bestie da stalla. Le due galline ebraiche dànno 200 uova all’anno, mentre quelle arabe solo 50; le sue vacche, cinque mila litri di latte che è una bella cifra anche per una bestia italiana. Artom a queste statistiche volle aggiungere che i terreni di Yavne, concimati da lui, dànno 20 quintali di grano per ettaro, laddove gli arabi 7 anni fa ne raccolsero al massimo un sei quintali. Si aggiunga alle soddisfazioni del lavoro campestre, la fiorita di studi spirituali, alla quale i pii contadini partecipano, dedicando il riposo del sabbato alla meditazione in comune del Talmud e della Mishna. Di questo diremo e d’altro; ma io vedevo nello scaffale della stanzina di Eckert molte edizioni illustrate dei capolavori dell’arte italiana e sulle pareti, piccole stampe del paesaggio nostro.

Si parla di spaghetti

Pranzammo alla mensa collettiva in una grande sala di legno, dominata da non so qual sentenza del profeta Isaia. Tutti gli italiani del Kibbutz vollero sedere alla nostra tavola e ci pigiammo sulle panche mentre la signora Eckert ci serviva.

Come accade tra italiani, si parlò molto di spaghetti, di caciucco alla livornese, di vino del Chianti; ma io mi accorsi che anche questo poteva suscitare qualche delicata amarezza in quei rari ospiti e mi astenni dall’alimentare la conversazione, cennando agli amici di fare altrettanto. Ma non fu facile. Poco dopo, gli «italiani» si assentarono, ognuno correndo a scrivere lettere e biglietti da consegnarci per la spedizione in Italia e, infine, ci salutarono ripetendoci: «Addio, addio» tutti stretti attorno come si fa soltanto in Italia, ove si rischia sempre di perdere una mano in uno sportello per stringere un’altra del partente, ancora una volta: un’ultima volta.

Giovanni Artieri

Cap. 12

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Qui non è Gerusalemme

La Nuova Stampa,
Anno IV, Nr. 177, p. 3
domenica, 8 agosto 1948
Titoli: La voce del salmista. Qui non è Gerusalemme. Anche i più moderni e scettici, anche gli atei non possono rinunciare al possesso della Città Santa.
 (Dal nostro inviato speciale)
 Gerusalemme, agosto.

Arrivato a Gerusalemme il viaggiatore apre la Bibbia e legge al Salmo 122, versetti primo e secondo: «Io mi sono rallegrato di ciò che mi è stato detto: andiamo alla casa del Signore — O Gerusalemme, i nostri piedi sono fermi nelle tue porte». Perplesso, il viaggiatore può chiedersi se l’appassionata apostrofe del Salmista valga per questa Gerusalemme nuova, biancheggiante ed estranea, costruita come Haifa o Tel Aviv in cemento armato e stile razionale con i danari di sir Mosè di Montefiore, del barone di Rothschild e del Fondo Nazionale Ebraico. Certamente no, non vale. La Città Santa non è questa. I centomila ebrei che l’abitano non hanno ancora smesso di recitare la preghiera secolare: «L’anno prossimo a Gerusalemme». La pertinace formola descrive, evidentemente, tutta la insoddisfazione ebraica di possedere soltanto la Città esterna, ove tutto è troppo nuovo ed estraneo alla Bibbia.

Il punto dolente

Il punto dolente della questione di Palestina è qui; ed è un errore ritenerlo più politico che religioso. È un fatto a prima vista sorprendente: occorre arrivare a Gerusalemme per rendersene conto. La Città nuova con la sua crescita, la sua attività e importanza internazionale, la sua popolazione in continuo aumento conta poco per gli ebrei. Abbiamo già visto questo popolo della moderna Israele svolgere in Palestina una sua vita più aggiornata; l’abbiamo visto intento a sperimentare nelle colonie agricole persino nuovi tipi di associazione umana, in cui la proprietà è abolita, si pratica una forma di libera scelta in amore e la Bibbia viene considerata soltanto come un testo di storia.

Ebbene questo stesso popolo si batte accanitamente contro il mondo intero per l’acquisto esclusivo di Gerusalemme. Così a Gerusalemme la guerra tra arabi ed ebrei assume il suo vero aspetto di intolleranza religiosa. Si è indotto a credere che la controversia tutta intera sia fondata sulle superstiti pietre del Muro del Pianto. La guerra ebraica si capisce insomma, assai meno a Gerusalemme che nel Negev, ove si trovano importanti terreni petroliferi, o nell’alta Galilea ove la disputa riguarda il controllo delle sorgenti del Giordano. Malgrado tutto, gli ebrei più scettici e ammodernati, i più convinti di ateismo non sanno rinunciare al possesso della Città Santa. Essi si rendono conto che non vale la pena di battersi per la capitale di queste cupe colline di Giudea dove la terra è secca, l’acqua rara, non esistono fiumi e sin dall’antichità era schivata dalle grandi correnti del traffico. Tuttavia essi vogliono questo paese aspro e infelice, aperto adesso come ai tempi biblici agli attacchi degli eredi arabi dei Madianiti e degli Ismaeliti. E con la Giudea vogliono la Città Vecchia. È strano, ma è così.
Nella giovine Gerusalemme il sionismo concentrò tutte le sue forze religiose, dottrinarie ed economiche; ma la città Vecchia, la città araba non venne assorbita; chiusi entro le mura di Solimano gli arabi resistettero al dinamismo ebraico. Per chi conosce i luoghi e le condizioni complicate della coesistenza di Gerusalemme nuova con quella vecchia, non è difficile capire come per un certo periodo di tempo gli ebrei si siano trovati intrappolati. Resistettero, ma tagliati fuori dalle comunicazioni con Tel Aviv, avvertirono tra un foglietto e l’altro del calendario la minaccia della fame. Gli ebrei non riuscirono a sbloccare la strada a Latrun e a Bab el Uad, nelle più aspre gole della Giudea. Intervenne la prima tregua e poi la seconda: il pericolo della fame si allontanò dalla Gerusalemme esterna. Due volte al giorno sotto la bandiera azzurra delle Nazioni Unite un convoglio di autocarri reca i soccorsi da Tel Aviv.

È un viaggio di sessantacinque chilometri nel quale si sperimentano alcune clausole del diritto internazionale che dovrebbe reggere la futura confederazione degli stati del mondo. La sovranità dei due paesi in guerra coesiste con una ancora pallida ma effettiva autorità supernazionale, rappresentata dagli ufficiali mandati qui dalle Nazioni Unite. Mi spiegherò con un esempio. Io chiesi di andare a Gerusalemme con un convoglio: di viveri, giustificando questo mio desiderio come segue: «Ho fatto un voto, dissi, desidero scioglierlo visitando il Santo Sepolcro». L’ufficiale americano addetto alla Commissione di tregua sorrise e rispose: «Io non posso autorizzarvi a partire da Tel Aviv né ad entrare in Gerusalemme nuova: quest’è un affare riguardante l’esercito ebraico. Né, tanto meno, posso autorizzarvi ad entrare in Gerusalemme vecchia, occupata dalla Legione Araba. Vi posso permettere, però, di occupare un posto nella colonna di autocarri che batte la bandiera delle Nazioni Unite. In altri termini vi “regalo” la strada tra Tel Aviv e Gerusalemme». Io accettai la strada e potetti apprezzare durante il viaggio l’importanza del dono. Non dico che la bandiera delle Nazioni Unite valga in Palestina a evitare «errori» o «equivoci» pei quali si possono ancora, alla sua ombra, pigliare cannonate o fucilate arabe o ebraiche. Tuttavia almeno per quanto concerne Gerusalemme le Nazioni Unite hanno stabilito la loro autorità abbastanza saldamente.

Preghiera antica

A Bab el Uad, sorpassata Latrun, incontrammo il posto di controllo misto. Soldati e ufficiali arabi stavano insieme con soldati e ufficiali ebrei, con ufficiali delle Nazioni Unite americani, belgi e francesi. Chiacchieravano tra loro fumando e ridendo, arabi, ebrei, americani. Era insomma uno strano spettacolo quella frontiera di guerra ove i belligeranti, i mediatori e gli estranei, come me, potevano fraternizzare e sentirsi, stranamente, cittadini del mondo. La guerra si sarebbe cercata invano. Ma appena qui, dentro Gerusalemme nuova, essa ricompare imperiosa. Per le strade le macerie recenti, i non distrutti sbarramenti. Le strade sono piene di giovani e di vecchi ebrei: vestono il caffettano o la redingote, mostrano non senza orgoglio le «peothz», quelle treccine sulle tempie, segno dello studioso amore alla Legge e ai Sacri Testi. Sono quelli che ancora si salutano con la formola secolare «L’anno prossimo a Gerusalemme». Uno di questi mi ha detto, appunto, di non ritenere valida la lettura del Salmo 122, qui, in Gerusalemme nuova. Noi, egli ha detto, lo leggeremo e lo canteremo solennemente quando potremo varcare le mura di Solimano il Magnifico e ritenerci davvero «Là dove salgono le tribù del Signore, alla Testimonianza di Israele, per celebrare il nome del Signore». Qui, insomma, non è Gerusalemme.
 Giovanni Artieri

Cap. 13

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Drammatica atmosfera sull’assemblea della Nazioni

La Nuova Stampa, ult. ed.
Anno II, Nr. 214, p. 1
Sabato-Domenica, 18-19 Settembre 1948


Titoli: L’assassinio di Bernadotte riporterà la guerra in Palestina? - Drammatica atmosfera sull’assemblea delle Nazioni. Il Consiglio di Sicurezza affronta l’esame delle sanzioni da applicare in Terra Santa - Minacciose dichiarazioni della Banda Stern.

Parigi, sabato sera. –

La notizia dell’assassinio dei conte Bernadotte, giunta ieri a Parigi verso sera, ha provocato viva impressione e dolore negli ambienti politici internazionali, e fra i delegati che cominciano ad affluire in questa capitale per la sessione dell’O.N.U. La bandiera delle Nazioni Unite venne messa immediatamente a mezz’asta in segno di lutto, e sir Alexander Cadogan, presidente di turno, ha convocato per le 15 di oggi il Consiglio di Sicurezza.

I giornali francesi pubblicano brevi elogi dell’estinto, condannando unanimemente il gesto dell’assassino.  «È un delitto contro la pace», scrivono quasi tutti. È anche un brutto segno: la prima seduta solenne dell’assemblea delle Nazioni Unite, prevista per il 21, si aprirà sotto il segno del sangue. Il conte Folke Bernadotte con la moglie.

Il gesto terroristico premeditato da mesi

Le salme del Mediatore e del col. Selot trasportate a Rodi

Gerusalemme, sabato sera.

Nel lutto e nella paura, la Palestina prepara solenni onoranze funebri al Mediatore caduto, vittima del fanatismo nazionale. Il Comando dell’ONU ha annunziato che la salma del conte Bernadotte verrà trasportata dall’ospedale di Gerusalemme a Rodi con un aereo speciale della Croce Rossa. Viaggerà nello stesso convoglio la salma del colonnello francese Serot, aiutante del Mediatore, ucciso con lui nell’attacco terroristico.

Il capo di Stato Maggiore delle Nazioni Unite, capitano A. Momm della Marina statunitense, ha ordinato che tutte le bandiere dell’Organizzazione in Palestina vengano calate a mezz’asta. Il cordoglio ed il fermento, sono ugualmente vivi in tutti gli ambienti arabi ed ebrei, dove il fanatismo non fa velo al retto giudizio ed al senso di umanità. In particolare il governo di Tel Aviv intende dimostrare che la responsabilità del crimine è interamente e soltanto dei terroristi, i quali sembrano appartenere alla Stern Gang, contraria al sionismo moderato dello stesso governo.

Minacce e attentati

Appena avuta notizia della decisione di Shertok, un portavoce della Banda Stern si diceva soddisfatto dell’assassinio, pur soggiungendo di non essere certo che esso sia opera di membri dell’Organizzazione. È assai difficile, tuttavia che il crimine possa essere imputabile ad altre associazioni terroristiche. Le autorità d’Israele hanno preso misure destinate a permettere la identificazione e l’arresto degli assassini. Per ragioni di sicurezza, non verranno forniti chiarimenti prima di ventiquattro ore.

La polizia, frattanto, ha compiuto perquisizioni nelle abitazioni dei dirigenti più noti del «gruppo Stern». Questi però sono tutti scomparsi e, a quanto sembra, hanno deciso di ritornare alla vita clandestina. In merito all’attentato, si è saputo soltanto che la jeep dei terroristi era dipinta in bianco con i distintivi dell’ONU e che la macchina del principe svedese è stata colpita con 10 proiettili di mitra. Lo sceicco Abu Ghosh, il ventottenne capo delle formazioni arabe poste sotto il comando della sionista «Banda Stern», ha tenuto oggi una con conferenza stampa. 

«Abbiamo già iniziato la nostra campagna di terrore e di sabotaggio — ha detto — e questo non è che il principio. Membri arabi del gruppo sono sparsi in tutta la Palestina e nelle capitali arabe». Lo sceicco ha aggiunto che gli uomini delle sue formazioni hanno l’ordine di «uccidere gli inglesi, dovunque e comunque li incontrino». Abu Ghosh ha indicato Giubb Pascià, comandante la Legione araba di Transgiordania.

Il Mediatore era da mesi sotto la costante minaccia della Stern, quantunque la sua automobile sia stata colpita ancora ieri, sulla via di Gerusalemme, da colpi di franchi tiratori arabi. La radio ebraica di Haifa, per contro, aveva avvertito che l’aereo bianco del conte sarebbe stato attaccato ieri all’atterraggio nell’aeroporto di Kolundia. Qui l’attentato non ci fu, ma due ore dopo veniva condotto ad esecuzione il delitto lungamente premeditato.

Il corrispondente del New York Times da Parigi, G. L. [?], ha rivelato in un dispaccioal suo giornale che due membri della banda Stern gli avevano manifestato fin dallo scorso luglio a Tel Aviv il loro intento di assassinare il conte Bernadotte. A parte l’aspetto umano del crimine, particolarmente feroce perché diretto contro un provato missionario della pace, l’uccisione del Mediatore moltiplica improvvisamente i pericoli della situazione palestinese.

Le sanzioni dell’art. 7

Se la stampa internazionale è unanime nel condannare l’atto delittuoso, e lo sdegno dei giornali inglesi è quasi simile a quello manifestato per l’uccisione di Gandhi, il Daily Telegraph interpreta le preoccupazioni dei circoli politici quando scrive: «La morte del Mediatore in un momento come l’attuale deve essere considerata un disastro di portata internazionale».

A Parigi, un alto funzionario delle Nazioni Unite ha dichiarato che il Consiglio di Sicurezza non può ora evitare di prendere seriamente in esame un deciso intervento in Palestina con un’azione militare collettiva. Lo impongono sia la personalità dell’ucciso, sia i rischi connessi con la situazione, sia il prestigio dell’organizzazione mondiale. Pur non nascondendosi le difficoltà di una decisione e la possibilità di un disaccordo molto vivace anglo-russo, nei circoli competenti dell’ONU si dà come sicuro che, per risolvere il problema palestinese, verrà oggi preso in considerazione l'impiego, in base all'art. 7 delaa Carta di S. Francisco, di una azione militare collettiva.

Il Consiglio di Sicurezza si riunisce oggi in sessione straordinaria alle 15 a Palazzo Chaillot e non potrà fare a meno di discutere le sanzioni previste dall’articolo comprendenti l’adozione di sanzioni economiche, l’instaurazione di un blocco, la rottura delle relazioni diplomatiche e finalmente un’azione militare vera e propria. 


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