Home della «Questione sionista»
Mentre valgono le considerazioni generali già fatte per le precedenti fonti documentarie finora raccolte, e cioè: 1°) «Oriente Moderno»; 2°) «Le peuple juif»; 3°) «Jüdische Rundschau»; 4°) «Le temps»; 5°) «L’Osservatore Romano»; 6°) «La Documentation Catholique»; 7°) «La Rassegna Italiana»; 8°) «La Correspondance d’Orient»; 9°) «Le Matin»; 10°) «Le Figaro»; 11°) «Journal des débats politiques et litéraires»; 12°) «Journal de Genève»; 13°) «Gazetta de Lausanne»; 14°) «Le Nouveau Quotidien»; 15°) «La Vita Italiana»; 16°) «La Stampa»; 17°) «Il Resto del Carlino»; 18°) «El Sol»; 19°): «El Siglo futuro»; 20°) «Alrededor del Mundo»; 21°) «New York Tribune»; 22°) «Evening Public Ledger»; 23°) «The Sidney Morning Herald»; 24°) «Luxemburger Wort»; 25°) «Escher Tageblatt»; 26°) «The Evening Post»; 27°) «The Ashburton Guardian»; 28°) «La Civiltà Cattolica» pare qui opportuno rilevare ogni volta la casualità e imparzialità con la quale le diverse fonti si aggiungono le une alle altre, animati da una pretesa di completezza, che sappiamo difficile da raggiungere, ma che non ci stancheremo dal perseguire. Peraltro, la casualità nel reperimento delle fonti non è priva di conseguenze in quanto può portare ad escludere una ripetizione ultronea di notizie già date ed ormai largamente note.
Il criterio con cui viene redatta una Miscellanea del 1918 è del tutto esteriore. Abbiamo calcolato che con meno di tre articoli di una stessa testata per uno stesso anno non ha senso una serie. Invece, possono essere raccolti in uno stesso “papiro” articoli sul tema che appaiono nelle sedi più disparatate, che ordineremo per quanto possibile secondo un criterio cronologico. Non ci soffermiamo su criteri empirici di ordinamento che parleranno da soli una volta applicati.
1917 ↔ 1919
Raccolta miscellanea per singoli anni: 1882 1883 - 1884 - 1885 - 1886 - 1887 - 1888 - 1889 - 1890 - 1891 - 1892 - 1893 - 1894 - 1895 - 18996 - 1897 - 1898 - 1899 - 1900 - 1901 - 1902 - 1903 - 1904 - 1905 - 1906 - 1907 - 1908 - 1909 - 1910 - 1911 - 1912 - 1913 - 1914 - 1915 - 1916 - 1917 - 1918 - 1919 - 1920 - 1921 - 1922 - 1923 - 1924 - 1925 - 1926 - 1927 - 1928 - 1929 - 1930 - 1931 - 1932 - 1933 - 1934 - 1935 -1936 - 1937 - 1938 - 1939 - 1940.
Raccolta miscellanea per singoli anni: 1882 1883 - 1884 - 1885 - 1886 - 1887 - 1888 - 1889 - 1890 - 1891 - 1892 - 1893 - 1894 - 1895 - 18996 - 1897 - 1898 - 1899 - 1900 - 1901 - 1902 - 1903 - 1904 - 1905 - 1906 - 1907 - 1908 - 1909 - 1910 - 1911 - 1912 - 1913 - 1914 - 1915 - 1916 - 1917 - 1918 - 1919 - 1920 - 1921 - 1922 - 1923 - 1924 - 1925 - 1926 - 1927 - 1928 - 1929 - 1930 - 1931 - 1932 - 1933 - 1934 - 1935 -1936 - 1937 - 1938 - 1939 - 1940.
Sommario: 1. Il sionismo e l’Intesa. –
Serie Periodici 1918 = a: Osservatore Romano; b; c; d; e; e; g; h; i; j; k; l; m; n; o; p; q; r; s; t; u; v; w; x; y; z: Miscellanea.
Serie Periodici 1918 = a: Osservatore Romano; b; c; d; e; e; g; h; i; j; k; l; m; n; o; p; q; r; s; t; u; v; w; x; y; z: Miscellanea.
Cap 1z
Top supra ↑ 15-10-1918 ↓ infra → § 1z
Il sionismo e l’Intesa
da: Rassegna Italiana,
Anno I Serie I Fasc. VI
15 ottobre 1918, p. 568-72
Anno I Serie I Fasc. VI
15 ottobre 1918, p. 568-72
Uno degli avvenimenti politici di maggiore importanza di questo anno è stata indubbiamente l’inclusione del programma sionista fra gli scopi dell’Intesa. La prima dichiarazione a questo riguardo data dal 2 novembre 1917 e si deve a Balfour a nome del governo britannico; la seguirono, nel corso del 1918, analoghe dichiarazioni di Pichon, per la Francia, e di Sonnino, per l’Italia.
Il testo della dichiarazione Balfour, contenuto in una lettera a Lord Rothschild, dice: «Il Governo di Sua Maestà vede con molto favore la istituzione in Palestina di una home nazionale per il popolo ebreo, e farà i maggiori sforzi per facilitare il raggiungimento di questo scopo, restando bene inteso che nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi di comunità non ebraiche esistenti in Palestina, o i diritti o lo stato politico goduti dagli Ebrei in qualsiasi altro paese».
La formula vaga usata dal Balfour nel promettere un home national – foyer lo chiama Pichon, e centro, Sonnino –, se lascia campo a maggiori specificazioni a venire e giustifica gli Ebrei sionisti nello svolgere un’opera politica diretta a ottenere assicurazioni più precise circa la forma, la natura e l’indipendenza del futuro stato ebraico, non deve tuttavia destare alcuna impressione d’incertezza a dubitarne da parte dell’Intesa. La indeterminatezza della formula non è infatti dovuta per nulla ai Governi alleati, ma ai sionisti stessi, dai cui documenti e voti è stata letteralmente tratta, e i quali, nella convinzione forse inconsapevole della irrealizzabilità del loro sogno nazionale: la ricostituzione del popolo d’Israele attorno a Sion, non avevano finora osato mai esprimerlo in termini precisi e concreti.
Oggi però, con l’inclusione del programma sionista fra gli scopi di guerra dell’Intesa, il movimento sionista ha fatto un passo immenso verso il conseguimento della propria meta; dal campo delle utopie ideali, alimentate solo dalla nostalgia di tradizioni gloriose del passato o dalla fede nel Dio d’Israele, esso è passato di colpo nel campo della politica più realistica e di maggiore attualità. Agli Ebrei viene offerto di raccogliersi nella sede storica della loro nazione, di radunarvi le sparse membra del loro popolo, e di ricomparire nella società delle nazioni come Stato a sè.
Il passo che hanno fatto Inghilterra, Francia e Italia, riconoscendo il diritto degli Ebrei a ricostituirsi in nazione, ha sollevato in molti scetticismo o diffidenze; diffidenze soprattutto, per le preoccupazioni di vedere gli Ebrei sparsi fra le varie nazioni europee polarizzarsi intorno alla nuova Patria, e distaccarsi dalle patrie di adozione, o intensificare, con l’autorità del nuovo Stato cui potranno appoggiarsi, la lotta che da anni sostengono, per esempio in Polonia, contro le correnti nazionali.
Ma siffatte preoccupazioni non sembrano veramente fondate. Negli Stati occidentali d’Europa, in Inghilterra e in Francia, che sono terre di libertà, in Italia soprattutto, dove gli Ebrei godono non solo giuridicamente, ma anche moralmente, di una piena parificazione con gli altri cittadini, e assurgono ai più alti gradi dell’esercito e della pubblica amministrazione, e non sono soggetto di alcuna avversione antisemita sicchè le loro famiglie non si trovano per recenti immigrazioni, ma per ereditaria cittadinanza, nessun Ebreo penserà ad allontanarsi per ricongiungersi al nuovo Stato di Sion. In Inghilterra, infatti, in Francia e in Italia, gli Ebrei rappresentano una sparuta minoranza, intellettualmente eletta, ed economicamente, in media, benestante, che non sente alcun impulso a cambiare ambiente, e che può seguire e aiutare il movimento sionista con quella medesima simpatia, con cui, dagli Stati Uniti, Italiani, Czechi, Serbi e Russi aiutano le rispettive patrie di origine senza perciò cessare di restar buoni cittadini americani.
Il movimento sionista invece è forte nell’Oriente Europeo, dove ha un sostrato economico e ha carattere proletario, in Russia, in Rumenia, in Galizia, in Polonia, dove gli Ebrei sono in condizioni morali e giuridiche di grande inferiorità, e costituiscono una forte percentuale della popolazione, e intervengono nelle lotte politiche, che si svolgono fra le diverse nazionalità di cui si compone l’Austria o la Russia, con programma e con atteggiamento di una nazionalità a sè. In questi paesi, la costituzione di uno Stato ebraico in Palestina, invece di fomentare maggiormente tali competizioni nazionali fra Ebrei e non Ebrei, dovrebbe, sperabilmente, attutirle, giacchè offfre alle minoranze israelitiche oppresse ed economicamente misere la possibilità di emigrare per rientrare da padrone sul sacro suolo dei Profeti.
E neppure è giustificato lo scetticismo con cui molti considerano la mossa dell’Intesa verso il Sionismo.
Anzitutto, dato il carattere democratico sempre più accentuato che la guerra ha er le potenze dell’Intesa, dati i principî di libertà e di nazionalità, al trionfo dei quali gli eserciti alleati si sono votati, dato il concetto ormai unanimamente adottato dal nostro gruppo di belligeranti che questa guerra debba condurre alla migliore sistemazione possibile di tutti i popoli del mondo, così da evitare per lungo volger d’anni cause e moventi di nuovi conflitti, è naturale che anche il problema nazionale ebraico sia stato preso in considerazione, e abbia trovato il suo posto nel programma di guerra dell’intesa.
«La distruzione della Giudea avvenuta diciannove secoli or sono», ha detto pochi giorni addietro il ministro Balfour, salutando l’American Zionist Medical Unit, che Nahum Sokolof gli presentò prima che partisse per la Palestina, «è uno dei grandi mali che le Potenze alleate tentano di riparare. Quella distruzione fu una tragedia nazionale. Privò gli Ebrei della possibilità di cui godono le altre nazioni, cioè di svolgere il loro genio nazionale e il loro specifico spirito in tuta l’estensione di cui sono capaci. Gli Ebrei occupano una posizione unica fra le nazioni contemporanee, poiché mancano di quell’elemento della nazionalità che pare essere indispensabile ad una completa vita nazionale. L’attuale momento storico è testimonio dell’ingresso sulla scena del mondo di grandi e importanti fattori nazionali, e io sono sicuro che, fra questi, l’idea sionistica, che tanto ha già fatto in Palestina, compirà una parte nobile e benefica».
Il testo della dichiarazione Balfour, contenuto in una lettera a Lord Rothschild, dice: «Il Governo di Sua Maestà vede con molto favore la istituzione in Palestina di una home nazionale per il popolo ebreo, e farà i maggiori sforzi per facilitare il raggiungimento di questo scopo, restando bene inteso che nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi di comunità non ebraiche esistenti in Palestina, o i diritti o lo stato politico goduti dagli Ebrei in qualsiasi altro paese».
La formula vaga usata dal Balfour nel promettere un home national – foyer lo chiama Pichon, e centro, Sonnino –, se lascia campo a maggiori specificazioni a venire e giustifica gli Ebrei sionisti nello svolgere un’opera politica diretta a ottenere assicurazioni più precise circa la forma, la natura e l’indipendenza del futuro stato ebraico, non deve tuttavia destare alcuna impressione d’incertezza a dubitarne da parte dell’Intesa. La indeterminatezza della formula non è infatti dovuta per nulla ai Governi alleati, ma ai sionisti stessi, dai cui documenti e voti è stata letteralmente tratta, e i quali, nella convinzione forse inconsapevole della irrealizzabilità del loro sogno nazionale: la ricostituzione del popolo d’Israele attorno a Sion, non avevano finora osato mai esprimerlo in termini precisi e concreti.
Oggi però, con l’inclusione del programma sionista fra gli scopi di guerra dell’Intesa, il movimento sionista ha fatto un passo immenso verso il conseguimento della propria meta; dal campo delle utopie ideali, alimentate solo dalla nostalgia di tradizioni gloriose del passato o dalla fede nel Dio d’Israele, esso è passato di colpo nel campo della politica più realistica e di maggiore attualità. Agli Ebrei viene offerto di raccogliersi nella sede storica della loro nazione, di radunarvi le sparse membra del loro popolo, e di ricomparire nella società delle nazioni come Stato a sè.
Il passo che hanno fatto Inghilterra, Francia e Italia, riconoscendo il diritto degli Ebrei a ricostituirsi in nazione, ha sollevato in molti scetticismo o diffidenze; diffidenze soprattutto, per le preoccupazioni di vedere gli Ebrei sparsi fra le varie nazioni europee polarizzarsi intorno alla nuova Patria, e distaccarsi dalle patrie di adozione, o intensificare, con l’autorità del nuovo Stato cui potranno appoggiarsi, la lotta che da anni sostengono, per esempio in Polonia, contro le correnti nazionali.
Ma siffatte preoccupazioni non sembrano veramente fondate. Negli Stati occidentali d’Europa, in Inghilterra e in Francia, che sono terre di libertà, in Italia soprattutto, dove gli Ebrei godono non solo giuridicamente, ma anche moralmente, di una piena parificazione con gli altri cittadini, e assurgono ai più alti gradi dell’esercito e della pubblica amministrazione, e non sono soggetto di alcuna avversione antisemita sicchè le loro famiglie non si trovano per recenti immigrazioni, ma per ereditaria cittadinanza, nessun Ebreo penserà ad allontanarsi per ricongiungersi al nuovo Stato di Sion. In Inghilterra, infatti, in Francia e in Italia, gli Ebrei rappresentano una sparuta minoranza, intellettualmente eletta, ed economicamente, in media, benestante, che non sente alcun impulso a cambiare ambiente, e che può seguire e aiutare il movimento sionista con quella medesima simpatia, con cui, dagli Stati Uniti, Italiani, Czechi, Serbi e Russi aiutano le rispettive patrie di origine senza perciò cessare di restar buoni cittadini americani.
Il movimento sionista invece è forte nell’Oriente Europeo, dove ha un sostrato economico e ha carattere proletario, in Russia, in Rumenia, in Galizia, in Polonia, dove gli Ebrei sono in condizioni morali e giuridiche di grande inferiorità, e costituiscono una forte percentuale della popolazione, e intervengono nelle lotte politiche, che si svolgono fra le diverse nazionalità di cui si compone l’Austria o la Russia, con programma e con atteggiamento di una nazionalità a sè. In questi paesi, la costituzione di uno Stato ebraico in Palestina, invece di fomentare maggiormente tali competizioni nazionali fra Ebrei e non Ebrei, dovrebbe, sperabilmente, attutirle, giacchè offfre alle minoranze israelitiche oppresse ed economicamente misere la possibilità di emigrare per rientrare da padrone sul sacro suolo dei Profeti.
E neppure è giustificato lo scetticismo con cui molti considerano la mossa dell’Intesa verso il Sionismo.
Anzitutto, dato il carattere democratico sempre più accentuato che la guerra ha er le potenze dell’Intesa, dati i principî di libertà e di nazionalità, al trionfo dei quali gli eserciti alleati si sono votati, dato il concetto ormai unanimamente adottato dal nostro gruppo di belligeranti che questa guerra debba condurre alla migliore sistemazione possibile di tutti i popoli del mondo, così da evitare per lungo volger d’anni cause e moventi di nuovi conflitti, è naturale che anche il problema nazionale ebraico sia stato preso in considerazione, e abbia trovato il suo posto nel programma di guerra dell’intesa.
«La distruzione della Giudea avvenuta diciannove secoli or sono», ha detto pochi giorni addietro il ministro Balfour, salutando l’American Zionist Medical Unit, che Nahum Sokolof gli presentò prima che partisse per la Palestina, «è uno dei grandi mali che le Potenze alleate tentano di riparare. Quella distruzione fu una tragedia nazionale. Privò gli Ebrei della possibilità di cui godono le altre nazioni, cioè di svolgere il loro genio nazionale e il loro specifico spirito in tuta l’estensione di cui sono capaci. Gli Ebrei occupano una posizione unica fra le nazioni contemporanee, poiché mancano di quell’elemento della nazionalità che pare essere indispensabile ad una completa vita nazionale. L’attuale momento storico è testimonio dell’ingresso sulla scena del mondo di grandi e importanti fattori nazionali, e io sono sicuro che, fra questi, l’idea sionistica, che tanto ha già fatto in Palestina, compirà una parte nobile e benefica».
(segue)
Torna al Sommario.
Altri periodici del 1918. - Navigazione: Indice delle Fonti e Repertori: Cronologia - Analitico. - Forum: «Tribuna di “Civium Libertas”». - Societas: «Civium Libertas».
Nessun commento:
Posta un commento