giugno 04, 2010

La questione orientale alla Conferenza della Pace. – Testo tratto dalla prima annata (1921-22) della rivista “Oriente Moderno”

Quadro globale
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Capita non di rado che testi da noi lontani del tempo ci aiutino a capire il nostro presente meglio di libri scritti da nostri contemporanei. Sfogliando le annate di «Oriente Moderno», cioè: una «Rivista mensile d’informazioni e di studi per la diffusione della conoscenza dell’Oriente, sopra tutto musulmano, pubblicata a cura dell’Istituto per l’Oriente», che aveva sede in Roma, via Milano 33. La rivista prende avvio il 15 gennaio 1921 e si succede il Tomi regolari che si snodano per gli anni successivi che noi seguiremo fino al 1939, anni non coperti da Copyright e di pubblico dominio. Gli articoli interessanti ci paiono molti ed è pure impegnativo il nostro lavoro di editing, che essendo volontario e gratuito riserveremo al nostro tempo libero. Non è nostra intenzione riprodurre i testi tali e quali, come se dal 1921 ad oggi non fossero decorsi 90 anni. Interverremo sul testo come potremo e sapremo, innanzitutto dando una illustrazione grafica attinta dalla rete, oppure – più interessante – andando alla ricerca di documenti di archivio che ormai dovrebbero essere desecretati. Queste note sono qui stese in avvio di ricerca, di lettura e di editing, non a sua conclusione. E quindi nessuna anticipazione può essere fatta. Si spera soltanto di comunicare all’occasionale Lettore lo stesso gusto di una ricerca alla quale ci avviamo, convinti di aver individuato nella annate di “Oriente Moderno”, che noi affianchiamo ad eguale editing del “Dizionario di Politica” e delle annate 1935-1939 dell’«Annuario di Politica Internazionale», validi criteri per occuparci di “Geopolitica”. Ad ogni buon conto, ove la nostra interpretazione della legge sulla durata del copyright delle opere collettive, non fosse state ben interpretata, ci impegniamo a rimuovere immediatamente i contenuti su richiesta degli aventi diritto.


LA QUESTIONE ORIENTALE
ALLA CONFERENZA DELLA PACE


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di
Amedeo Giannini

Sommario: 1. Trattative diplomatiche ed avvenimenti. – 2. La Questione Armena. – 3. La questione Curda. – 4. La questione Turca. – 5. la questione Araba. – 6. La questione Arabo-Palestinese. – 7. La questione Egiziana. – 8. La questione del Protettorato Francese nel Levante. – 9. La questione Turca dal Trattato di Sèvres a quello di Angora. – 10. Conclusione.

Cap. I

Trattative diplomatiche ed avvenimenti

Quando la conferenza della pace si inaugurò a Parigi, nel gennaio del 1919, non vi era tra gli alleati alcun piano concorde sulla soluzione della questione orientale; anzi nemmeno le potenze più interessate, tranne la Grecia, avevano un proprio preciso piano circa la sorte dell’impero ottomano. Per un anno intero il problema, come in seguito si vedrà, fu trascinato avanti insoluto, attraverso vicende assai varie, avviandosi soltanto nel convegno di Londra del febbraio 1920 a quelle conclusioni fondamentali, che, elaborate a Londra, nei dettagli, da sei commissioni, sotto la guida del Consiglio dei ministri degli esteri, si concretarono a San Remo nel progetto di trattato, che fu poi firmato a Sévres.

L’armistizio coi Tedeschi si era fondato esplicitamente sui principi di Wilson, di modo che il trattato di pace, come ricordò la Delegazione tedesca nei rilievi sul progetto del trattato, aveva un presupposto contrattuale non equivoco.

Pei Turchi invece non vi fu che una resa a discrezione. L’armistizio firmato il 30 ottobre 1918, a bordo dell’Agamennone, tra il vice ammiraglio Somersot Arthur Gough-Calthorpe [1865-1937] ed i delegati turchi, è un nudo elenco di obblighi della Turchia durante il regime di armistizio.

Nondimeno uno dei principî di Wilson, il dodicesimo, era esplicitamente consacrato alla Turchia ed i delegati ottomani non omisero di servirsene, nelle trattative diplomatiche. Secondo esso:
«alle regioni turche dell’impero ottomano attuale dovranno essere garentite la sovranità e la sicurezza; ma alle altre nazioni, che sono ora sotto il dominio turco, si dovrà garentire una sicurezza assoluta di esistenza e la piena possibilità di svilupparsi in modo autonomo, senza essere in alcun modo molestate; quanto ai Dardanelli essi dovranno restare aperti come un passaggio libero per le navi ed il commercio di tutte le nazioni, sotto la protezione delle garanzie internazionali».
I tre principi fondamentali, contenuti nel 12° punto wilsoniano, furono, in sostanza, accolti; ma, essendo molto vaghi ed anche molto elastici, si prestavano, nella concreta applicazione, a soluzioni diverse.

Tra gli alleati, per alcuni problemi, esistevano degli impegni: cioè gli accordi del 1916-17 tra la Francia e l’Inghilterra per la Siria che non furono completamente osservati - e l’accordo del 1917 di San Giovanni di Moriana tra l’Inghilterra, la Francia e l’Italia, che ci garentiva Smirne, ma che gli alleati, specialmente gli Inglesi, ritennero decaduto per la mancata adesione russa.

Eleutherioa Venizelos
Erano ben noti invece, all’aprirsi della conferenza, i desideri ellenici, concretati sin dal 30 dicembre 1918 in un breve, sobrio, ma preciso memoriale di [Eleutherios] Venizelos [1864-1936] (La Grèce devant le Congrès de la Paix). In esso si rivendicava alla Grecia:
  1. tutta la Tracia, con Costantinopoli, non escludendo, pero, in via subordinata, che la zona degli stretti, con Costantinopoli, potesse formare uno stato internazionale, sotto la protezione della Società delle nazioni.
  2. tutta l’Anatolia occidentale con Smirne.
  3. tutte le isole dell’Egeo, compresa Rodi ed il Dodecanneso.

*

È in tali condizioni che la Conferenza inaugurò i suoi lavori.

Il primo problema che doyette affrontare fu quello della partecipazione dell’Higiaz ai lavori della conferenza. Nel determinare il numero dei delegati di ciascun alleato, furono assegnati, senza discussione, allo stato arabo, due delegati, ed essi furono l’emiro Faisal, figlio del re Husein, e Rustem Haidar (gennaio 1919).

Nel febbraio fu improvvisamente portata in Consiglio supremo la proposta francese di far occupare temporaneamente Smirne dai Greci, e l’on. Orlando non fece opposizione. L’occupazione effettiva ebbe pero luogo soltanto nel maggio successivo, qualche settimana dopo il ritorno a Parigi della Delegazione italiana.

Quando questa lasciò Parigi, il Consiglio supremo fece, come è noto, il gran gesto di convocare fulmineamente la delegazione turca, austriaca e bulgara ed era per convocare anche quella ungherese, benché i relativi trattati di pace fossero ben lungi dall’esser pronti.

La delegazione turca venne infatti nel maggio a Parigi, e fu confinata a Vaucresson, dove attese fino al 17 giugno, prima di essere udita dal Consiglio supremo. Nella seduta Damad Ferid [1853-1923], presidente della Delegazione, perorò benevolenza per la Turchia, confermando la sua richiesta in un memorandum scritto, in cui, in sostanza, non disconoscendo gli errori commessi, poneva in rilievo gli intrighi politici che avevano accompagnato l’entrata in guerra della Turchia, e faceva rilevare che era ingiusto imputare al popolo turco i misfatti di un suo governo. Sosteneva la necessità di conservare l’impero ottomano per l’equilibrio religioso del mondo, affermando che la politica non meno che la giustizia raccomandano di ristabilire integralmente questi territori nel loro stato d’ante guerra.

Con una lettera del 25 giugno il Consiglio si limitò a respingere le affermazioni della Delegazione turca, che, dopo pochi giorni, fu licenziata, con avviso che sarebbe stata riconvocata a domicilio. Ed attese circa un anno prima che la riconvocazione giungesse!

I problemi orientali, in tutto questo periodo di tempo, erano stati esaminati in seno alle Commissioni speciali, dove l’urto delle varie tendenze e dei contrastanti interessi assunsero talora toni di vivacità e di lotta assai rilevanti.

Weizmann e Faisal nel 1918
L’Inghilterra aiutava la Grecia apertamente; contendeva, a mezzo dell’emiro Faisal, la Siria meridionale ed occidentale alla Francia, cui toglieva anche la Mesopotamia settentrionale, insediandosi intanto da padrona in Mesopotamia e Palestina. La Francia si batteva per arrotondare la Siria. Si riteneva che Wilson volesse accettare il mandato sull’Armenia, cui voleva annettere anche la Cilicia, estendendola quindi dal mar Nero al Mediterraneo, e che non disdegnasse anche il mandato sullo stato di Costantinopoli. E poiché la Grecia si era insediata a Smirne, le pretese italiane si limitavano alla valle del Meandro fino ad Adalia.

Il primo urto aperto delle varie tendenze si verificò in occasione della decisione della sorte della Tracia e degli incidenti greco-turchi in Asia minore.

Dovendosi ultimare il trattato con la Bulgaria si dovette, per forza di cose, discutere della Tracia (3 agosto 1921). Il generale inglese Berds ed il colonnello francese Mangin, reduci dalla Tracia, riferirono favorevolmente ai Bulgari (4 agosto). Venizelos difese ripetutamente ed energicamente la tesi greca. Dopo lunghe e confuse discussioni non fu possibile arrivare a una decisione unanime. Si prospettarono quindi due soluzioni:
  1. dividere la Tracia tra Bulgari, Greci ed il costituendo stato di Costantinopoli, facendo di Dedeagac una città libera con porto e ferrovia internazionalizzata.
  2. la Tracia orientale, salvo una piccola zona litoranea, costituirebbe, unitamente ad una linea di 10 km. al di là della Maritza, uno stato libero sotto il controllo della Lega delle nazioni, del quale Adrianopoli sarebbe la capitale e Dedeagac il porto. Il resto della Tracia andrebbe alla Grecia, tranne la zona prossima a Costantinopoli, tra la linea Midia ed un punto della costa dell’Egeo da determinarsi.
Il delegato americano Polk, che era sopra tutto preoccupato di assicurare uno sbocco al mare per la Bulgaria, ed aveva anche proposto di creare attraverso la Tracia un corridoio bulgaro per il libero accesso al porto di Dedeagac, non aveva sufficienti poteri per decidere tra le due soluzioni; onde esse furono telegrafate a Wilson per la scelta, non senza avvertire che la Conferenza, non volendo moltiplicare troppo gli stati liberi, controllati dalla Lega delle nazioni, avrebbe preferito la prima soluzione (7 agosto).

La risposta si fece attendere, ed infine Wilson non accettò alcuna delle soluzioni proposte, ed insistette perché tutta la Tracia orientale, e parte della occidentale, venisse assegnata al costituendo Stato di Costantinopoli, e solo un triangolo della Tracia bulgara venisse assegnato alla Grecia.

Non essendosi raggiunto l’accordo su tale proposta, e poiché, da tutte le proposte, emergeva un solo punto di accordo, e cioè che la Bulgaria non dovesse avere alcun territorio della Tracia, si decise di fissare le frontiere bulgare verso la Tracia, indipendentemente dalla decisione sulla sorte di questa, che era rinviata a miglior tempo (1° settembre). In base alle proposte della Commissione territoriale, cui fu deferito di studiare la linea di frontiera, venne cosi determinata la frontiera bulgara, e si garentì alla Bulgaria, per scopi commerciali, l’uso del porto di Dedeagac, con riserva di determinare in seguito le sorti della Tracia (2 settembre). Tali clausole furono poi comprese nel trattata di pace di Neuilly del 27 novembre 19I9 (art.  48).

Allo scopo di eliminare le opposizioni della Grecia alle rivendicazioni italiane in Asia minore, l’on. Tittoni concluse con Venizelos, il 29 luglio 1919, un accordo (1) in base al quale l’Italia, tra l’altro, si impegnava ad appoggiare le rivendicazioni greche in Tracia (art. 1), mentre la Grecia si impegnava, nel caso che avesse ricevuto soddisfazione per le sue rivendicazioni in Tracia e nell’Albania meridionale, a rinunziare in favore dell’Italia alle sue pretese territoriali in Asia Minore, contrastanti con gli interessi italiani; anzi i due governi si garentivano reciproco appoggio nelle loro rivendicazioni in Asia Minore (art. 4). Inoltre l’Italia si impegnava a cedere le isole dell’Egeo, tranne Rodi, alla Grecia (art. 5).

Con tale accordo l’on. Tittoni mirava anche ad eliminare le difficoltà frapposte alle nostre occupazioni in Asia minore.

Nell’aprile del 1919, avendo l'Italia occupata Scalanova, Macrì, ecc., Clemenceau, in Consiglio supremo, fece in un primo momento vive rimostranze. L’on. Orlando fece riserva di chiedere informazioni, non avendo sicuri dettagli, e poi comunicò, quando li ricevette, che l’occupazione era dovuta a ragioni d’ordine pubblico e su richiesta della popolazione. Tali spiegazioni non furono bene accette, ed in una nota, che fu consegnata all’on. Tittoni appena arrivato a Parigi, per conto di Clemenceau e Lloyd George, si mossero vive recriminazioni perché gli sbarchi erano avvenuti senza che la Conferenza ne fosse informata, e  fu rivolto all’Italia formale invito di ritirare le truppe (2). La Delegazione italiana rispose con una fiera e dignitosa nota, redatta dall’on. Scialoia. Poi, grazie a dirette trattative con gli alleati e con Venizelos, si addivenne ad un riconoscimento dell’occupazione italiana e ad una netta delimitazione della zona di occupazione greca ed italiana (seduta 16 luglio).

L’occupazione greca di Smirne, avvenuta, come si è accennato, nel maggio del 1919, dette luogo a numerosi incidenti, che resero ben presto assai grave la situazione dell’Asia Minore. Fu perciò dal Consiglio supremo deciso (22 luglio) di esperire un’inchiesta, in base a formale richiesta dello Sheikh-ul-Islam  (15 luglio).

La Commissione fu composta di quattro delegati: un americano (contrammiraglio Boristal) un francese (generale Bunoust), un inglese (generale Hars), un italiano (generale Dall’Olio). Il Consiglio supremo ammise però in seguito una limitata partecipazione ai lavori ancbe di un delegato greco e di un delegato turco. La Grecia nominò il colonnello Mazarakis.

(segue)

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