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Dizionario di Politica: voce Afghanistan (1939). – Autori G. Garaci ed E. Rossi. Direzione: Antonino Pagliaro. L’editing e le illustrazioni sono qui riadattate ed aggiornate. – Decorsi i 70 anni di legge previsti per le opere collettive, il Dizionario è di pubblico dominio, ma la sua edizione internet è di grosso impegno. Quanti sono interessati alla trascrizione integrale dei quattro volumi del Dizionario possono mettersi in contatto con l’autore di questo Blog a questo indirizzo.
GLI STATI DEL MONDO NEL 1939
AFGHANISTAN
GEOGRAFIA
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È l’unico stato asiatico indipendente senza sbocco al mare, chiuso com’è tra l’U.R.S.S. a nord, il Turchestan cinese e l’India ad est, il Belucistan a sud e la Persia ad ovest. I suoi estremi vanno da 29° 24' a 380 28' nord e da 60° 30' a 740 53' est Greenwich. Ha una larghezza massima (da nord a sud) di circa 1200 chilometri ed un’estensione massima (da est ad ovest) di 980 chilometri. Rimasto per lunghissimo tempo quasi inaccessibile, è in complesso piuttosto mal noto, e per lunghe estensioni anche del tutto inesplorato. La sua superficie è calcolata dai più intorno ai 650.000 kmq. (oltre il doppio dell’Italia), ma le stime oscillano da 570.000 a 730.000 kmq. La sua popolazione, della quale non è mai stato fatto un censimento regolare, viene fatta ascendere da taluni a 7 e da altri fino a 12 milioni di abitanti, con una densità quindi da 10 a 16 abitanti per kmq.
Il paese è per la maggior parte un dedalo di aspre e nude montagne, cui fanno corona a nord e a sud-ovest due larghe depressioni; quella che guarda al corso dell’Amu Daria lungo il confine sovietico, ed il basso bacino del Hilmend, per metà deserto (Rigistan) e per l’altra metà steppa salina (Dasht-i-Marg). Il rilievo consta del lungo cimale del Hindu-kush, che sale da 2000 ad oltre 7000 metri da ovest ad est e sul quale s’innestano altri allineamenti montuosi, disposti a mo’ di ventaglio, col cercine in corrispondenza alla strozzatura che si disegna tra gli alti bacini dell’Amu Daria e dell’Indo. Nonostante la notevole loro altezza, si tratta di montagne male comparabili con le Alpi; selvagge d’aspetto, ammantate a lungo da nevi, ma senza il tipico scenario di vette e di guglie che ci è abituale, anzi di regola con alte superfici allivellate, smembrate e rotte da gole profonde. Le valli, per questo loro carattere, dividono, più che non uniscano, i diversi compartimenti, determinando anche qui la formazione non di larghe unità antropiche, ma piuttosto di oasi, i cui reciproci rapporti non possono essere assicurati curati se non attraverso difficili vie di comunicazione.
Il clima è nettamente continentale, con forti escursioni termiche annue (fino a 60°) e diurne (15° a 30°) ed in genere assai asciutto, o addirittura arido (precipitazioni medie annue non superiori 300 millimetri). L’aridità vien temperandosi solo man mano che ci si avvicina al rovescio meridionale del Hindu-kush, dove giunge, sia pure attenuata, l’efficacia dei monsoni. Ne consegue una vegetazi0ne spontanea piuttosto povera; poche e poco estese le foreste, eccetto che nell’impervio Kafiristan, e diffusissime la macchia, la steppa o addirittura il deserto. Il Seistan, ampio quasi come metà dell’Italia, è paragonabile all’Egitto, col suo Nilo (il Hilmend): solo che, invece del Mediterraneo, vi è l’enorme palude del Hamun, sul confine coll’Iran, e tutt’intorno una cornice di calve e desolate montagne.
La popolazione è assai varia etnicamente. Pathani o Afghani (2,5 milioni di abitanti) e Tagichi (1 milione di abitanti), di ceppo iranico, per lo più pastori e sedentari, ne rappresentano all’incirca i 2/5; seguono per numero i Kafiri, i Citrali e i Dardi (2 milioni) di stirpe indo-ariana, e finalmente gli Hazara e gli Usbechi, appartenenti al gruppo turco-mongolo.
La popolazione è per la quasi totalità musulmana, di rito sunnita, con circa 30.000 indù e pochi ebrei tollerati dallo stato. Ma nessuna libertà religiosa è permessa, anzi severe pene sono comminate contro l’apostasia; né fu mai consentito alle missioni cristiane di penetrare nel paese. Le leggi poggiano sul diritto musulmano e sulla tradizione; soli tribunali, quelli religiosi. L’istruzione è facoltativa; ci sono in tutto il paese appena una trentina di scuole inferiori (nelle città), quattro istituti superiori, ed una università da poco istituita presso Kabul (Dar-ul-Aman). Città nel senso europeo mancano, salvo la capitale, Kabul, che conta circa 150.000 abitanti, Herat (25·000 abitanti) che è il centro abitato più importante dell’Afghanistan nord-occidentale, Mazar-i-Sharif (30.000) del Turchestan afghano, Qandahar (40.000) dell’Afghanistan meridionale.
L’Afghanistan ha governo monarchico costituzionale. Il sovrano (emiro), nominato per diritto ereditario, è assistito da un consiglio di sette ministri (interni, esteri, guerra, finanze, giustizia, istruzione pubblica e commercio), scelti su proposta del primo ministro. La costituzione, promulgata nel 1921, riflette in sostanza i recenti ordinamenti turchi, che cerca di conciliare con i principi teocratici dell’islamismo. Dal 1921 funziona un’assemblea consultiva nazionale o parlamento (Maglis-i-Sura-i-Milli) di 106 membri, che resta in carica tre anni, e si esprime, sul modello persiano, dalla grande assemblea nazionale costituita di 314 membri, rappresentanti tutte le provincie e le tribù afghane, ed eletti anch’essi ogni tre anni. Nel 1932 venne istituito anche un Senato di nomina regia. Il territorio nazionale è suddiviso in 9 provincie (4 di seconda classe), rette da funzionari scelti dal governo centrale. L’esercito conta in tempo di pace 60-75.000 uomini di fanteria, e 20.000 di cavalleria ed artiglieria, con circa 500 cannoni. In tempo di guerra gli effettivi possono essere più che raddoppiati. Vi è anche una piccola armata aerea, con ufficiali istruiti in prevalenza in Russia e in Italia. Il servizio attivo dura tre anni. L’organizzazione militare va lentamente perfezionandosi ed adeguandosi alle necessità moderne, con l’aiuto di istruttori europei.
L’economia del paese rimane tipicamente agricolo-pastorale, quasi nullo essendo lo sviluppo delle industrie. Il bestiame, curato dai nomadi (circa un terzo della popolazione), e dai seminomadi (transumanza stagionale), consta di ovini e caprini (i primi destinati anche alla produzione della carne consumata nel paese). I bovini sono pochi e di qualità inferiore; cavalli o cammelli si adoprano come animali da trasporto. L’agricoltura interessa forse non più di un milione di ettari, metà dei quali irrigati, distribuiti in oasi lungo i fondi delle valli maggiori. Si coltivano, oltre i cereali (frumento, orzo, granturco, miglio, avena e segale), ortaggi e legumi, cotone (Turchestan, Kabul, Kohistan, Gialalabad), tabacco e piante medicinali (assa fetida, robbia, ricino) e, più importanti ancora, gli alberi da frutta, dei cui prodotti si fa larga esportazione. Poco di preciso si conosce sull’entità dei raccolti, e sul consumo che se ne fa all’interno del paese.
Data la sua posizione, l’Afghanistan potrebbe ricavare grandi vantaggi dal commercio di transito fra l’India e l’U.R.S.S., una volta fiorente, ma oggi in declino per la deficienza e la cattiva manutenzione delle strade. L’unica arteria notevole è quella che da Herat per Qandahar e Kabul mena al confine indiano, dove il passo di Khaibar permette un facile transito dal cuore del paese alla valle dell’Indo. Mancano del tutto le ferrovie, benché queste giungano sino alle frontiere quasi da ogni lato. Il commercio con l’estero è costituito da scambi con gli stati confinanti, India, U. R. S. S., Persia e Cina, di regola in quest’ordine, come importanza. Si esportano soprattutto frutta secche, legname, lana, tappeti, bestiame e pelli; si importano tessuti, tè, zucchero, macchine, cuoio, carta, ecc. Il commercio estero è regolato da severe restrizioni; si può importare solo in proporzione di quanto si esporta, ciò che ha consentito negli ultimi un saldo attivo di circa 15-20 milioni di lire.
BIBLIOGRAFIA: Un Italiano, Il problema dell’Asia centrale e la politica estera italiana, Roma 1913; Sirdar Iqbal Ali Shah, Afghanistan 0f the Afghans, Londra 1918; E. Trinkler, Afghanistan, Gotha 1928; R. Furon, L’Afghanistan, Parigi 1929; B. Nikitine, La structure économique de l’Afghanistan, Parigi 1932; R. Dollot, L’Afghanistan, Parigi 1937.
È l’unico stato asiatico indipendente senza sbocco al mare, chiuso com’è tra l’U.R.S.S. a nord, il Turchestan cinese e l’India ad est, il Belucistan a sud e la Persia ad ovest. I suoi estremi vanno da 29° 24' a 380 28' nord e da 60° 30' a 740 53' est Greenwich. Ha una larghezza massima (da nord a sud) di circa 1200 chilometri ed un’estensione massima (da est ad ovest) di 980 chilometri. Rimasto per lunghissimo tempo quasi inaccessibile, è in complesso piuttosto mal noto, e per lunghe estensioni anche del tutto inesplorato. La sua superficie è calcolata dai più intorno ai 650.000 kmq. (oltre il doppio dell’Italia), ma le stime oscillano da 570.000 a 730.000 kmq. La sua popolazione, della quale non è mai stato fatto un censimento regolare, viene fatta ascendere da taluni a 7 e da altri fino a 12 milioni di abitanti, con una densità quindi da 10 a 16 abitanti per kmq.
Il paese è per la maggior parte un dedalo di aspre e nude montagne, cui fanno corona a nord e a sud-ovest due larghe depressioni; quella che guarda al corso dell’Amu Daria lungo il confine sovietico, ed il basso bacino del Hilmend, per metà deserto (Rigistan) e per l’altra metà steppa salina (Dasht-i-Marg). Il rilievo consta del lungo cimale del Hindu-kush, che sale da 2000 ad oltre 7000 metri da ovest ad est e sul quale s’innestano altri allineamenti montuosi, disposti a mo’ di ventaglio, col cercine in corrispondenza alla strozzatura che si disegna tra gli alti bacini dell’Amu Daria e dell’Indo. Nonostante la notevole loro altezza, si tratta di montagne male comparabili con le Alpi; selvagge d’aspetto, ammantate a lungo da nevi, ma senza il tipico scenario di vette e di guglie che ci è abituale, anzi di regola con alte superfici allivellate, smembrate e rotte da gole profonde. Le valli, per questo loro carattere, dividono, più che non uniscano, i diversi compartimenti, determinando anche qui la formazione non di larghe unità antropiche, ma piuttosto di oasi, i cui reciproci rapporti non possono essere assicurati curati se non attraverso difficili vie di comunicazione.
Il clima è nettamente continentale, con forti escursioni termiche annue (fino a 60°) e diurne (15° a 30°) ed in genere assai asciutto, o addirittura arido (precipitazioni medie annue non superiori 300 millimetri). L’aridità vien temperandosi solo man mano che ci si avvicina al rovescio meridionale del Hindu-kush, dove giunge, sia pure attenuata, l’efficacia dei monsoni. Ne consegue una vegetazi0ne spontanea piuttosto povera; poche e poco estese le foreste, eccetto che nell’impervio Kafiristan, e diffusissime la macchia, la steppa o addirittura il deserto. Il Seistan, ampio quasi come metà dell’Italia, è paragonabile all’Egitto, col suo Nilo (il Hilmend): solo che, invece del Mediterraneo, vi è l’enorme palude del Hamun, sul confine coll’Iran, e tutt’intorno una cornice di calve e desolate montagne.
La popolazione è assai varia etnicamente. Pathani o Afghani (2,5 milioni di abitanti) e Tagichi (1 milione di abitanti), di ceppo iranico, per lo più pastori e sedentari, ne rappresentano all’incirca i 2/5; seguono per numero i Kafiri, i Citrali e i Dardi (2 milioni) di stirpe indo-ariana, e finalmente gli Hazara e gli Usbechi, appartenenti al gruppo turco-mongolo.
La popolazione è per la quasi totalità musulmana, di rito sunnita, con circa 30.000 indù e pochi ebrei tollerati dallo stato. Ma nessuna libertà religiosa è permessa, anzi severe pene sono comminate contro l’apostasia; né fu mai consentito alle missioni cristiane di penetrare nel paese. Le leggi poggiano sul diritto musulmano e sulla tradizione; soli tribunali, quelli religiosi. L’istruzione è facoltativa; ci sono in tutto il paese appena una trentina di scuole inferiori (nelle città), quattro istituti superiori, ed una università da poco istituita presso Kabul (Dar-ul-Aman). Città nel senso europeo mancano, salvo la capitale, Kabul, che conta circa 150.000 abitanti, Herat (25·000 abitanti) che è il centro abitato più importante dell’Afghanistan nord-occidentale, Mazar-i-Sharif (30.000) del Turchestan afghano, Qandahar (40.000) dell’Afghanistan meridionale.
L’Afghanistan ha governo monarchico costituzionale. Il sovrano (emiro), nominato per diritto ereditario, è assistito da un consiglio di sette ministri (interni, esteri, guerra, finanze, giustizia, istruzione pubblica e commercio), scelti su proposta del primo ministro. La costituzione, promulgata nel 1921, riflette in sostanza i recenti ordinamenti turchi, che cerca di conciliare con i principi teocratici dell’islamismo. Dal 1921 funziona un’assemblea consultiva nazionale o parlamento (Maglis-i-Sura-i-Milli) di 106 membri, che resta in carica tre anni, e si esprime, sul modello persiano, dalla grande assemblea nazionale costituita di 314 membri, rappresentanti tutte le provincie e le tribù afghane, ed eletti anch’essi ogni tre anni. Nel 1932 venne istituito anche un Senato di nomina regia. Il territorio nazionale è suddiviso in 9 provincie (4 di seconda classe), rette da funzionari scelti dal governo centrale. L’esercito conta in tempo di pace 60-75.000 uomini di fanteria, e 20.000 di cavalleria ed artiglieria, con circa 500 cannoni. In tempo di guerra gli effettivi possono essere più che raddoppiati. Vi è anche una piccola armata aerea, con ufficiali istruiti in prevalenza in Russia e in Italia. Il servizio attivo dura tre anni. L’organizzazione militare va lentamente perfezionandosi ed adeguandosi alle necessità moderne, con l’aiuto di istruttori europei.
L’economia del paese rimane tipicamente agricolo-pastorale, quasi nullo essendo lo sviluppo delle industrie. Il bestiame, curato dai nomadi (circa un terzo della popolazione), e dai seminomadi (transumanza stagionale), consta di ovini e caprini (i primi destinati anche alla produzione della carne consumata nel paese). I bovini sono pochi e di qualità inferiore; cavalli o cammelli si adoprano come animali da trasporto. L’agricoltura interessa forse non più di un milione di ettari, metà dei quali irrigati, distribuiti in oasi lungo i fondi delle valli maggiori. Si coltivano, oltre i cereali (frumento, orzo, granturco, miglio, avena e segale), ortaggi e legumi, cotone (Turchestan, Kabul, Kohistan, Gialalabad), tabacco e piante medicinali (assa fetida, robbia, ricino) e, più importanti ancora, gli alberi da frutta, dei cui prodotti si fa larga esportazione. Poco di preciso si conosce sull’entità dei raccolti, e sul consumo che se ne fa all’interno del paese.
Data la sua posizione, l’Afghanistan potrebbe ricavare grandi vantaggi dal commercio di transito fra l’India e l’U.R.S.S., una volta fiorente, ma oggi in declino per la deficienza e la cattiva manutenzione delle strade. L’unica arteria notevole è quella che da Herat per Qandahar e Kabul mena al confine indiano, dove il passo di Khaibar permette un facile transito dal cuore del paese alla valle dell’Indo. Mancano del tutto le ferrovie, benché queste giungano sino alle frontiere quasi da ogni lato. Il commercio con l’estero è costituito da scambi con gli stati confinanti, India, U. R. S. S., Persia e Cina, di regola in quest’ordine, come importanza. Si esportano soprattutto frutta secche, legname, lana, tappeti, bestiame e pelli; si importano tessuti, tè, zucchero, macchine, cuoio, carta, ecc. Il commercio estero è regolato da severe restrizioni; si può importare solo in proporzione di quanto si esporta, ciò che ha consentito negli ultimi un saldo attivo di circa 15-20 milioni di lire.
BIBLIOGRAFIA: Un Italiano, Il problema dell’Asia centrale e la politica estera italiana, Roma 1913; Sirdar Iqbal Ali Shah, Afghanistan 0f the Afghans, Londra 1918; E. Trinkler, Afghanistan, Gotha 1928; R. Furon, L’Afghanistan, Parigi 1929; B. Nikitine, La structure économique de l’Afghanistan, Parigi 1932; R. Dollot, L’Afghanistan, Parigi 1937.
G. Caraci
STORIA E PROBLEMI POLITICI.
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L’Afghanistan costituisce un’entità politica distinta da poco più di un secolo. Il territorio fece parte dei grandi imperi che dominarono tra l’altipiano iranico e l’India, ultimo quello del persiano Nadir Scià, che tolse l’Afghanistan ai Moghul dell’India. Alla morte di Nadir Scià (1747), profittando dell’indebolimento dei vicini Indiani e Persiani, gli Afghani si ressero sotto signorie locali; Ahmed Khan, della tribù Durrani, fondò una dinastia, che governò per alcuni decenni la regione di Kabul e di Qandahar, in lotta con i Persiani, che volevano mantenere il possesso del territorio occidentale (Herat). Agli inizi del secolo XIX cominciano le relazioni con gl’Inglesi insediatisi nell’India; una missione guidata da M. Elphinstone visitò l’Afghanistan nel 1809; si attribuiva allora a Napoleone I un piano per disturbare i possessi inglesi dell’India attraverso l’Afghanistan con l’aiuto dei Russi e dei Persiani. Nel 1826 la tribù dei Barakzài (o Mohammed Za’i), imparentata con i Durrani, prese la direzione del governo, dando inizio alla dinastia che ancor oggi regna nell’Afghanistan. Il primo emiro, Dost Mohammed Khan, osteggiato dapprima dall’Inghilterra, che intervenne nel 1838 e nel 1842 con spedizioni militari, si impadronì di Kabul nel 1843, estese il suo dominio alle provincie del nord, poi, valendosi anche dell’aiuto britannico, prese Herat (1863). Sotto i suoi successori l’Afghanistan fu teatro di lotte interne e, per la posizione geografica, punto d’incontro dell’espansione imperialistica della Gran Bretagna e della Russia. Gl’Inglesi mossero guerra una seconda volta contro l’Afghanistan nel 1878 per controbattere l’influenza dei Russi favoriti dall’emiro Sher ‘Ali; il figlio di questi Ya‘qub, s’accordò con gli Inglesi (trattato di Gandamak). L’anno dopo la missione britannica presieduta dall’inviato sir L. Cavagnari venne trucidata. Gl’Inglesi condussero un’altra spedizione e con il trattato di Kabul (30 luglio 1880) riconobbero l’autonomia interna dell’Afghanistan sotto l’emiro ‘Abd ur-Rahman Khan (1879-1901), che accettò un sussidio annuo britannico, obbligandosi ad affidare alla Gran Bretagna le relazioni con l’estero. L’Afghanistan restò così in una situazione di neutralità e di semiprotettorato; i suoi confini furono delimitati verso la Persia nel 1873, verso la Russia nel 1887, dopo che i Russi ebbero occupato Merv (1884) e il Pamir, verso l’India nel 1893, dopo che gl’Inglesi ebbero avanzato a sud-est fino a Quetta; la linea che segna il confine afghano-indiano è detta linea Durand, dal nome del capo della commissione inglese, sir Mortimer Durand.
Il figlio di ‘Abd ur-Rahman Khan, Habibullah Khan (1901-1919), restò neutrale durante la guerra mondiale, benché sollecitato dai Turchi e dai Tedeschi ad attaccare l’India (missione Niedermayer). Egli fu misteriosamente ucciso il 19 febbraio 1919; gli successe il figlio terzogenito Amanullah, il quale, seguendo l’impulso del movimento per l’indipendenza riacceso dalla propaganda turco-tedesca e dalle tendenze dell’immediato dopoguerra, si avventurò in una spedizione contro gl’InglesI (terza guerra anglo-afghana). La campagna fu di breve durata e costò perdite agli Afghani più che agli Inglesi, i quali tuttavia accondiscesero alla pace conclusa con il trattato di Ravalpindi (8 agosto 1919) confermato con lievi modifiche nel trattato di Musuriyyeh (22 novembre 1921) sulle seguenti basi: riconoscimento della completa indipendenza dell’Afghanistan anche nelle relazioni con l’estero; scambio di rappresentanti diplomatici e consolari; reciproco impegno a dare preavviso in caso di operazioni militari contro le tribù di confine; permesso di transito, con rimborso di dazi doganali, delle merci sbarcate nei porti indiani a destinazione dell’Afghanistan; permesso di importazioni di armi attraverso l’India per conto del governo afghano. In un annesso al trattato il governo afghano si impegnò a v1etare lo stabilimento di consolati russi a Gialalabad, Ghazni (Ghaznah) e Qandahar. cioè nel territorio più vicino all’India. L’importanza attribuita dagli Inglesi alla loro posizione nell’Afghanistan e al controllo delle vie che dall’Afghanistan immettono nella vallata dell’Indo dipende dal fatto che l’Afghanistan rappresenta l’unica strada terrestre per l’invasione dell’India. Per tutto il secolo scorso gl’Inglesi si premunirono contro una possibile calata di truppe russe nell’Afghanistan attraverso il fiume Amu Daria e i monti del Hindu-kush; dopo la rivoluzione bolscevica al non cessato pericolo di penetrazione armata dei Russi nell’Afghanistan si è aggiunto il timore di sovietizzamento dell’Afghanistan o almeno della parte più settentrionale contigua alle repubbliche sovietiche del Turkestan.
Sistemata la sua posizione nei confronti della Gran Bretagna con il riconoscimento (in realtà ancora non completo) dell’indipendenza del paese, e rinunziato all’annuo sussidio britannico, l’emiro Amanullah provvide nel 1921 a inviare missioni in Russia, in Germania, in Francia e in Italia, a concludere trattati con l’U. R. S. S. (28 febbraio 1921), la Turchia (1° marzo 1921), la Persia (22 giugno 1921) e a stabilire rapporti diplomatici con le maggiori potenze, che nominarono loro rappresentanti a Kabul. Tecnici ed istruttori europei, specialmente tedeschi, francesi, turchi e russi, furono assunti per lavori pubblici, fabbriche e scuole. D’una missione di tecnici italiani (sanitari e ingegneri) andatavi nel 1923 faceva parte l’igegnere Dario Piperno, che, avendo ucciso involontariament un poliziotto, fu giustiziato il 2 giugno 1925 dopo che la famiglia dell’ucciso aveva accettato il pagamento del «prezzo del sangue»; l’incidente ebbe un seguito diplomatico e furono accordate al governo italiano le soddisfazioni richieste.
Il regno di Amanullah fu intensamente occupato nel lavoro di riforme. Nel 1921 fu emanato un ordinamento generale, base della successiva costituzione (nizam-nameh-i asasi), che fu approvata dalla Grande assemblea (Loya Girga, lett. “Grande circolo”) nel 1923-1924. La costituzione definiva l’Afghanistan stato libero e indipendente, sotto la sovranità del padiscià Amanullah e dei suoi discendenti, con un governo responsabile davanti al sovrano; una limitata rappresentanza popolare nel consiglio consultivo dello stato e nei consigli regionali e provinciali. Si garantivano alla popolazione afghana le libertà e i diritti civili; si stabiliva il funzionamento dei tribunali (i quali giudicavano secondo la legge musulmana); si affermava che la religione ufficiale dell’Afghanistan era la religione musulmana secondo il rito hanafita, ammettendosi i non musulmani a vivere nell’Afghanistan con l’obbligo di pagare il tributo e di portare segni distintivi speciali.
L’emiro Amanullah, mentre stabiliva così le basi di un ordinamento dello stato, doveva difenderne l’esistenza contro le sollevazioni di tribù (nella regione di Khost nel 1924, dei Mangal nel 1925) scontente per l’obbligo del servizio militare e riluttanti a pagare le imposte. Grave malcontento suscitarono nell’elemento reazionario dei mulla (uomini di religione) le riforme sociali, animate da uno spirito di modernismo e di imitazione degli usi stranieri, al quale il paese non era ancora preparato. La tendenza a far abbandonare il velo alle donne, l’invio di giovani afghane a studiare in Europa, l’obbligo fatto ai rappresentanti del popolo di vestire abiti europei e di rasare il volto ed altre innovazioni, sfruttate dalla propaganda ostile dei mulla, e, pare, dalla propaganda di emissari della Gran Bretagna, alla quale non sarebbe giovato un rapido modernizzamento del libero Afghanistan, prepararono il terreno per un movimento reazionario che esplose nel 1928, mentre l’emiro Amanullah compiva un viaggio in Europa; le tribù Shinvari e Khughiani si sollevarono nell’estate del 1928; l’emiro tornato in fretta non poté arginare la rivolta; perduta Kabul nel gennaio del 1929, si ritirò a Qandahar abdicando in favore del fratello ‘Inayatullah e alla fine di maggio lasciò il paese stabilendosi a Roma.
A Kabul (17 gennaio 1929) era entrato un capo dei ribelli, Baciah-i Saqao, che si proclamò emiro con il nome di Habibullah Ghazi,dopo aver costretto ‘Inayatullah a rinunziare al trono.
Un cugino di Amanullah, il generale Nadir Khan, che aveva combattuto contro gl’Inglesi nel 1919, aveva assolto missioni politiche in Europa e dal 1926 si trovava a Nizza, prese allora la direzione del movimento per la riconquista del regno; con azioni militari e saggia preparazione politica riuscì a riprendere Kabul l’8 ottobre 1929 e a farsi proclamare re il 15 ottobre dello stesso anno. Egli ristabilì le relazioni diplomatiche ch’erano state interrotte (solo le legazioni russa e turca continuarono a funzionare durante l’interregno dell’usurpatore) e riconobbe i trattati conclusi sotto Amanullah, che furono automaticamente richiamati in vigore; però la Gran Bretagna volle la formale riconferma del trattato del 1921 (Londra, 7 maggio 1930).
Negli ultimi sette anni l’Afghanistan ha avuto un periodo di relativa tranquillità, tragicamente turbata l’8 novembre 1933 dall’uccisione del re Nadir. Sembra che l’uccisore abbia agito per vendicare un ex-ministro di Amanullah condannato a morte l’anno precedente. In tale occasione si riparlò di possibile ritorno di Amanullah sul trono dell’Afghanistan, ma il popolo si è mostrato fedele al nuovo regime. Un figlio di Nadir Scià, il giovane Mohammed Zahir Khan (nato nel 1914), gli è successo sul trono. Il governo fin dal 1929 è diretto da Mohammed Hashim Khan, zio paterno del re attuale, con la carica di primo ministro; altri membri della famiglia regnante occupano posti di governo. Nella politica interna non sono avvenuti mutamenti importanti; la costituzione del 1923-24 si è evoluta, senza mutamenti sostanziali, nella nuova costituzione del 1931, che ha istituito un parlamento bicamerale (Grande assemblea nazionale e Senato), le cui deliberazioni sono molto limitate dalle prerogative sovrane. Benché nella nuova costituzione manchi l’accenno all’obbligo dei non musulmani di pagare tributo, si hanno notizie circa le condizioni di inferiorità in cui sono tenuti gli ebrei; gli stranieri sono considerati «protetti», ma sottomessi alle leggi del paese e godono ora di una certa libertà (ad es., l’assistenza religiosa per i cristiani affidata a un cappellano della legazione d’Italia). Continua lentamente la trasformazione dei vecchi usi e sistemi, senza però urtare le suscettibilità religiose e lo spirito conservatore del popolo, e si rafforza l’esercito; si modernizzano le scuole (Kabul ha un’università in via di formazione comprendente già una facoltà di medicina e una facoltà di scienze con professori turchi, indiani e inglesi); si eseguono opere d’interesse pubblico, soprattutto per agevolare le comunicazioni (ponti, strade, ma nessuna ferrovia finora), si cura l’utilizzazione delle acque per l’energia elettrica e l’irrigazione. In quest’opera di ricostruzione l’Afghanistan si vale anche del’'opera di valorosi tecnici italiani. Il commercio con l’estero è limitato all’importazione di utensili e macchine e pochi generi di consumo (zucchero); l’esportazione consiste sovrattutto in pelli e pellicce, lane, tappeti, pietre preziose e si esercita specialmente con la Russia e con l’India; alcune grandi società fondate con la partecipazione del governo hanno il monopolio di questo commercio. Dal 1933 una specie di banca statale (chiamata Società nazionale afghana per azioni) provvede a regolare il sistema monetario e tiene relazioni con banche di Londra, Amburgo ecc.
Nei rapporti con l’estero l’Afghanistan si mantiene abbastanza indipendente; a una evidente tendenza russo-fila degli ultimi anni di Amanullah è successo sotto il nuovo regime un atteggiamento più legato alla Gran Bretagna; i profughi politici afghani all’estero, sempre meno attivi, accusano il regime attuale di essere vincolato verso la Gran Bretagna da impegni segreti e da obblighi finanziari. La situazione sulla frontiera indo-afghana è sempre delicata e causa potenziale di attriti per il carattere bellicoso delle tribù (Waziri, Mohmand, Mahsud) non completamente sottomesse che vivono sui monti lungo i quali corre la linea di confine tanto in territorio indiano (Passo di Khaibar, Landi-Kotal, Bagiaur, Peshawar) che in territorio afghano (Khost). Ivi sorgono frequentemente incidenti per l’attività dei ribelli che cercano rifugio rispettivamente sul suolo afghano o su quello indiano; spesso la zona di confine è messa in subbuglio per opera di avversari dell’uno o dell’altro governo, pretendenti al trono afghano e agitatori politici e religiosi. Il governo dell’India da parte sua tende progressivamente a rendere effettivo il suo controllo sulla zona di confine, detta Nord-West Frontier Province. L’ultima spedizione condotta con grandi mezzi militari fu compiuta nel settembre-ottobre del 1935; un’altra nel 1937.
Si è parlato a più riprese (ad esempio nel 1921 e nel 1926) di un movimento per una quadruplice asiatica, che comprendesse l’Afghanistan, la Persia, la Turchia e la Russia; tale piano non si è mai effettuato, anche se esistono buone relazioni tra le quattro potenze suddette. Ma dopo che in Persia, in Turchia e in Afghanistan, si è andata rafforzando l’autorità statale e si sono sviluppate le riforme tendenti alla costituzione di stati a fisonomia propria, con propri ideali, trova minor campo di esplicarsi la propaganda russa, la quale si è adoprata dal 1919 a risvegliare i nazionalismi asiatici e a unirli contro l’imperialismo europeo. Le relazioni fra Turchia, Persia e Afghanistan sono molto cordiali fin dal 1921. Una vertenza afghano-persiana per la delimitazione di confini è stata pacificamente risolta con l’arbitrato del generale turco Fakhr ed-Din nel 1934-1935. Il recente lavoro diplomatico per un patto orientale, favorito, pare, per diversi motivi, tanto dalla Russia che dalla Gran Bretagna durante il conflitto italo-etiopico, ha avuto l’adesione della Turchia, della Persia e dell’Irak e, in un secondo tempo, dell’Afghanistan. Il patto è stato firmato a Teheran l’8 luglio 1937.
L’Afghanistan, vissuto fino al 1919 segregato dal resto del mondo, è ora entrato in relazioni con tutti gli stati; dal 1928 è entrato nell’Unione postale internazionale; dal 1934 fa parte della Società delle nazioni.
L’Afghanistan non ha partiti né organizzazioni paragonabili ai partiti; né si può parlare di una politica nazionale in un paese ancora dominato da divisioni di tribù e racchiudente popolazioni troppo diverse per razza e per lingua: Iranici al centro e a ovest, Turchi a nord (provincia del Turkestan afghano, capoluogo Mazar-i-Sharif), Indo-Aghani (Pathani) a est. La lingua ufficiale è il persiano; dialetti persiani sono parlati a Kabul e nelle provincie occidentali; un dialetto iranico molto differenziato dal persiano, il pashto, diffuso specialmente a Qandahar e nell’Afghanistan meridionale, è spesso usato accanto al persiano in proclami e testi legislativi; dalla fine del 1936 è stato fatto obbligo a tutti i funzionari di conoscere questa lingua, che va assumendo carattere nazionale ed ufficiale. Nel Turkestan afghano si parla un dialetto turco uzbeko; ai confini con l’India si parlano dialetti indiani. Nel campo culturale l’Afghanistan costituisce una provincia della cultura e della civiltà arabo-persiana musulmana; ma tende ad emanciparsi dall’egemonia della Persia vicina.
Un elemento abbastanza forte di coesione è la religione musulmana; la quasi totalità degli abitanti, che, in mancanza di un censimento ufficiale, sono variamente calcolati da 5 a 10 e, anche 12 milioni, s0no musulmani sunniti di rito hanafita; circa mezzo milione sono musulmani sciiti (come la maggioranza dei musulmani in Persia); gli ebrei, un tempo calcolati a 50.000, sono ora ridotti a poche migliaia.
Il miglioramento delle comunicazioni, la diffusione dell’insegnamento e il servizio militare obbligatorio potranno col tempo dare un indirizzo nazionale alla vita del paese; i più colti enunciano un programma di graduali riforme che, conservando all’Afghanistan il suo particolare carattere afghano, potenzino la sua forza economica, politica e militare mediante l’aiuto della tecnica moderna.
3. - BIBLIOGRAFIA: A. Hamilton, Afghanistan, Londra 1907; R. Furon, L’Afghanistan, Parigi 1936; G. Macmum, L’Afghanistan from Darius to Amanullah, Londra 1929; F. Hesse, Zur Aussenpolitik Afghanistans unter Mohammed Nadir Shah Afghan, in Europäische Gespräche, dicembre 1930, pp. 613-633; G. M. Pecorella, Farda, Due anni in Afghanistan sotto l’Emiro Amanullah, Palermo 1930; M. Fouchet, Ètudes sur l’Afghanistan, Parigi 1931; A. Giannini, La Costitazione afghana, in Oriente Moderno, XI (1931), pp. 265-286; E. Rossi, La Costituzione afghana del 31 ottobre 1931, in Oriente Moderno, XIII (1933), pp. 1-6, 7-20; id., Notizie sull’Afghanistan, in Oriente Moderno, aprile 1934.
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L’Afghanistan costituisce un’entità politica distinta da poco più di un secolo. Il territorio fece parte dei grandi imperi che dominarono tra l’altipiano iranico e l’India, ultimo quello del persiano Nadir Scià, che tolse l’Afghanistan ai Moghul dell’India. Alla morte di Nadir Scià (1747), profittando dell’indebolimento dei vicini Indiani e Persiani, gli Afghani si ressero sotto signorie locali; Ahmed Khan, della tribù Durrani, fondò una dinastia, che governò per alcuni decenni la regione di Kabul e di Qandahar, in lotta con i Persiani, che volevano mantenere il possesso del territorio occidentale (Herat). Agli inizi del secolo XIX cominciano le relazioni con gl’Inglesi insediatisi nell’India; una missione guidata da M. Elphinstone visitò l’Afghanistan nel 1809; si attribuiva allora a Napoleone I un piano per disturbare i possessi inglesi dell’India attraverso l’Afghanistan con l’aiuto dei Russi e dei Persiani. Nel 1826 la tribù dei Barakzài (o Mohammed Za’i), imparentata con i Durrani, prese la direzione del governo, dando inizio alla dinastia che ancor oggi regna nell’Afghanistan. Il primo emiro, Dost Mohammed Khan, osteggiato dapprima dall’Inghilterra, che intervenne nel 1838 e nel 1842 con spedizioni militari, si impadronì di Kabul nel 1843, estese il suo dominio alle provincie del nord, poi, valendosi anche dell’aiuto britannico, prese Herat (1863). Sotto i suoi successori l’Afghanistan fu teatro di lotte interne e, per la posizione geografica, punto d’incontro dell’espansione imperialistica della Gran Bretagna e della Russia. Gl’Inglesi mossero guerra una seconda volta contro l’Afghanistan nel 1878 per controbattere l’influenza dei Russi favoriti dall’emiro Sher ‘Ali; il figlio di questi Ya‘qub, s’accordò con gli Inglesi (trattato di Gandamak). L’anno dopo la missione britannica presieduta dall’inviato sir L. Cavagnari venne trucidata. Gl’Inglesi condussero un’altra spedizione e con il trattato di Kabul (30 luglio 1880) riconobbero l’autonomia interna dell’Afghanistan sotto l’emiro ‘Abd ur-Rahman Khan (1879-1901), che accettò un sussidio annuo britannico, obbligandosi ad affidare alla Gran Bretagna le relazioni con l’estero. L’Afghanistan restò così in una situazione di neutralità e di semiprotettorato; i suoi confini furono delimitati verso la Persia nel 1873, verso la Russia nel 1887, dopo che i Russi ebbero occupato Merv (1884) e il Pamir, verso l’India nel 1893, dopo che gl’Inglesi ebbero avanzato a sud-est fino a Quetta; la linea che segna il confine afghano-indiano è detta linea Durand, dal nome del capo della commissione inglese, sir Mortimer Durand.
Il figlio di ‘Abd ur-Rahman Khan, Habibullah Khan (1901-1919), restò neutrale durante la guerra mondiale, benché sollecitato dai Turchi e dai Tedeschi ad attaccare l’India (missione Niedermayer). Egli fu misteriosamente ucciso il 19 febbraio 1919; gli successe il figlio terzogenito Amanullah, il quale, seguendo l’impulso del movimento per l’indipendenza riacceso dalla propaganda turco-tedesca e dalle tendenze dell’immediato dopoguerra, si avventurò in una spedizione contro gl’InglesI (terza guerra anglo-afghana). La campagna fu di breve durata e costò perdite agli Afghani più che agli Inglesi, i quali tuttavia accondiscesero alla pace conclusa con il trattato di Ravalpindi (8 agosto 1919) confermato con lievi modifiche nel trattato di Musuriyyeh (22 novembre 1921) sulle seguenti basi: riconoscimento della completa indipendenza dell’Afghanistan anche nelle relazioni con l’estero; scambio di rappresentanti diplomatici e consolari; reciproco impegno a dare preavviso in caso di operazioni militari contro le tribù di confine; permesso di transito, con rimborso di dazi doganali, delle merci sbarcate nei porti indiani a destinazione dell’Afghanistan; permesso di importazioni di armi attraverso l’India per conto del governo afghano. In un annesso al trattato il governo afghano si impegnò a v1etare lo stabilimento di consolati russi a Gialalabad, Ghazni (Ghaznah) e Qandahar. cioè nel territorio più vicino all’India. L’importanza attribuita dagli Inglesi alla loro posizione nell’Afghanistan e al controllo delle vie che dall’Afghanistan immettono nella vallata dell’Indo dipende dal fatto che l’Afghanistan rappresenta l’unica strada terrestre per l’invasione dell’India. Per tutto il secolo scorso gl’Inglesi si premunirono contro una possibile calata di truppe russe nell’Afghanistan attraverso il fiume Amu Daria e i monti del Hindu-kush; dopo la rivoluzione bolscevica al non cessato pericolo di penetrazione armata dei Russi nell’Afghanistan si è aggiunto il timore di sovietizzamento dell’Afghanistan o almeno della parte più settentrionale contigua alle repubbliche sovietiche del Turkestan.
Sistemata la sua posizione nei confronti della Gran Bretagna con il riconoscimento (in realtà ancora non completo) dell’indipendenza del paese, e rinunziato all’annuo sussidio britannico, l’emiro Amanullah provvide nel 1921 a inviare missioni in Russia, in Germania, in Francia e in Italia, a concludere trattati con l’U. R. S. S. (28 febbraio 1921), la Turchia (1° marzo 1921), la Persia (22 giugno 1921) e a stabilire rapporti diplomatici con le maggiori potenze, che nominarono loro rappresentanti a Kabul. Tecnici ed istruttori europei, specialmente tedeschi, francesi, turchi e russi, furono assunti per lavori pubblici, fabbriche e scuole. D’una missione di tecnici italiani (sanitari e ingegneri) andatavi nel 1923 faceva parte l’igegnere Dario Piperno, che, avendo ucciso involontariament un poliziotto, fu giustiziato il 2 giugno 1925 dopo che la famiglia dell’ucciso aveva accettato il pagamento del «prezzo del sangue»; l’incidente ebbe un seguito diplomatico e furono accordate al governo italiano le soddisfazioni richieste.
Il regno di Amanullah fu intensamente occupato nel lavoro di riforme. Nel 1921 fu emanato un ordinamento generale, base della successiva costituzione (nizam-nameh-i asasi), che fu approvata dalla Grande assemblea (Loya Girga, lett. “Grande circolo”) nel 1923-1924. La costituzione definiva l’Afghanistan stato libero e indipendente, sotto la sovranità del padiscià Amanullah e dei suoi discendenti, con un governo responsabile davanti al sovrano; una limitata rappresentanza popolare nel consiglio consultivo dello stato e nei consigli regionali e provinciali. Si garantivano alla popolazione afghana le libertà e i diritti civili; si stabiliva il funzionamento dei tribunali (i quali giudicavano secondo la legge musulmana); si affermava che la religione ufficiale dell’Afghanistan era la religione musulmana secondo il rito hanafita, ammettendosi i non musulmani a vivere nell’Afghanistan con l’obbligo di pagare il tributo e di portare segni distintivi speciali.
L’emiro Amanullah, mentre stabiliva così le basi di un ordinamento dello stato, doveva difenderne l’esistenza contro le sollevazioni di tribù (nella regione di Khost nel 1924, dei Mangal nel 1925) scontente per l’obbligo del servizio militare e riluttanti a pagare le imposte. Grave malcontento suscitarono nell’elemento reazionario dei mulla (uomini di religione) le riforme sociali, animate da uno spirito di modernismo e di imitazione degli usi stranieri, al quale il paese non era ancora preparato. La tendenza a far abbandonare il velo alle donne, l’invio di giovani afghane a studiare in Europa, l’obbligo fatto ai rappresentanti del popolo di vestire abiti europei e di rasare il volto ed altre innovazioni, sfruttate dalla propaganda ostile dei mulla, e, pare, dalla propaganda di emissari della Gran Bretagna, alla quale non sarebbe giovato un rapido modernizzamento del libero Afghanistan, prepararono il terreno per un movimento reazionario che esplose nel 1928, mentre l’emiro Amanullah compiva un viaggio in Europa; le tribù Shinvari e Khughiani si sollevarono nell’estate del 1928; l’emiro tornato in fretta non poté arginare la rivolta; perduta Kabul nel gennaio del 1929, si ritirò a Qandahar abdicando in favore del fratello ‘Inayatullah e alla fine di maggio lasciò il paese stabilendosi a Roma.
A Kabul (17 gennaio 1929) era entrato un capo dei ribelli, Baciah-i Saqao, che si proclamò emiro con il nome di Habibullah Ghazi,dopo aver costretto ‘Inayatullah a rinunziare al trono.
Un cugino di Amanullah, il generale Nadir Khan, che aveva combattuto contro gl’Inglesi nel 1919, aveva assolto missioni politiche in Europa e dal 1926 si trovava a Nizza, prese allora la direzione del movimento per la riconquista del regno; con azioni militari e saggia preparazione politica riuscì a riprendere Kabul l’8 ottobre 1929 e a farsi proclamare re il 15 ottobre dello stesso anno. Egli ristabilì le relazioni diplomatiche ch’erano state interrotte (solo le legazioni russa e turca continuarono a funzionare durante l’interregno dell’usurpatore) e riconobbe i trattati conclusi sotto Amanullah, che furono automaticamente richiamati in vigore; però la Gran Bretagna volle la formale riconferma del trattato del 1921 (Londra, 7 maggio 1930).
Negli ultimi sette anni l’Afghanistan ha avuto un periodo di relativa tranquillità, tragicamente turbata l’8 novembre 1933 dall’uccisione del re Nadir. Sembra che l’uccisore abbia agito per vendicare un ex-ministro di Amanullah condannato a morte l’anno precedente. In tale occasione si riparlò di possibile ritorno di Amanullah sul trono dell’Afghanistan, ma il popolo si è mostrato fedele al nuovo regime. Un figlio di Nadir Scià, il giovane Mohammed Zahir Khan (nato nel 1914), gli è successo sul trono. Il governo fin dal 1929 è diretto da Mohammed Hashim Khan, zio paterno del re attuale, con la carica di primo ministro; altri membri della famiglia regnante occupano posti di governo. Nella politica interna non sono avvenuti mutamenti importanti; la costituzione del 1923-24 si è evoluta, senza mutamenti sostanziali, nella nuova costituzione del 1931, che ha istituito un parlamento bicamerale (Grande assemblea nazionale e Senato), le cui deliberazioni sono molto limitate dalle prerogative sovrane. Benché nella nuova costituzione manchi l’accenno all’obbligo dei non musulmani di pagare tributo, si hanno notizie circa le condizioni di inferiorità in cui sono tenuti gli ebrei; gli stranieri sono considerati «protetti», ma sottomessi alle leggi del paese e godono ora di una certa libertà (ad es., l’assistenza religiosa per i cristiani affidata a un cappellano della legazione d’Italia). Continua lentamente la trasformazione dei vecchi usi e sistemi, senza però urtare le suscettibilità religiose e lo spirito conservatore del popolo, e si rafforza l’esercito; si modernizzano le scuole (Kabul ha un’università in via di formazione comprendente già una facoltà di medicina e una facoltà di scienze con professori turchi, indiani e inglesi); si eseguono opere d’interesse pubblico, soprattutto per agevolare le comunicazioni (ponti, strade, ma nessuna ferrovia finora), si cura l’utilizzazione delle acque per l’energia elettrica e l’irrigazione. In quest’opera di ricostruzione l’Afghanistan si vale anche del’'opera di valorosi tecnici italiani. Il commercio con l’estero è limitato all’importazione di utensili e macchine e pochi generi di consumo (zucchero); l’esportazione consiste sovrattutto in pelli e pellicce, lane, tappeti, pietre preziose e si esercita specialmente con la Russia e con l’India; alcune grandi società fondate con la partecipazione del governo hanno il monopolio di questo commercio. Dal 1933 una specie di banca statale (chiamata Società nazionale afghana per azioni) provvede a regolare il sistema monetario e tiene relazioni con banche di Londra, Amburgo ecc.
Nei rapporti con l’estero l’Afghanistan si mantiene abbastanza indipendente; a una evidente tendenza russo-fila degli ultimi anni di Amanullah è successo sotto il nuovo regime un atteggiamento più legato alla Gran Bretagna; i profughi politici afghani all’estero, sempre meno attivi, accusano il regime attuale di essere vincolato verso la Gran Bretagna da impegni segreti e da obblighi finanziari. La situazione sulla frontiera indo-afghana è sempre delicata e causa potenziale di attriti per il carattere bellicoso delle tribù (Waziri, Mohmand, Mahsud) non completamente sottomesse che vivono sui monti lungo i quali corre la linea di confine tanto in territorio indiano (Passo di Khaibar, Landi-Kotal, Bagiaur, Peshawar) che in territorio afghano (Khost). Ivi sorgono frequentemente incidenti per l’attività dei ribelli che cercano rifugio rispettivamente sul suolo afghano o su quello indiano; spesso la zona di confine è messa in subbuglio per opera di avversari dell’uno o dell’altro governo, pretendenti al trono afghano e agitatori politici e religiosi. Il governo dell’India da parte sua tende progressivamente a rendere effettivo il suo controllo sulla zona di confine, detta Nord-West Frontier Province. L’ultima spedizione condotta con grandi mezzi militari fu compiuta nel settembre-ottobre del 1935; un’altra nel 1937.
Si è parlato a più riprese (ad esempio nel 1921 e nel 1926) di un movimento per una quadruplice asiatica, che comprendesse l’Afghanistan, la Persia, la Turchia e la Russia; tale piano non si è mai effettuato, anche se esistono buone relazioni tra le quattro potenze suddette. Ma dopo che in Persia, in Turchia e in Afghanistan, si è andata rafforzando l’autorità statale e si sono sviluppate le riforme tendenti alla costituzione di stati a fisonomia propria, con propri ideali, trova minor campo di esplicarsi la propaganda russa, la quale si è adoprata dal 1919 a risvegliare i nazionalismi asiatici e a unirli contro l’imperialismo europeo. Le relazioni fra Turchia, Persia e Afghanistan sono molto cordiali fin dal 1921. Una vertenza afghano-persiana per la delimitazione di confini è stata pacificamente risolta con l’arbitrato del generale turco Fakhr ed-Din nel 1934-1935. Il recente lavoro diplomatico per un patto orientale, favorito, pare, per diversi motivi, tanto dalla Russia che dalla Gran Bretagna durante il conflitto italo-etiopico, ha avuto l’adesione della Turchia, della Persia e dell’Irak e, in un secondo tempo, dell’Afghanistan. Il patto è stato firmato a Teheran l’8 luglio 1937.
L’Afghanistan, vissuto fino al 1919 segregato dal resto del mondo, è ora entrato in relazioni con tutti gli stati; dal 1928 è entrato nell’Unione postale internazionale; dal 1934 fa parte della Società delle nazioni.
L’Afghanistan non ha partiti né organizzazioni paragonabili ai partiti; né si può parlare di una politica nazionale in un paese ancora dominato da divisioni di tribù e racchiudente popolazioni troppo diverse per razza e per lingua: Iranici al centro e a ovest, Turchi a nord (provincia del Turkestan afghano, capoluogo Mazar-i-Sharif), Indo-Aghani (Pathani) a est. La lingua ufficiale è il persiano; dialetti persiani sono parlati a Kabul e nelle provincie occidentali; un dialetto iranico molto differenziato dal persiano, il pashto, diffuso specialmente a Qandahar e nell’Afghanistan meridionale, è spesso usato accanto al persiano in proclami e testi legislativi; dalla fine del 1936 è stato fatto obbligo a tutti i funzionari di conoscere questa lingua, che va assumendo carattere nazionale ed ufficiale. Nel Turkestan afghano si parla un dialetto turco uzbeko; ai confini con l’India si parlano dialetti indiani. Nel campo culturale l’Afghanistan costituisce una provincia della cultura e della civiltà arabo-persiana musulmana; ma tende ad emanciparsi dall’egemonia della Persia vicina.
Un elemento abbastanza forte di coesione è la religione musulmana; la quasi totalità degli abitanti, che, in mancanza di un censimento ufficiale, sono variamente calcolati da 5 a 10 e, anche 12 milioni, s0no musulmani sunniti di rito hanafita; circa mezzo milione sono musulmani sciiti (come la maggioranza dei musulmani in Persia); gli ebrei, un tempo calcolati a 50.000, sono ora ridotti a poche migliaia.
Il miglioramento delle comunicazioni, la diffusione dell’insegnamento e il servizio militare obbligatorio potranno col tempo dare un indirizzo nazionale alla vita del paese; i più colti enunciano un programma di graduali riforme che, conservando all’Afghanistan il suo particolare carattere afghano, potenzino la sua forza economica, politica e militare mediante l’aiuto della tecnica moderna.
3. - BIBLIOGRAFIA: A. Hamilton, Afghanistan, Londra 1907; R. Furon, L’Afghanistan, Parigi 1936; G. Macmum, L’Afghanistan from Darius to Amanullah, Londra 1929; F. Hesse, Zur Aussenpolitik Afghanistans unter Mohammed Nadir Shah Afghan, in Europäische Gespräche, dicembre 1930, pp. 613-633; G. M. Pecorella, Farda, Due anni in Afghanistan sotto l’Emiro Amanullah, Palermo 1930; M. Fouchet, Ètudes sur l’Afghanistan, Parigi 1931; A. Giannini, La Costitazione afghana, in Oriente Moderno, XI (1931), pp. 265-286; E. Rossi, La Costituzione afghana del 31 ottobre 1931, in Oriente Moderno, XIII (1933), pp. 1-6, 7-20; id., Notizie sull’Afghanistan, in Oriente Moderno, aprile 1934.
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E. Rossi
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